Videosorveglianza sul posto di lavoro: una questione ancora aperta

ANALISI DELLA SENTENZA DELLA CASSAZIONE PENALE DELL’8/5/2017 N.22148

di Daniela Scopetta

unknownTema caldo quello della videosorveglianza sul posto di lavoro, specialmente dopo la recentissima sentenza della Cassazione penale, sez. III, 08/05/2017 n. 22148 con la quale viene completamente ribaltato un orientamento ormai da anni consolidato in materia di controllo a distanza del lavoratore.

Secondo la sentenza sopra citata l’installazione di un impianto di videosorveglianza all’interno dei locali di lavoro senza che sia intercorso un preventivo accordo sindacale o l’autorizzazione amministrativa equivalente integra la fattispecie penale di cui all’art. 4 della L. 20 maggio 1970, n. 300. Ed infatti, precisa la sentenza: “in tema di divieto di uso di impianti audiovisivi e di altri strumenti da cui discenda anche la possibilità di un controllo a distanza dei lavoratori, sussiste continuità di tipo di illecito tra la previgente fattispecie – prevista dagli artt. 4 e 30, comma 1, dello Statuto dei Lavoratori e dagli artt. 114 e 171 del D. Lgs. n. 196 del 2003 – e quella attualmente vigente, parzialmente ridimensionata dall’art. 23 del D. Lgs. n. 151 del 2015 (attuativo di una delle deleghe contenuto nel c.d. Jobs Act), avendo la normativa sopravvenuta mantenuto immutata la disciplina sanzionatoria per cui la violazione del citato articolo 4 è penalmente sanzionata ai sensi dell’art. 38”.

Finora l’orientamento maggioritario della Suprema Corte accettava come scriminante per la condotta del datore di lavoro la prova certa del consenso prestato dai lavoratori in mancanza di accordi sindacali o espressa autorizzazione della direzione territoriale del lavoro (per tutte cfr. Cass. pen., sez. III, 11/06/2012, n. 22611).

Alla luce della nuova pronuncia, quindi, due rimangono le vie per chi vuole installare impianti audiovisivi di sorveglianza in azienda.

L’una consiste nel trovare un accordo con le rappresentanze sindacali. Queste ultime sono le uniche titolari degli interessi collettivi di cui sono portatrici e le uniche “deputate a riscontrare se gli impianti audiovisivi, dei quali il datore di lavoro intende avvalersi, abbiano o meno, da un lato, l’idoneità a ledere la dignità dei lavoratori per la loro potenzialità di controllo a distanza, e dall’altro, l’effettiva rispondenza alle esigenze tecnico-produttive o di sicurezza in modo da disciplinarne, attraverso l’accordo collettivo, le modalità e le condizioni d’uso e così liberare l’imprenditore dall’impedimento alla loro installazione”.

L’altra è quella di chiedere (e ottenere) l’autorizzazione alla Direzione Territoriale del Lavoro.

Oltre al reato, la mancata interpellanza dei sindacati, integra anche la fattispecie della condotta antisindacale reprimibile con la speciale tutela predisposta dall’art. 28 dello Statuto dei Lavoratori (Cass. civ., sez. lav., 16/09/1997 n. 9211).

Il Garante della Privacy è più volte intervenuto ritenendo illecito il trattamento dei dati personali mediante sistemi di videosorveglianza, in assenza del rispetto delle garanzie di cui all’art. 4, comma 2 Statuto dei lavoratori e nonostante la sussistenza del consenso dei lavoratori (cfr. relazione Garante per la protezione dei dati personali, per l’anno 2013, pubblicata nel 2014).

Importante rimane in tal senso la sentenza della Suprema Corte, II sez. civ., n. 17440 del 31/8/2016, la quale chiarisce che l’immagine di un individuo dev’essere considerata un dato personale, quindi per poter installare un sistema di videosorveglianza occorre che vengano rispettate le norme prescritte dal codice sulla privacy sull’informativa al cliente e sulle procedure di installazione da seguire per evitare illeciti.

Se allora volessimo fare un riassunto della normativa potremmo dire che è consentita l’installazione di impianti audiovisivi e di altri strumenti, dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori, esclusivamente per:

a) esigenze organizzative e produttive;

b) per la sicurezza del lavoro;

c) per la tutela del patrimonio aziendale.

E comunque, prima di procedere, il datore deve sempre raggiungere un accordo collettivo con il sindacato oppure essere autorizzato dalla Direzione Territoriale del Lavoro.

Inoltre, il datore di lavoro dovrà:

1. Informare i lavoratori interessati fornendo un’informativa privacy;

2. Nominare un responsabile alla gestione dei dati registrati;

3. Posizionare le telecamere nelle zone a rischio evitando di riprendere in maniera unidirezionale i lavoratori;

4. Affiggere dei cartelli visibili che informino i dipendenti ed eventuali clienti, ospiti o visitatori della presenza dell’impianto di videosorveglianza;

5. Conservare le immagini per un tempo massimo di 24-48 ore;

6. Formare il personale addetto alla videosorveglianza;

7. Predisporre le misure minime di sicurezza;

8. Predisporre misure idonee di sicurezza atte a garantire l’accesso alle immagini solo al personale autorizzato.

Daniela Scopetta

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