L’impignorabilità degli animali domestici è legge

UNA NOVITA’ LEGISLATIVA TRA IL SUPERFLUO E IL NECESSARIO

Di Barbara Fuggiano

immagini1Lo scorso 22 dicembre la Camera dei Deputati ha definitivamente approvato la legge di stabilità per l’anno 2016 e, tra le novità, si registra anche una modifica all’art. 514 c.p.c. in favore dell’impignorabilità degli animali tenuti presso la casa del debitore o negli altri luoghi a lui appartenenti, senza fini produttivi, alimentari o commerciali, ovvero impiegati a fini terapeutici o di assistenza del debitore, del coniuge, del convivente o dei figli (art. 77 del collegato ambientale).

Insomma, nell’ambito del più importante provvedimento legislativo volto a regolare la politica economica italiana e ad approvare il Collegato Ambientale di cui si discute da più di due anni, si inserisce una particolare novità tanto marginale quanto attesa e discussa. Una schizofrenia legislativa che non stupisce e che, forse, conforta chi ha paura dei cambiamenti.

Già lo scorso aprile 2014 aveva fatto scalpore l’intervista nella trasmissione Ballarò di un ufficiale giudiziario che aveva dichiarato “si possono pignorare anche i cani”. Si trattò di una frase a cavallo tra il vero e il provocatorio.

L’art. 514 c.p.c., infatti, offre un elenco dei beni assolutamente impignorabili, poiché fondamentali e irriducibili per la vita e la dignità del debitore. Si tratta di beni di prima necessità, tra i quali: vestiti, biancheria, tavoli e sedie, posate, frigoriferi, cibo e combustibili necessari per almeno un mese, libri e oggetti indispensabili per lo svolgimento dell’attività lavorativa. Si tratta, però, anche di beni caratterizzati da un particolare valore affettivo e morale, come: la fede nuziale, gli oggetti sacri o necessari alla professione del culto religioso, la corrispondenza.

I successivi artt. 515 e 516 c.p.c. riguardano, invece, i beni ad impignorabilità relativa, subordinata al ricorrere di particolari circostanze oggettive o temporali (ad esempio, gli oggetti adibiti alla coltivazione del fondo ovvero i frutti raccolti e separati dal suolo).

Era innegabile, quindi, che il nostro ordinamento, dichiarando pignorabili tutte le “cose” del debitore suscettibili di valutazione economica, non contemplasse alcun divieto in relazione agli animali domestici. In realtà, è piuttosto discussa l’equiparazione degli animali alle “cose”.

Il legislatore non prende una posizione netta. Da una parte, è evidente che quando intende riferirsi espressamente agli animali lo fa differenziandoli dalle “cose”; si pensi alla responsabilità aquiliana che distingue i danni cagionati da cose in custodia (art. 2051 c.c.) dai danni cagionati da animali (art. 2052 c.c.). Dall’altra, è anche vero che, in materia penale, punisce i delitti che coinvolgono animali (uccisione, maltrattamenti, combattimenti e altre manifestazioni vietate) e ne disciplina il sequestro (e confisca) alla stregua dei beni materiali, ritenendo offeso non il diritto alla vita e alla salute dell’animale, bensì il sentimento nutrito dall’uomo verso quest’ultimo; molti ne hanno dedotto l’equiparazione alle “cose” piuttoste che agli esseri viventi e senzienti.

Nonostante le norme internazionali volgano a favore della tutela degli animali in quanto tali e non in quanto “beni materiali” dell’uomo, la legge italiana è ancora equivoca e i risvolti applicativi dell’incertezza giuridica sullo status dell’animale sono molteplici. Oltre alla pignorabilità, si pensi ai casi di affidamento dell’animale domestico della famiglia dopo la separazione dei coniugi; in materia, peraltro, qualche mese fa era stato presentato un disegno di legge volto a riconoscere agli animali lo status di esseri senzienti e, di conseguenza, a disciplinarne l’affidamento, in caso di separazione, a prescindere dal regime patrimoniale dei coniugi.

In ogni caso, al di là del dato normativo e dello status giuridico del fido amico, la sua pignorabilità è pressocché inesistente e inapplicata. Anche a voler ritenere l’animale un mero bene materiale, occorrerebbe attribuirgli un valore economico; ciò risulta senz’altro più agevole per gli animali da stalla, da pascolo o da allevamento, ma assolutamente improbabile per gli animali da compagnia o detenuti per scopi terapeutico-assistenziali. In questi ultimi casi, infatti, il creditore non trarrebbe alcun beneficio dal pignoramento dell’animale stesso e l’ufficiale giudiziario non potrebbe procedere in tal senso, dovendo ricercare altri beni del debitore da sottoporre al vincolo di indisponibilità.

L’argomento più convincente per escludere la pignorabilità degli animali domestici è, poi, la c.d. “ritorsione sull’affetto”. Come già detto, la legge impedisce che al debitore vengano pignorati beni con valore affettivo o simbolico (es. fede nuziale e simboli religiosi), al fine di evitare che l’espropriazione forzata divenga una mera forma di ritorsione psicologica e morale volta a forzare l’estinzione del debito. È logico e intuitivo ipotizzare che il gattino, il cagnolino, il coniglietto e ogni altro animale posseduto da una famiglia debba rientrare in questa categoria di “beni” assolutamente impignorabili.

Tutti questi elementi avevano già placato le polemiche insorte per la disinformazione ricamata sulle parole pronunciate a Ballarò, tuttavia il legislatore ha ritenuto di dover intervenire in senso favorevole all’opinione pubblica, inserendo una specifica previsione di impignorabilità dell’animale da affezione. Oltre che superfluo, un intervento di questo tipo rischia di confermare la tanto osteggiata (dai più) equiparazione degli animali alle “cose”; se si ammettesse che si tratta di esseri viventi e senzienti, infatti, già solo questo permetterebbe di escluderne la pignorabilità (riservata solo alle “cose”).

Insomma, come al solito, in Italia non tutte le ciambelle “escono” col buco.

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