“Fino a qui tutto bene”, giovani speranze anestetizzate

TRAVAGLI GENERAZIONALI, NEL FILM DI ROAN JOHNSON

locandina filmjpg– ROMA – di Alessandro Faralla – Quando un film riesce a trasmetterti la leggerezza e la malinconia che certe fasi della vita si portano dietro è sicuramente un aspetto positivo. Mi recavo all’anteprima di “Fino a qui tutto bene” (al cinema dal 19 marzo), del regista Roan Johnson, curioso e preparato. Preparato nel senso che ero a conoscenza di un po’ di cose, ad esempio sapevo che il film aveva vinto lo scorso anno il Premio del Pubblico al Festival Internazionale del Film di Roma e in generale era stato accolto con interesse.

La vicenda ruota intorno alla vite di 5 studenti universitari intenti a salutare una pagina importante della loro vita, è il loro ultimo weekend da coinquilini a Pisa. Una parte della loro vita li lascerà presto: anni di nottate a studiare, di festini, di disordine, di approcci alla convivenza differenti, di paste col nulla, del sesso senza impegno. Ora è momento di guardare oltre quelle mura, di fare in conti con una realtà complicata e avversa.

Gli ultimi giorni universitari tra sogni andati persi, disillusioni, ricordi di amici che non ci sono più, speranze, li vedranno confrontarsi, scontrarsi anche duramente.

La possibilità di un posto di lavoro fuori dall’Italia di uno dei cinque è la piccola miccia che porta ognuno a parlare liberamente, in una specie di resa dei conti in cui tutti giudicano gli altri.

Questi passaggi vengono inseriti brillantemente e in maniera pulita, sincera nel resto della trama, caratterizzata da molti momenti spassosi e divertenti.

La vita e le storie di Vincenzo – che riceve l’offerta di andare a studiare i Vulcani in Islanda, assicurandosi poi un posto da professore associato a 3000 euro al mese (ma la vicenda registrerà poi degli attriti) – e messa in discussione dalla relazione con Francesca. Francesca assieme a Cioni e soprattutto ad Andrea, con la loro compagnia teatrale “I Poveri Illusi”, ha coltivato il sogno di una carriera artistica. Ilaria, rimasta incinta, che non sa che fare, cosa dire ai suoi. Vincenzo, Francesca e Ilaria sono lo specchio in cui la maggior parte dei giovani italiani, specie universitari, si può vedere con chiarezza.

Uno specchio di un’Italia dove l’attitudine, i desideri, le speranze dei ragazzi sono anestetizzate, non riescono a sprigionarsi perché viviamo (e loro ci sono dentro) un tempo di continuo spaesamento dove l’orizzonte di una terra serena e ospitale ci appare inafferrabile.

Im questo film di Roan Jhonson, Pisa e il suo ateneo hanno giocato un ruolo fondamentale per l’idea del lungometraggio: è nato infatti sulla base del documentario finanziato dall’Università che raccontava le storie dei ragazzi; nella sua freschezza, nel suo esser genuino, narra con leggerezza i travagli di una generazione e per questo risulta non solo nostalgico ma anche un po’ amaro, perché immortala la vita vera, in cui però la voglia di non arrendersi dei giovai emerge. E in questo c’è molta affinità nella piccola impresa che ha portato Johnson alla realizzazione del film.

Curiosità: per finanziare il film è stata utilizzata una formula particolare, la realizzazione in partecipazione; ossia nessuno degli attori e dei tecnici è stato pagato per il lavoro svolto, ma ad ognuno è stata assegnata una percentuale sugli incassi in sala.

Il regista ha dichiarato “che se il film incasserà più di 250 mila euro sarà un successo perché vorrà dire che ognuno potrà essere pagato per il lavoro che ha fatto”.

All’incontro, qualche settimana fa, tenuto con gli studenti di Pisa per presentare il film, era presente Paolo Virzì, quello che si può considerare il mentore di Roan Jonhson. E Jhonson ha ironizzato dicendo che nel suo mestiere ci vuole soprattutto culo, e che per lui “il culo” è stato quello di incontrare Virzì.

La carriera del pisano è legata infatti al regista livornese. “Era nella commissione che mi ha valutato per l’ammissione al Centro sperimentale di cinema di Roma” – ha ricordato Johnson – mi diceva che dovevo fare il regista mentre io studiavo da sceneggiatore”. La conferma è arrivata da Virzì: “Ho capito subito che aveva doti di narratore, ma che non era fatto per restare in penombra come fanno gli sceneggiatori”.

Johnson poi esordirà alla regia in un episodio di “4-4-2” di Virzì, che ambienterà a Pisa.

 

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