“Non si possono vendere i cani morti”

NUOVO ROMANZO DI RICCARDO ANGIOLANI
  

 – ANCONA – di Oskar Barrile – Dieci anni della vita di Diego Diavolani, che veloce scorre lungo tutti gli anni ’90: dalle prime scelte poco più che 20enne, come l’università, l’amore per Bea, l’obiezione al servizio militare, fino a quelle ancora più impegnative, come la nascita della figlia. Un evento frutto di quell’amore tormentato che, con alti e bassi, si dipana lungo varie vicende in cui il protagonista è sempre ai ferri corti con se stesso, e contro un mondo che sembra ostacolarlo, imbrigliarlo, precludergli ogni tentativo di migliorare la propria condizione. Diavolani, con le sue aspirazioni e le sue aspettative, si misura con la realtà. E attraverso delusioni, fallimenti e nuove esperienze, raggiunge – o meglio, conquista – una nuova visione di sè e dei suoi sentimenti, in un contesto più maturo e riflessivo, lungo un percorso costellato di prove difficili e rischiose.

Ma ora rimuovete i vostri filtri mentali – quelli grazie ai quali ci è permesso di sopportare l’attuale condizione in cui versa il mondo intero – e dimenticate quanto scritto sopra. Perché “Non si possono vendere i cani morti”, questo secondo lavoro letterario dell’anconetano Massimo Angiolani edito da ItalicPequod, è molto più di un romanzo di formazione. E’ il tentativo, magistralmente riuscito, di chiedersi, con il linguaggio tipico dell’arte, come siamo riusciti a diventare una popolazione di sonnambuli, apatici e privi di aspirazioni e sogni collettivi, e nel contempo insaziabili divoratori di condivisione su tutte le piattaforme social possibili: google, facebook, twitter, tablet, smartphone…. Questa trasformazione comincia molto tempo fa, quando ancora Diego Diavolani – neo obiettore di coscienza suo malgrado ma in guerra con tutti, lui compreso – sperduto in un paesino di provincia per assolvere l’obbligo del servizio civile, chiama la sua Bea da un telefono a gettoni. Siamo nei primi anni 90, lo sottolineiamo ancora: niente telefonini, internet, playstation; e la vita del giovane personaggio frutto della fantasia di Angiolani già sperimenta un esistenzialismo precario sempre più pressante, quella precarietà che oggi è condizione comune per milioni e milioni di persone. Cosa sono stati gli anni ’90 se non l’inizio della fine? Guerre in Medio Oriente, nei Balcani, l’Intifada, migrazioni di intere popolazioni, profughi, missioni militari, grandi bolle speculative, crisi finanziarie, caratterizzarono quel periodo, marciando di pari passo con lo sviluppo della globalizzazione, e continuano a segnare l’attualità contemporanea. Afflitta anche dalla progressiva perdita di valore del lavoro e di chi lo compie: tutto diventa precario, e si finisce per vivere part-time. Migliaia di ragazzi e ragazze come Diego Diavolani hanno sperimentato per primi, nel decennio di fine millennio, la stessa precarietà e lo stesso disagio. Ma privi dell’arma segreta che permette a Diavolani di non soccombere, di continuare ad essere “contro”. Diavolani non smette mai di coltivare i suoi sogni: quello di diventare uno scrittore, di un grande amore. E, pagina dopo pagina, tra pericolose avventure e sconvolgimenti sentimentali, mette continuamente a repentaglio la propria vita pur di trovarle un senso.

Ecco perché, con la dovuta attenzione, scopriamo che “Non si possono vendere i cani morti” è bellissimo, un libro che ci fa leggere anche il mutamento antropologico che ci ha trasformati negli ultimi 20-25 anni, e ci indica forse la rotta per ribellarci, adesso, anche e soprattutto a noi stessi.

La videolettura di presentazione di “Non si possono vendere i cani morti” è su YouTube all’indirizzo https://youtu.be/vznUuI32duI. Per organizzare letture dal vivo si può chiamare il numero di telefono 349/8512917

(tratto da Urlo – mensile di resistenza giovanile)

 

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