“Riconquista” di Forte Scrima, missione possibile

RISCOPERTO DAGLI ANCONETANI, VA VALORIZZATO

di Andrea Civitarese

 

Uno dei quattro bastioni di Forte Scrima, nel quartiere Posatora di Ancona
Uno dei quattro bastioni di Forte Scrima, nel quartiere Posatora di Ancona

Ancona ricorda con una importante arteria viaria la data del XXIX Settembre. L’anno è il 1860, e quel giorno il capoluogo dorico – insieme a Marche ed Umbria – entra di fatto a far parte del Regno d’Italia che Vittorio Emanuele II, Cavour e Giuseppe Garibaldi stavano costruendo. La resistenza pontificia, cioè di chi governava la fascia centrale della Penisola, fu in realtà molto breve: dalla importantissima battaglia di Castelfidardo all’annessione di Marche ed Umbria al Regno passarono solo 10 giorni. Ciò fu in gran parte dovuto all’obsolescenza del sistema difensivo di cui Ancona era dotata, concepito e realizzato secondo i canoni risalenti al ‘500 e al ‘700.

Una delle fortificazioni di epoca papalina in questione era una piccola lunetta sulla sommità del colle Scrima, in prossimità di quello che oggi è Piazzale Camerino nel quartiere di Posatora. Questa opera difensiva, a forma di punta di freccia, venne travolta dall’attacco del generale Cialdini appunto nel 1860. Il nascente governo nazionale, rappresentato dal generale Manfredo Fanti, si rese subito conto dell’inadeguatezza della piazzaforte anconetana rispetto al ruolo che la città avrebbe assunto nel nuovo assetto internazionale. La città fu subito dichiarata “Piazzaforte di prima classe” in quanto, essendo ancora il Veneto sotto l’Impero Austro-ungarico, Ancona rappresentava l’unico porto dell’Adriatico centro-settentrionale idoneo ad accogliere una flotta che potesse porre ostacolo ad eventuali sbarchi di truppe nemiche sulla costa marchigiano-romagnola e contrastare le navi austriache (l’impero retto da Francesco Giuseppe fu il nemico di sempre nel Risorgimento) di stanza a Pola (attuale Croazia) che dista solo 70 miglia dal porto dorico. Per procedere al necessario ammodernamento, l’architetto piemontese Giuseppe Morando venne nominato direttore del Genio Militare di Ancona. Morando ebbe l’incarico di rendere Ancona imprendibile: progettò tre linee di difesa terrestri, con numerosi forti da costruire “ex novo”, come anche una nuova cinta muraria. Progettò quindi anche il Forte Scrima a Posatora, sulle rovine della già citata lunetta precedente. E non badò a spese: in una appassionata relazione al Comitato del Genio di Torino, Morando chiese ed ottenne la cifra di 1 milione di lire, giustificando l’opera sul colle Scrima come fondamentale per la difesa di Ancona, in quanto poteva coprire il capoluogo dorico da attacchi da più fronti.

 

Un tratto della lunga galleria perimetrale di Forte Scrima
Un tratto della lunga galleria perimetrale di Forte Scrima

L’opera – la più grande fra quelle post unitarie – consiste in quattro bastioni, simmetrici a due a due, in una bellissima forma a farfalla o doppio cuore. L’intero fronte si affaccia su un fossato che, almeno originalmente, era alto 7,5 metri. Oggi, purtroppo, soprattutto nella zona dietro il ristorante Il Forte dei Pirati (nome ingannevole, dato che il forte nulla ha avuto a che fare con la pirateria), il fossato è stato totalmente interrato per permettere la realizzazione di un orto a livello stradale. L’ingresso, demolito dopo i gravi danni subiti durante la seconda guerra mondiale, consisteva in un androne dove erano ricavati il corpo di guardia e il telegrafo, comunicanti all’esterno tramite ponte levatoio. Il forte contava 14 cannoni, alcuni posizionati in barbetta (ovvero semplicemente appoggiati sopra il forte), altri in casamatta (oggi traducibile con “bunker”). In alcuni tratti, il forte Scrima è anche dotato di casematte in controscarpa, ovvero al di là del fossato. A queste postazioni si accedeva tramite una galleria sotterranea che passa sotto lo stesso fossato, oggi completamente allagata. Non solo: un tunnel in perfetto stato conservativo percorre il bordo della “scarpa”, ovvero il perimetro interno del forte, su cui si aprono feritoie sul fossato.

L’intero complesso fu venduto dallo Stato italiano alla famiglia Brugiapaglia nel 1906, dieci anni dopo la radiazione di Ancona dal novero delle Piazzeforti. E fu oggetto di notevoli manomissioni. Tra queste la costruzione sul bastione nord di un discutibile caseggiato a forma di castello, distrutto anch’esso dai bombardamenti della seconda guerra mondiale. Dopo la liberazione dal nazi-fascismo, i locali rimasti del forte furono occupati dagli sfollati, mentre la maggior parte dell’area sovrastantefu destinata a coltivazioni agricole. Quello che ancora resiste della primitiva costruzione è attualmente inglobato nel tessuto urbano e rimangono praticabili e aperti al pubblico solo alcuni ambienti adibiti a ristorante (le 7 casematte completamente ristrutturate). Ma va sottolineato che ciò che ancora resiste, appunto, è ancora in buono stato, nonostante la cronica mancanza di manutenzione, e risulta quindi di notevolissimo interesse. Ci riferiamo a un tratto del fossato, a gran parte di una lunga galleria, ai locali per il ricovero truppe e per il confenzionamento dei proiettili, al deposito artiglieria.

Oggi il forte è talmente celato dalle edificazioni post belliche che risulta difficilissimo riconoscerlo in quanto tale. Gli interventi di modifica sono stati numerosissimi. Tuttavia per alcuni significativi scorci, raccomandiamo una vista panoramica dal campetto dalla parrocchia di Posatora e una, ancora più suggestiva, dal parcheggio del condominio di via Scrima 124, da dove si può constatare come il fossato sia oggi completamente invaso da orti.

(articolo tratto da Urlo – mensile di resistenza giovanile)

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