Moonlight, la recensione

di Alessandro Faralla (Responsabile Cultura e Spettacoli F&D)

IL FILM PREMIO OSCAR 2017 AMBISCE AD ESSERE POETICO SENZA MAI TROVARE UNA REALE ARMONIA, UNA VOCE AL PERCORSO DEL PROTAGONISTA

Moonlight

In quella che è stata l’edizione degli Oscar più black degli ultimi anni un film come Moonlight è presente quasi d’ufficio anche perché per scenario e impostazione il film, almeno nelle intenzioni, custodisce più di tutti l’anima vigorosa e tormentata della comunità afroamericana.
Barry Jenkins basandosi sull’opera teatrale In Moonlight Black Boys Look Blue di Tarell Alvin McCraney scrive e dirige una storia di evoluzione impregnandola di lirismo e simbolismo.

Moonlight segue attraverso tre atti, infanzia, adolescenza, età adulta, la vita di Chiron, afroamericano dei sobborghi di Miami. Con una madre tossicodipendente troverà nel benestante spacciatore Juan (Mahershala Ali) una sorta di rifugio, un protettore da un’esistenza burrascosa nel suo animo più che per il contesto esterno.
Sta proprio nell’estetica la volontà di Barry Jenkins di spogliare quell’ambientazione dai luoghi comuni sui ghetti periferici abitati dai neri; niente è sporco o abbandonato, perché si spaccerà anche, ma è vietato farsi per le strade tanto deserte quanto limpide.
La ricerca di quel chiaro di luna trova nell’acqua l’elemento di purificazione ricorrente, un approdo sincero per Chiron, libero di vivere, sperimentare, di provare respirare oltre i nomignoli che caratterizzano il suo vissuto.
Attraverso inquadrature sinuose, prive della frenesia di un contesto sub urbano, Jenkins vuole catturare i movimenti del corpo, fare della fisicità un ornamento profondo, sublimando col contatto e con i colori i pensieri schiacciati, le parole nascoste di Chiron, la sua incapacità di alzare lo sguardo, di liberare le spalle dalle catene di una vita mai sbocciata.

Ostinato nel fare di ogni fase della vita di Chiron un ritratto poetico Moonlight si mostra sfuggente e didascalico restituendo con una visione astratta e rigidamente evocativa il tentativo di Chiron di aver una tonalità definita della sua esistenza, di abbracciare il suo io più profondo, prendendo coscienza senza incubi della propria omosessualità.

A differenza del Mason di Boyhood il cammino del piccolo Chiron vuole palesare un’armonia anche nei momenti di turbamento, di conflitto, una naturalità purtroppo non riscontrabile né nello stile né nelle prove attoriali riducendo il tutto su quegli schemi e luoghi comuni, nelle premesse da non far entrare per donare un senso altro, appunto una poetica tutta personale che Moonlight lascia intravedere solo nel finale mostrando negli ultimissimi istanti tutto il tormento, la tensione, i desideri di una storia fino a pochi istanti prima invisibile.

moonlight

 

 

 

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