Stress lavorativo e profili indennitari INAIL

LA CASSAZIONE SULLA INDENNIZZABILITÀ DELLO STRESS DA ECCESSO DI STRAORDIANRI

di Dott.ssa Chiara Carioli

Quando parliamo di “malattia professionale” (in medicina teamwork-2204257_960_720cd tecnopatia) ci riferiamo ad una patologia che lentamente, e non violentemente, agisce all’interno dell’organismo umano comportando e producendo un’infermità di carattere assoluto e non permanente, purché questa possa essere posta in rapporto causale con lo svolgimento di un’attività lavorativa.

Il rischio sofferto, per essere definito come tale, deve essere dunque provocato dalla stessa lavorazione e da una serie di atti ripetuti nel tempo, ovvero direttamente dall’ambiente in cui si va ad espletare la mansione lavorativa dovendosi però in tal caso parlare di sussistenza del cd rischio ambientale.

Per far fronte a tali situazioni, l’INAIL (Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro e le malattie professionali) riconosce al lavoratore – allo scopo di lenire le situazioni di infermità o di lesioni fisiche contratte a causa di prestazioni lavorative e/o servizi svolti – le cd “cause di servizio”, suddividendo le malattie professionali in “tabellate” e “ non tabellate” per distinguerle al meglio tra quelle approvate, meritevoli di indennizzo da parte dell’istituto stesso, e quelle non approvate, meritevoli di indennizzo solo con onere probatorio a carico del lavoratore.

Per quanto concerne le malattie tabellate, esse sono più facilmente riconosciute  in quanto in presenza di una di queste patologie – ventiquattro previste per il settore dell’agricoltura ed ottantacinque per il settore dell’industria – il lavoratore deve solo provare l’effettivo svolgimento di quella determinata attività/mansione lavorativa disposta nella tabella, o all’occorrenza dimostare l’esposizione al rischio ambientale provocato da quella lavorazione, ed effettuare la denuncia nel termine massimo di indennizzabilità.

Appare evidente che tale presunzione è superabile solo provando che la malattia è stata causata da fattori non imputabili all’attività lavorativa: onere probatorio, in tal caso, a carico dell’ente.

Diversamente, in merito alle malattie non tabellate (introdotte a seguito della pronuncia della Corte Costituzionale n. 179/1988) il lavoratore avrà più difficoltà ad ottenere la prestazione previdenziale dovendo egli, essendo l’onere probatorio a suo carico, dimostrare che la patologia di cui è portatore, pur non ricorrendo le condizioni previste nelle tabelle, ha comunque origine professionale.

Tale suddivisione ad oggi, però, non può più essere considerata così tassativa ed indiscutibilmente vincolante in quanto, oltre all’aumento all’atto pratico delle richieste rivolte all’INAIL di indennizzo di malattie professionali non tabellate, sono inequivocabilmente mutati i contenuti, i settori, gli ambienti, e soprattutto il modus operandi delle singole attività lavorative.

Nello specifico, molti ambienti lavorativi a causa di una intensa mole di attività o a causa di una errata e mal condivisa organizzazione, di straordinari svolti al di sopra della soglia legale prevista e/o a causa di altre situazioni di particolare criticità che rendono ostile e meno produttiva l’atmosfera lavorativa, sono fonte di uno stress psicofisico lamentato dai lavoratori stessi.

Ora, ben si può dire che il lavoro è il motore fondamentale di ogni società democratica, ma di fatto non può essere questo espletato e vissuto in modo tale da comportare un aggravio o un rischio alla salute delle persone che lo svolgono.

Difatti, è stata recentemente ribadita dalla Suprema Corte -con la pronuncia n. 24361 del 16.10.2017-  la risarcibilità del danno da stress psicofisico, definendolo da “usura psicofisica” e classificandolo come danno non patrimoniale causato dall’inadempimento contrattuale del datore di lavoro che ha violato non solo  il contratto stipulato con il dipendente, ma anche il CCNL ai sensi e per gli effetti dell’art 2087 c.c.

Ebbene, sarebbe dunque opportuno capire quando e quali condizioni debbano sussistere per far si che lo stress psicofisico possa essere risarcito dal datore di lavoro.

Oggi a tale quesito possiamo in parte rispondere grazie ad una recente sentenza della Corte di Cassazione Civile, Sezione Lavoro, del 5 marzo 2018 n.5066, nella quale è stato sancito che lo stress da lavoro deve essere considerato un  “rischio specifico improprio”, ossia “non strettamente insito nell’atto materiale della prestazione, ma collegato con la prestazione stessa, e di conseguenza che le malattie professionali da esso generate sono – ove ne ricorrono i presupposti – oggetto di tutela da parte del Testo Unico delle disposizioni per l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali”.

Più specificatamente, nella fattispecie concreta esaminata dalla Corte con la sopraindicata pronuncia oggetto della controversia era uno status di stress psicofisico causato da un eccesso di straordinari dovuti ad una particolare ed errata organizzazione lavorativa.Ma vi è di più.

Con tale pronuncia, gli ermellini hanno chiarito e disposto su molteplici profili in merito alle richieste di indennizzo rivolte all’INAIL che abbiano come fondamento una forma di tecnopatia da usura psicofisica.

Nel pronunciarsi, la Corte stabilisce che non può essere accolta la tesi sancita nella sentenza impugnata secondo cui l’assicurazione obbligatoria non può coprire patologie che non siano correlate a rischi specificatamente considerati nelle apposite tabelle, affermando altresì che, spettando al lavoratore provare l’origine professionale di qualsiasi malattia, sono necessariamente venuti meno anche i criteri selettivi dei rischi professionali specifici previsti dalle tabelle o dalla legge.

Orbene, la conclusione a cui la Suprema Corte è giunta è quella per cui “ogni forma di tecnopatia che possa ritenersi conseguenza di attività lavorativa risulta assicurata all’INAIL, anche se non è compresa tra le malattie tabellate o tra i rischi tabellati, dovendo in tal caso dimostrare il lavoratore soltanto il nesso di causa tra la lavorazione patogena e la malattia diagnosticata”.

Alla luce di tale recente pronuncia, emerge in definitiva che l’ente è obbligato a pagare anche quei disturbi dell’adattamento, cui sono correlati ansia e depressione, causati dallo svolgimento di un eccessivo numero di ore di lavoro straordinario.

Si evidenzia, dunque, come ad oggi anche la giurisprudenza abbia compreso e preso atto dell’esigenza di ampliare la tutela a favore del lavoratore, il quale spesso è straziato da stili lavorativi patogeni e logoranti da lui non dipendenti e rispetto ai quali nulla può fare se non esercitare il proprio diritto a un giusto indennizzo, dimostrando il nesso causale sussistente tra l’attività “malsana” svolta e la malattia psicofisica lamentata.

 

 

 

Leave a Reply

Your email address will not be published. Required fields are marked *

Back To Top