Focus: Gli stupefacenti e l’uomo nei secoli. 8^ Puntata- L’oppio

II PARTE. DAL MEDIOEVO ALLA FINE DEL RINASCIMENTO.

L’oppio diventa un elemento fondamentale della farmacopea araba. Il filosofo e medico Avicenna vissuto nell’anno 1000, la cui morte si ipotizza causata da una dose eccessiva di oppio, nel “Canone” descrive per la prima volta il rischio di danni psicologici e fisiologici provocati dall’oppio e il fenomeno della dipendenza. La tradizione araba filtra nella medicina occidentale, portando alla riscoperta dell’uso dell’oppio. Nella scuola medica salernitana si diffonde l’uso come anestetico di una “Spongia somnifera” imbevuta d’oppio, giusquiamo, mandragora e canapa. Nello stesso periodo gli alchimisti assumono oppio per favorire la creatività e l’immaginazione necessarie per la ricerca della pietra filosofale e dell’acqua di gioventù. Paracelso afferma che la causa dei suoi successi sia da attribuire ad un preparato a base d’oppio, il laudano, elaborato grazie ad una ricetta del medico Fra Castoro. Thomas Dover, grande medico inglese del 1600, elabora la “polvere di Dover”, un medicamento contro la gotta e a base d’oppio, liquirizia e salnistro.

L’ETA’ MODERNA.

Nel ’700 l’Inghilterra ha il primato europeo del consumo di oppio, parallelamente alla diffusione di teorie scientifiche sui benefici dell’oppio nella cura di ogni malattia e per calmare il dolore. Medici famosi come Cullen e Brown consigliano criticamente la somministrazione di oppio per la terapia di cancro, colera, malaria, reumatismi etc. La Rivoluzione industriale segna l’inizio dell’epidemia dell’abuso dell’oppio, che avrebbe poi invaso anche il resto d’Europa e gli Stati Uniti. L’aumento dell’offerta veniva sostenuto dalla travolgente affermazione del capitalismo europeo, che porta a una forte riduzione dei prezzi; l’aumento della domanda era generato dall’espandersi dei bisogni sociali di una popolazione improvvisamente catapultata nell’urbanesimo moderno. L’oppio prende ad essere utilizzato dalla gente per scopi di automedicazione, come analgesico, e a scopo di evasione, essendo venduto a prezzi decisamente inferiori di quello dell’alcol. Proliferarono prodotti a base d’oppio in libera vendita, sciroppi, polveri e cordiale dai nomi rassicuranti (lo sciroppo dolce della signora Winslow, Il cordiale Godfrey, L’elisir all’oppio di Mc Munn), particolarmente graditi ed usati dai minori. In Usa era diventata una sostanza d’abuso particolarmente diffusa fra gli strati borghesi e soprattutto fra le donne, che la usavano per i dolori mestruali, per la depressione e per combattere l’ansia. Ne sono illustri cantori delle doti molti scrittori: Thomas de Quincey scrive le “Confessions of an English opium-eater”, in cui giunge fino a propagare l’oppiomania ad un’autentica religione e ad attribuire all’oppio una vita, una coscienza misteriosa, una forza occulta e operosa. L’oppio si gusta e si fuma nell’intimità della propria casa, in un piccolo cenacolo di amici; fumare è adempiere a tutta una serie di riti che vanno dall’arredamento del locale, alla pipa (Narghilè), alla preparazione della pallina di chadoo. Il tutto deve favorire l’estasi trascendente fatta di rivelazioni, visioni, apocalissi e culminante in uno stato di grazia. Genio familiare rivolgendosi a Torquato Tasso in un dialogo delle “Operette morali” di Leopardi propone, come rimedio contro la noia, l’oppio che dovrà concedere l’oblio momentaneo, nell’attesa della totale quiete della morte. Baudelaire nei “Paradis Artificiels” canta l’oppio che ha il compito di stendere un velo sulla realtà e aprire il regno della reverie, la fantasticheria. 

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