Dalle minacce mafiose al Pm Di Matteo alle novità in vista in materia penitenziaria

ART. 41 BIS E NUOVO DECRETO LEGGE IN MATERIA PENITENZIARIA: DUE FACCE DELLA STESSA MEDAGLIA

di Avv. Marusca Rossetti

imagesIn questi ultimi giorni si è fatto un gran parlare dell’assenza del pm Di Matteo all’udienza svoltosi lunedì 11 dicembre nell’aula bunker n. 2 di Milano per il processo “Trattativa Stato-mafia” nel corso della quale è stato sentito il pentito Giovanni Brusca. La mancata presenza del magistrato è stata determinata dalle minacce di morte a lui indirizzate da Totò Riina attualmente rinchiuso nel carcere di Opera. Il capo dei capi, infatti, il 14 novembre, rivolgendosi a un altro uomo d’onore con il quale condivideva l’ora d’aria, avrebbe detto “Questo Di Matteo non ce lo possiamo dimenticare. Corleone non dimentica” . E al suo interlocutore che gli palesava la difficoltà di eliminare il giudice se fosse stato trasferito presso una località segreta a motivo di altre precedenti minacce dello stesso boss, Riina avrebbe risposto “Tanto sempre al processo deve venire”. Immediata la risposta di Angelino Alfano il quale, con grande fermezza, ha dichiarato che lo Stato è pronto ad indurire la legislazione sul carcere duro. Ma sarebbe davvero possibile? E, soprattutto, sarebbe determinante ai fini della risoluzione del problema?

Quando si parla di carcere duro, si fa riferimento all’art. 41-bis della L. 354/1975 sull’ordinamento penitenziario e sull’esecuzione delle misure privative e limitative della libertà. Introdotto per la prima volta dalla L. 663/1986(cd. Legge Gozzini) prevedeva forti limitazioni alla vita carceraria da applicarsi, in principio, solo in situazioni di rivolta o di altre gravi situazioni di emergenza interna alle carceri italiane. Dopo la strage di Capaci del 23 maggio 1992, dove perse la vita Giovanni Falcone, la moglie e gli uomini della scorta, con il cd. Decreto antimafia Martelli-Scotti, convertito nella legge n. 356/92, venne aggiunto un seconda comma che consentiva al Ministro della Giustizia di sospendere, per gravi motivi di ordine e sicurezza pubblica, le regole del trattamento e gli istituti dell’ordinamento penitenziario nei confronti dei detenuti facenti parte di organizzazioni criminali mafiose. Il 41-bis nasce come strumento per impedire le comunicazioni con l’esterno e infatti le limitazioni applicate a seguito di decreto del Ministero sono piuttosto severe. Salvo rare eccezioni stabilite dall’autorità giudiziaria, ai detenuti in regime di 41-bis sono vietati i colloqui con persone che non siano familiari o conviventi, a meno che anche questi non facciano parte di clan o cosche mafiose e, dietro autorizzazione dell’autorità giudiziaria, gli stessi possono essere sottoposti a controllo auditivo e registrati. Per coloro che non effettuano colloqui, invece, è consentita una telefonata al mese, registrata e che non può durare oltre i dieci minuti, ma solo dopo che siano trascorsi sei mesi di 41-bis. Tutti i colloqui, inoltre, sono sottoposti a videoregistrazione. Anche la cd. ora d’aria subisce delle forti limitazioni: non può svolgersi in gruppi superiori a quattro persone e non può avere una durata superiore alle due ore. Ovviamente in cella sono eliminate Tv, radio, fornelli da cucina, oltre a qualsiasi oggetto offensivo. Viene applicata pure una forte censura e limitazione della corrispondenza, salvo quella ricevuta da autorità parlamentari o di giustizia, e gli oggetti che possono essere ricevuti dall’esterno sono severamente controllati e limitati. Il decreto emesso a norma del co. 2 dell’art. 41-bis ha durata pari a quattro anni e può essere prorogato per periodi successivi ciascuno pari a due anni.

Ma in questo regime di detenzione già nel 1995 il Comitato Europeo per la prevenzione della tortura, in visita nelle carceri italiane, ha intravisto gli estremi per definire le restrizioni dallo stesso contemplate come trattamenti inumani e degradanti. Il nostro Paese presenta oramai un panorama carcerario a dir poco imbarazzante mostrando il fianco a ripetute e innumerevoli tirate di orecchie da parte soprattutto della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo la quale ha più volte richiamato l’Italia affinché restituisca alle persone detenute “la possibilità di un effettivo esercizio dei diritti fondamentali”, affrontando, al contempo, il fenomeno del sovraffollamento carcerario “nel rispetto delle fondamentali istanze di sicurezza della collettività”.

E in quest’ottica il 17 dicembre 2013 è stato approvato il decreto legge proposto dal ministro della giustizia Annamaria Cancellieri, elaborato dalla Commissione di studio in tema di ordinamento penitenziario e misure alternative alla detenzione presieduta dal Prof. Glauco Giostra e istituita con Decreto del Ministero della Giustizia il 2/7/2013. Importanti le novità introdotte che dovrebbero consentire di ridurre la popolazione carceraria attraverso “l’adozione di misure compensative interne” che andranno a influire sia sui flussi di ingresso negli istituti di pena, prevedendo delle modifiche in materia di piccolo spaccio di stupefacenti responsabile della presenza in carcere di un numero elevatissimo di persone; sia su quelli di uscita dal circuito penitenziario, estendendo la possibilità di accesso all’affidamento in prova al servizio sociale; ampliando a 75 giorni per ciascun semestre la riduzione per la liberazione anticipata, in un arco di tempo compreso tra il 1 gennaio 2010 e il dicembre 2015 e stabilizzando l’istituto della esecuzione della pena presso il domicilio prevista dalla legge n. 199 del 2010.

La modifica che riguarda le ipotesi di lieve entità in materia di stupefacenti consiste nell’introduzione di una nuova ipotesi di reato in luogo della previgente circostanza attenuante. Fino a qui, infatti, il sistema del bilanciamento delle circostanze poteva azzerare la portata dell’attenuante legata alla lieve entità del fatto, così arrivando, spesso, a pene molto alte e sproporzionate. La norma prevede inoltre una riduzione, nel massimo, della pena edittale. Per quanto attiene all’affidamento terapeutico sono invece state ampliate le ipotesi di concessione anche ai casi di precedenti violazioni che continueranno ad essere sottoposte alla valutazione del Giudice.

Per quanto riguarda la “liberazione anticipata” si amplia il beneficio dell’aumento dei giorni di detenzione (da 60 a 75) per ciascun semestre di pena espiata: l’applicazione retroattiva comporta una contenuta anticipazione di una uscita che si verificherebbe comunque in tempi brevi. Non si tratta di una misura automatica e non si determina una liberazione immediata (in massa) di un numero rilevante di detenuti, ma è spalmata nel tempo e comunque sottoposta alla rivalutazione del Giudice che deve verificare il corretto comportamento dei detenuti. Inoltre per i reati più gravi previsti dall’art.4 bis dell’ord. pen. è richiesta una motivazione rafforzata per giustificare la riduzione.

Viene poi istituita la figura del Garante Nazionale dei diritti delle persone detenute o comunque private della libertà personale e viene anche previsto un nuovo procedimento giurisdizionale davanti al magistrato di sorveglianza finalizzato a garantire ai detenuti e internati la tutela dei loro diritti oltre alla previsione di norme dirette a semplificare la trattazione di alcune materie di competenza della magistratura di sorveglianza. E’previsto pure un ampliamento delle possibilità di utilizzo del c.d. braccialetto elettronico nel luogo di dimora e per la detenzione domiciliare. Da ultimo, ulteriori interventi hanno riguardato la disciplina della espulsione per detenuti non appartenenti alla UE attraverso un ampliamento della platea dei potenziali destinatari della misura e mediante un più efficace coordinamento dei vari organi coinvolti nell’iter procedurale.

Questa la carrellata di novità a fronte delle quali ciò che il Consiglio dei Ministri ha tenuto a precisare è che le misure proposte “non segnano affatto un generalizzato depotenziamento della risposta giudiziaria” presupponendo sempre e comunque una valutazione da parte del giudice, tenuto conto anche del fatto che il Decreto in questione lascia inalterate le misure di rigore nei confronti delle forme più aggressive di criminalità organizzata, mentre gli istituti di favore introdotti non impediscono, in caso di successive condotte negative da parte dei beneficiari, di attivare efficaci meccanismi reattivi, impedendo ogni successivo accesso a soluzioni di tipo premiale.

E allora, a questo punto, appare lecito chiedersi come quell’inasprimento ulteriore del regime previsto dal 41-bis paventato da Angelino Alfano potrebbe trovare una giusta collocazione alla luce di quanto fin qui scritto. Perché se l’adozione di questo Decreto è diventata improcrastinabile proprio a motivo della denuncia, da parte della Comunità Europea, del mancato rispetto da parte del nostro sistema di quelli che sono i diritti fondamentali della persona, come è pensabile che, pur non avendo modificato ora un regime già considerato al limite della tortura, questi possa in futuro contemplare ulteriori restrizioni senza che per tale via l’Italia incorra immediatamente in una sfilza di sanzioni? Ma, soprattutto, siamo sicuri che nuove limitazioni eliminerebbero il problema alla radice? Se ad oggi, ancora, certi esponenti della malavita riescono nel loro intento di commissionare omicidi e impartire ordini nonostante tutte le privazioni alle quali sono sottoposti o dovrebbero essere sottoposti, sarebbe forse il caso di interrogarsi se non ci siano piuttosto delle falle all’interno di un sistema che, sulla carta, dovrebbe funzionare alla perfezione. E questo perché qualunque altra soluzione non appare possibile se non andando a ledere quel pacchetto di diritti costituzionalmente garantiti che devono necessariamente essere riconosciuti e salvaguardati anche quando ci si scontra con chi si è macchiato e vantato per delitti atroci. Nella scelta del nostro Paese di non ricorrere più alla pena di morte si è incardinato un processo di civiltà che ha segnato anche in maniera indelebile i limiti oltre i quali non ci si può e non ci si deve spingere e sarebbe molto più produttivo che le istituzioni si impegnassero nel fare bene con gli strumenti che già ci sono piuttosto che andare in cerca di altro visto che, se un individuo come Riina, ancora riesce a far battere lo Stato in ritirata fare la voce grossa non rende la sconfitta meno cocente.

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