Antico sito dei Piceni a Casine di Paterno

SCAVI IN CORSO PER ABITATO E NECROPOLI

 kylix attica, uno degli oltre 100  reperti in attesa di restauro ritrovati nel sito archeologico Piceno a Casine di Paterno, Ancona (foto di Silvia Breschi)
kylix attica, uno degli oltre 100 reperti in attesa di restauro ritrovati nel sito archeologico Piceno a Casine di Paterno, Ancona (foto di Silvia Breschi)

– ANCONA – di Elisa Messina e Giampaolo Milzi – I Piceni a Casine di Paterno, frazione di Ancona. E mica di passaggio. Un insediamento stabile, un villaggio. Piccolo, ma ben organizzato, sia per viverci e lavorarci, sia per riposarci in pace una volta defunti. La grande notizia è del 5 settembre scorso, quando durante i lavori per la terza corsia dell’A14, lungo una stradina parallela all’autostrada (esattamente all’incrocio fra la zona del Taglio e Agugliano), è venuto alla luce un sito archeologico molto importante. La campagna di scavi subito avviata dalla competente Soprintendenza delle Marche in un’area di circa 700 metri quadri ha fatto affiorare, consentendone il recupero, un centinaio di reperti. Già i primi studi li ritengono i tasselli di un prezioso mosaico che disegna un centro abitato, una necropoli, perfino una fornace. Una rilevante notizia, per certi aspetti eccezionale. Vero infatti che nell’area a nord di Ancona erano già emerse testimonianze di una storia civile molto antica: a Sappanico una tomba ellenistica; a Paterno un candelabro bronzeo anch’esso di età ellenistica (III-II sec. a.C.); una villa rustica romana nella Selva di Gallignano (per fare alcuni esempi). “Ma la scoperta di questo insediamento con necropoli costituisce un vero e proprio unicum, in una zona riferita in genere alla presenza degli Umbri, dove non era mai invece stata attestata una presenza ancora più antica, picena appunto -, ha sottolineato Mario Pagano, soprintendente ai Beni archeologici della nostra regione. Una presenza stabile che ci riporta almeno a 2500 anni fa.

Insomma, pensando anche alla leggenda dei Piceni – di cui sono notissime le vaste necropoli a Numana, Sirolo e nell’area del Conero – in pochi avrebbero immaginato che il celebre picchio che periodicamente guidava gli esodi di questo popolo verso l’Adriatico si fosse fermato anche nei pressi di Casine di Paterno, a settentrione di Ancona (sul Colle Cardeto di Ancona sono venuti alla luce in passato tombe e frammenti riconducibili ad abitazioni picene). Pagano: “I siti con reperti piceni conosciuti e più vicini sono a Camerano e a Monte San Vito. Ora dovremo studiare e forse riscrivere la storia degli insediamenti piceni in questa provincia”.

Gli esperti e i tecnici della Soprintendenza, sotto la regia della funzionaria di zona archeologa Maria Raffaella Ciuccarelli (oltre che di Pagano) hanno sottoposto il terreno con le “impronte” e le tracce dell’abitato piceno di Casine ad analisi stratigrafiche che hanno consentito l’individuazione di due-tre fasi costruttive. Importante, per orientarsi sulla datazione, il fatto che tra il centinaio di frammenti rinvenuti riferibili ad un’attività edilizia non vi siano tegole, solitamente utilizzate in un periodo successivo alla metà del VI sec. a.C. “In ogni caso l’eventuale datazione del villaggio ai secoli precedenti attende di essere confermata da ulteriori indagini, in grado di chiarire il rapporto tra gli esiti delle analisi e la cronologia dei materiali rinvenuti. – ha osservato la dott.ssa Ciuccarelli – Così come va ancora chiarito se la necropoli sia davvero coeva al villaggio”.

 Punta di lancia da combattimento in ferro proveniente dallo stesso sito (foto di Silvia Breschi)
Punta di lancia da combattimento in ferro proveniente dallo stesso sito (foto di Silvia Breschi)

Gli archeologi hanno verificato che i reperti sono presenti un po’ in tutta l’area di scavo, ma soprattutto sono stati fino ad ora portati alla luce nel primo e in parte nel secondo dei quattro riquadri planimetrici in cu la stessa area è stata suddivisa. E ci dicono molto sulle tecniche cui si fece ricorso per erigere piccole dimore simili a capanne. Si tratta di frammenti di argilla concotta, oltre che di incannucciato. L’argilla veniva spalmata e lisciata sul graticcio ligneo di canne intrecciate costitutivo delle pareti delle dimore. Queste ultime sorrette da pali, dei quali sono state individuate alcune buche di fissaggio. Materiale edilizio di risulta è stato poi trovato in grandi fosse, probabilmente usate come depositi in tempi successivi. Di più: parti di una piastra forata tipica dell’operatività sul posto di una fornace attestano la produzione di ceramica, di cui sono stati raccolti alcuni frammenti di scarto. Tutto ciò fa pensare ad una civiltà rigorosamente organizzata, che sa gestire con ordine lo spazio e il tempo della vita, pur con l’immancabile chiodo fisso: il “memento mori”. Ne è dimostrazione la necropoli (come già detto del VI secolo a.C.), sottostante il manto stradale. Per ora sono tre le tombe oggetto di studio continuo: due fosse quadrangolari, una coi resti di un corpo femminile, l’altra con quelli di una salma maschile; sul fondo della terza, in parte molto deteriorata, le ossa di un bambino. Nelle due tombe di individui adulti erano depositati i relativi corredi funerari. “Corredi disposti in modo regolare e preciso, vicino alla testa e ai piedi degli inumati, secondo una logica molto ricorrente nel mondo antico, anche piceno”, sottolinea la dott.ssa Ciuccarelli. Corredi legati ad una certezza cara anche ai Piceni: la vita prosegue oltre la morte, in un’altra dimensione. Per il guerriero una punta di lancia è il richiamo al dovere delle armi. Proprio come nella vita terrena, anche in quella nell’aldilà c’è il tempo per il dovere, ma anche per il piacere. Il buio dell’oltretomba, affatto ignoto, può essere la buona scusa per concedersi trasgressioni e libertà. Come una lunga notte, in cui spassarsela tra gozzoviglie e sbornie, a scolarsi vino alla faccia del nemico sconfitto in battaglia. Ciò spiega la tipologia delle componenti dei corredi rinvenuti. Vasi per bere di produzione ellenica, uno nella tomba maschile e due nella femminile. Nella tomba maschile alcuni piattelli rialzati (piccoli piatti) per consumare cibo e la punta di una lancia da combattimento in ferro. Nella fossa funebre della donna anche coppe per bere, diversi pocola, cioè bicchieri in ceramica d’impasto a forma di vaso (cilindrico-ovoidali) con quattro anse a bocca molto larga, una bella kylix attica, ovvero una coppa da vino (anche questa in ceramica) molto usata nell’antica Grecia a partire dal VI sec. a.C.

La tomba maschile presenta i resti di una copertura lignea, a conferma di una tecnica usata dai Piceni – sottolinea la dott.ssa Ciuccarelli – Ne faremo una precisa ricostruzione al computer”.

Qualche dubbio assilla gli studiosi: qual è il rapporto “fisico” tra necropoli e abitato? E i ricchi corredi funebri sono costituiti da materiali che venivano già usati in vita o realizzati “ad hoc” in vista dell’evento estremo? La dr.ssa Ciuccarelli ci tiene a sottolineare che c’è molto da indagare su questi come su altri aspetti, ad esempio la presenza di una tomba romana venuta negli stessi giorni alla luce non lontano dall’abitato e dalla necropoli. E annuncia: “Gli scavi condotti sul campo dagli esperti archeologi della società Kora, si concluderanno alla fine di ottobre… e ci sarà ancora molto, davvero molto da fare e da scoprire”.

(tratto da Urlo – mensile di resistenza giovanile)

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