GRAVI DISSERVIZI COME NEGLI ALTRI PENITENZIARI ITALIANI
Ancona – di Giampaolo Milzi –
Strutture fatiscenti, sporcizia, condizioni igieniche vergognose, servizi ridotti ai minimi termini. La vita dietro le sbarre del carcere di Montacuto, ad Ancona continua ad essere la negazione dei più elementari principi di civiltà umana e giuridica. E ad essere parametrica, in negativo, delle condizioni esistenziali che in genere si registrano nei penitenziari italiani. Una situazione cronica quanto intollerabile, per lo più ignorata da istituzioni, media ed opinione pubblica. Per cui da tre decenni lo Stato italiano è stato sanzionato dalla giurisdizione europea. Una situazione di gravissime sofferenze imposte ai detenuti, costretti in spazi ristretti e privi di adeguata assistenza.
Detenuti che a Montacuto, anche in questa estate appena trascorsa, sono sopravvissuti – è proprio il caso di dirlo – in un girone infernale di stampo dantesco. L’unico provvedimento che le autorità competenti hanno attuato è stato l’avvio della ristrutturazione di tre delle sezioni più deteriorate e squallide, anche per porre fine alle continue infiltrazioni d’acqua. La partenza dei lavori ha reso necessario il trasferimento di decine di detenuti, fatto che ha portato la popolazione carceraria a livello di circa 300 unità rispetto alle quasi 400 che si registravano in precedenza, anche se 300 ospiti risultano sempre troppi rispetto alla capacità ricettiva di Montacuto, realizzato per 178 posti.
E a Montacuto continua a mancare di tutto. Perfino la carta igienica e le saponette. I detenuti possono contare sulla disponibilità di un solo educatore e di due soli psicologi. L’ambulatorio, presidiato da un medico nelle ore diurne (di notte è presente solo l’infermiere), non è in grado di assicurare sufficienti servizi sanitari. Impossibile ricevere le visite di specialisti (dentisti, oculisti, dermatologi e altre figure simili), in caso di malattie e patologie di una certa gravità c’è solo la possibilità di ricorrere al 118 e al ricovero ospedaliero. Anche i volontari riescono a fatica, e con molte restrizioni, a svolgere il loro ruolo all’interno della casa circondariale. “Un detenuto straniero – ha raccontato uno di loro – fa uso della dentiera, ma non riesce a procurarsi l’adesivo per fissarla. Avrebbe bisogno di una dieta particolare, ma gli viene fornita la razione di cibo standard, e ha gravi problemi di masticazione”. Già, i detenuti stranieri. Montacuto vanta un triste primato: costituiscono il 47% della popolazione carceraria, rispetto ad una media nazionale del 37%. Inoltre il 27% dei 300 reclusi sono tossicodipendenti. Provati dai problemi di droga, avrebbero bisogno di attenzioni ed aiuti particolari. Invece sono ristretti in una situazione di promiscuità, privi di figure di sostegno, di speciali assistenti sociali, mediatori culturali.
Invivibilità, stress, senso di isolamento e di abbandono, rare le possibilità di lavorare e di fruire di corsi di formazione professionale. Vale per tutti i carcerati. “Una situazione complessiva drammatica – l’ha ribadito nel luglio scorso il segretario nazionale del sindacato di Polizia penitenziaria Donato Capece. – Tale da favorire sucidi (a fine luglio s’è tolto la vita un 28enne greco, ndr.), atti di autolesionismo, violenze e aggressioni da parte della popolazione detenuta”. Una situazione che travalica le sbarre, coinvolge anche gli agenti di polizia penitenziaria, che subiscono turni molto duri, dato che “la carenza di organico continua ad essere particolarmente critica”.
“Montacuto di Ancona rispecchia in modo aberrante la realtà di catacombe della civiltà che caratterizza l’intero apparato delle case circondariali in Italia”, ha più volte sottolineato Aldo Di Giacomo, segretario generale del sindacato di polizia penitenziaria SPP, noto per le sue tante denunce e gli scioperi della fame attuati per attirare l’attenzione delle istituzioni. Come avviare un virtuoso processo di uscita da un’emergenza ormai fin troppo consolidata? “Occorre agire a livello di sistema, e quindi anche e soprattutto normativo. – risponde Di Giacomo – C’è bisogno di nuove leggi che introducano misure alternative alla detenzione, come accade da tempo nei Paesi del Nord Europa. E di leggi che depenalizzino alcuni reati legati alla droga e all’immigrazione. Per quanto riguarda i tossicodipendenti, occorre realizzare strutture che non siano solo restrittive, ma anche e soprattutto riabilitative, sull’esempio di quella operante a Rimini, dove oltre 2000 detenuti con problemi di droga, una volta usciti, hanno fatto registrare una recidiva di reati pari quasi a zero”.
In sostanza, non si può certo dire che Montacuto, come le altre carceri italiane, sia in grado di rispettare l’articolo 27 della nostra Costituzione nella parte in cui sancisce che “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”. Lo conferma la statistica, secondo cui il tasso di recidiva di ex detenuti è pari al 70%. A fronte di tale quadro drammatico, riveste notevole importanza la battaglia politica dei Radicali per un’amnistia e la loro recente iniziativa referendaria (fino al 13 settembre hanno raccolto le firme) per presentare un pacchetto di 12 referendum, in cui il tema della Giustizia giusta per un Paese davvero civile assume un ruolo fondamentale. Alcuni dei quesiti referendari mirano a limitare la custodia cautelare in carcere solo ai casi di reati gravi, ad introdurre pene alternative alla detenzione, ad eliminare le pene detentive per illeciti penali legati alla droga di lieve entità, ad eliminare le disposizioni della legge Bossi-Fini che ha introdotto il reato di clandestinità per gli immigrati e ad abolire l’ergastolo. Un salto di qualità normativo in questo senso contribuirebbe a ridimensionare molto il sovraffollamento delle carceri, piaga principale del sistema penitenziario italiano.
(articolo tratto da “URLO – mensile di resistenza giovanile” settembre 2013)