Videogames e “Vite e infinite”

NUOVO LIBRO DI DIEGO K. PIERINI

copertina-vite-infiniteANCONA – di Enrico Vianelli – Il signor K, ovvero l’anconetano Diego “Kaneda” Pierini, torna a deliziarci con un altro dei suoi lavori che – come abbiamo già avuto modo di apprezzare con il suo “Overdrive” da noi già recensito – ha il sapore della nostalgia. Stavolta, con “Vite infinite”, non abbiamo a che fare con saghe epiche metropolitane o con storie ai confini della realtà (si veda il libro digitale di “Noexis”), ma con una specie di diario di bordo sul filo dei ricordi. Si tratta di un mondo che ha coinvolto un po’ tutti noi ragazzi ormai sugli “enta” (ma soprattutto sugli “anta”) in misura variabile, ovvero quello dei videogames. Diciamoci la verità, chi non ha speso soldi (e diottrie) dietro un tubo catodico ipnotizzato dalla scritta “Press play on tape” col ditino pronto a pigiare il tasto play del registratore collegato al proprio Commodore 64? (simpaticamente chiamato da Diego “biscottone beige” richiamando l’attenzione sulla stazza ingombrante e i colori non proprio vivaci ma ai quali associavamo la tecnologia più avanzata) o al precedente Vic 20 (i primi personal computer!). O, almeno, chi non ha stazionato in piccole/grandi, luminose/buie, sale giochi armeggiando fra dei “cassoni” (i così detti “arcades games”) con manopole e pulsanti colorati a suon di musichette a 8 bit? Beh, allora tenetevi forte, con questo libro vi scapperà la lacrimuccia!

Sì, perché il nostro Diego K, ha pensato bene di tirare fuori dal calderone dei ricordi le nostre prime avventure di intrattenimento giovanile, ma non avventure qualsiasi, avventure (nel vero senso del termine) tecnologiche e sofisticate.

Vite infinite” procede a “stage” (come venivano definiti i vari livelli di un gioco elettronico), ovvero in slang giovanile “muri”, che vanno a riesumare cose che con l’eterno evolversi del progresso tecnologico/scientifico rischiavamo di obliare senza pietà: come i primissimi Atari e i primissimi giochi come Pong (due asticelle proiettate su uno schermo catodico che fanno rimbalzare una pallina su fondo nero, rigorosamente bidimensionali); o come i primissimi supporti magnetici in cui conservavamo i preziosi giochi (cassette, floppy disc o addirittura cartucce estraibili e “quasi” portatili).

L’autore, bisogna dire, oltre a un linguaggio forbito ed evocativo, non lesina neanche, in armonia col suo stile meticoloso, un gran numero di citazioni: di giochi, consol, sistemi digitali, riviste e tutto ciò che ruotava intorno a queste nostre nuove e mirabolanti passioni elettroniche. Ciò per dire che, anche se in passato non siamo stati dei grandi giocatori digitali, sicuramente qualche nome ci farà spalancare la bocca ed esclamare: “È vero!”, o “Me lo ricordo!”.

L’intento del signor K , tutto sommato, è quello di mostrare quanto quella passione di allora (vista dagli adulti come una costosa perdita di tempo e di vita sociale) avesse sorprendentemente formato gli alfabeti digitali di oggi: fra i primi ad accogliere e a gestire quella grossa invenzione che è Internet, nonché fra i primi a familiarizzare con comandi software ed esperienze che oggi chiameremmo “file sharing”. Tutte cose, se ci pensate, fondamentali nel mondo del lavoro ma anche nella nostra vita quotidiana. Che, volenti o nolenti, si è quasi completamente digitalizzata.

Vite Infinite”, edito da Ultra, rappresenta un’ottima occasione per strapazzarci di ricordi o, nel caso quegli anni non siano stati vissuti direttamente, per leggere una validissima testimonianza di ciò che fu fenomeno di costume, un pezzo di storia da raccontare alle nuove generazioni. Il consiglio è di leggere questo libro godibilissimo con una mano e di consultare con l’altra in tempo reale il proprio modernissimo smartphone collegato alla rete per scartabellare i tantissimi nomi citati, per avere un’idea immediata di cosa si sta parlando.

In fondo non è anche questa una meravigliosa e coinvolgente avventura multimediale?

(articolo tratto da Urlo – mensile di resistenza giovanile)

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