L’istigazione e aiuto al suicidio secondo la Corte Costituzionale: il caso Cappato

SENZA INTERVENTO LEGISLATIVO SARÀ INCOSTITUZIONALITÀ

di Avv. Gabriella Semeraro

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Con l’ordinanza n.207 del 2018 la Corte Costituzionale ha affrontato la questione di costituzionalità dell’art 580 c.p. (istigazione o aiuto al suicidio), sollevata dalla Corte di Assise di Milano nell’ambito della vicenda giudiziaria instaurata nei confronti di Marco Cappato per il suicidio in Svizzera di Dj Fabo (per gli avvenimenti pregressi: https://www.fattodiritto.it/riflessione-giuridica-sul-suicidio-assistito-di-dj-fabo/; https://www.fattodiritto.it/marco-cappato-djfabo-corte-costituzionale/; https://www.fattodiritto.it/%E2%80%8Bcaso-cappato-esercizio-o-abuso-di-un-diritto/), pervenendo a una conclusione connotata da alta razionalità logica seppur non definitiva.

Nonostante in prima battuta possa aver suscitato clamore la decisione della Corte Costituzionale, appresa poche settimane fa, di rinviare la propria pronuncia in merito alla questione, non può non riconoscersi, tramite una attenta disamina dell’ordinanza emessa, che la delicata questione viene affrontata dando prova di logica, praticità e profonda razionalità.

In primo luogo è opportuno riportare che la Corte ha ritenuto infondate le eccezioni di inammissibilità promosse dal Presidente del Consiglio dei Ministri e dall’Avvocatura di Stato.

Per quanto concerne le eccezioni avanzate dal primo soggetto, nell’ordinanza in commento si afferma che la circostanza per cui il giudice a quo abbia già valutato ed escluso che il comportamento dell’imputato sia valso a rafforzare il proposito suicida della vittima non rende la questione irrilevante. La norma in questione, infatti, punisce anche il cosiddetto aiuto al suicidio, identificandolo come condotta scevra da qualsiasi opera generativa o rafforzativa dell’intento suicida, proprio per contraddistinguerla dall’istigazione.

Ugualmente, la Corte disattende quanto ulteriormente espresso dal Presidente del Consiglio dei ministri, scartando anche la possibilità che possa essere effettuata una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 580 c.p.

Sbaglia l’Avvocatura dello Stato – a parere della Consulta – nel sostenere che la Corte di Assise abbia chiesto alla Corte Costituzionale una pronuncia manipolativa, sconfinando nell’ambito di competenza del Legislatore: in realtà, il giudice a quo non ha fatto altro che chiedere una sentenza ablativa della disposizione in esame, auspicando che l’aiuto al suicidio sia ristretto nell’ambito della sola istigazione, senza implicare pertanto alcun intervento creativo da parte del Giudice delle Leggi.

Detto ciò, tale richiesta non può essere rispettata giacché neppure le valutazioni offerte dal giudice rimettente possono essere totalmente condivise.

Seppur il nostro ordinamento non punisca l’atto del suicidio in sé, o quantomeno la sua forma tentata, il creare quello che la Corte chiama una “cintura protettiva” attorno al soggetto vulnerabile non può considerarsi in contrasto con i parametri evocati dal giudice a quo.

Il “diritto alla vita”, ex art. 2 della Costituzione, viene infatti impropriamente evocato nell’ordinanza di rimessione della questione, dal momento che da esso discende un dovere dello Stato di tutelare la vita di ogni individuo e non quello di ottenere un aiuto a morire.

Ugualmente non si può sostenere che la norma sottoposta al vaglio di costituzionalità possa considerarsi sempre e comunque in contrasto con l’art. 8 della CEDU, che stabilisce un diritto individuale teso al rispetto della propria vita privata.

La Corte Europea dei diritti dell’Uomo ha, in effetti, sostenuto che il divieto oggetto di disamina, qualora la decisione di come e in quale momento porre fine alla propria vita sia assunta da persona libera nonché capace di intendere e di volere, costituisce un’interferenza con quanto riconosciuto all’art. 8 della CEDU.

Una tale interferenza è lecita solo se avente copertura di legge e solo se preordinata (in maniera del tutto proporzionale al fine perseguito) a scopi ritenuti necessari in una società democratica, quali la protezione dei diritti e delle libertà altrui.

Per tale motivo, la Corte di Strasburgo lascia un ampio margine di discrezionalità agli Stati membri del Consiglio d’Europa, essendo molti quelli che prevedono simili incriminazioni in un’ottica di protezione delle persone deboli e vulnerabili.

Di per sé, pertanto, la penalizzazione della condotta di aiuto al suicidio non può considerarsi incostituzionale.

Vanno, però, valutate attentamente le particolari situazioni come quella di cui al caso di specie: “situazioni inimmaginabili all’epoca in cui la norma incriminatrice fu introdotta, ma portate sotto la sua sfera applicativa dagli sviluppi della scienza medica e della tecnologia, spesso capaci di strappare alla morte pazienti in condizioni estremamente compromesse, ma non di restituire loro una sufficienza di funzioni vitali”.

In virtù di tale collegamento, il pensiero della Corte volge alla legislazione più recente (l. 219 del 2017) in merito alla disciplina del consenso informato e delle disposizioni anticipate di trattamento, affermando che attualmente è consentito al malato prendere la decisione di lasciarsi morire, richiedendo l’interruzione del trattamento di sostegno vitale e vincolando anche persone terze al riguardo. In tale contesto, al malato è concesso il ricorso a cure palliative al fine di evitare un decorso della malattia carico di sofferenze.

Costringere il paziente, invero, a subire un processo più lento costituisce un irragionevole discrimine rispetto alle situazioni sopra indicate, e anzi svilisce la visione di dignità nel morire del soggetto interessato, non facendo altro che prospettargli un percorso pieno di sofferenze per le persone care allo stesso.

Dopotutto, se la decisione di morire, a determinate condizioni, può essere assunta liberamente da un soggetto sottoposto a trattamento di sostengo artificiale con l’interruzione della terapia, non ci si capacita di come non possa essere garantito il medesimo diritto per chi reputa più dignitoso concludere la propria esistenza con l’aiuto altrui, sottoponendo invece tale individuo ad una protezione indiscriminata.

Al riguardo, il discorso logico-giuridico della Consulta non fa una piega: “il divieto assoluto di aiuto al suicidio finisce, quindi, per limitare la libertà di autodeterminazione del malato nella scelta delle terapie, comprese quelle finalizzate a liberarlo dalle sofferenze, scaturente dagli artt. 2, 13 e 32, c. 2, Cost., imponendogli in ultima analisi un’unica modalità per congedarsi dalla vita, senza che tale limitazione possa ritenersi preordinata alla tutela di altro interesse costituzionalmente apprezzabile, con conseguente lesione del principio della dignità umana, oltre che dei principi di ragionevolezza e uguaglianza in rapporto alle diverse condizioni soggettive”.

Preso atto di tale vulnus, la Corte non può che fare un passo indietro, dichiarandosi incompetente a colmare il vuoto di tutela.

Per di più, una pronuncia di incostituzionalità della norma oggetto di vaglio aprirebbe la strada a scenari da scongiurare, quali ad esempio l’offerta a domicilio, tramite pagamento o a titolo gratuito, di un aiuto al suicidio, senza controllo a priori non solo dell’irreversibilità della patologia ma anche dell’effettiva sussistenza del consenso informato, scaturente da processo deliberativo e autodeterminativo.

A questo punto della propria ordinanza, i Giudici indicano a titolo esemplificativo vari settori che necessariamente andrebbero approfonditi dal Legislatore: modalità di verifica medica della sussistenza dei presupposti dei fruitori della “prestazione”, la costituzione di un processo dal carattere altamente medico-scientifico, eventuale riserva esclusiva di somministrazione del trattamento da parte del servizio sanitario nazionale e possibilità di opporre l’obiezione di coscienza da parte del personale sanitario.

La Corte Costituzionale, dal momento che i succitati interventi si situano al di fuori delle sue competenze, suggerisce come strada da percorrere il possibile inserimento di una simile disciplina all’interno della legge sopra richiamata, la legge 219 del 2017, che raggiungerebbe il suo più completo risultato tramite la successiva previsione della non punibilità dall’art. 580 c.p. nel caso di compimento della procedura prevista e regolamentata dal Legislatore in materia di aiuto al suicidio.

Al fine di consentire un rapido intervento da parte del Legislator i Giudici hanno predisposto il rinvio per la trattazione definitiva della questione all’udienza del 24 settembre 2019 e hanno operato tale differimento accompagnandolo con la velata minaccia di una pronuncia di incostituzionalità, situazione già verificatasi in passato nei casi in cui non si è verificato l’auspicato allineamento normativo (tecnica inoltre già sperimentata dalla Corte Suprema Canadese).

Non ci resta che sperare che l’invito lanciato dalla Corte Costituzionale sortisca i suoi effetti e venga effettivamente accolto dal Legislatore, pur restando dubbio l’esito del procedimento giudiziario nell’eventualità in cui ciò non si verifichi, stante le valutazioni offerte da tale ordinanza.

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