L’omicidio di Ferrara: cosa arma la mano di due amici sedicenni?

ANALISI DEI COMPORTAMENTI DEVIANTI DEI MINORI

di dott.ssa Giorgia Mazzei

Il bullo e il timido. Lo sbruffone con il telefonino di ultima generazione e il debole con pochi euro in tasca. Nel mezzo l’amicizia asimmetrica di sempre, con Manuel che adorava Riccardo più di quanto Riccardo adorasse lui. Al punto da uccidere per lui. “Ti do quello che vuoi. Soldi quanti ne vuoi, se mi aiuti a fare questa cosa”. E per l’amico della vita Manuel è diventato un assassino. Non soltanto perché era accanto a Riccardo mentre i suoi genitori morivano o perché ha pianificato tutto assieme a lui. No. È andato oltre: sarebbe stato proprio Manuel a impugnare l’ascia, lui a colpire Nunzia e Salvatore. In questi giorni tutti siamo a conoscenza  del terribile omicidio avvenuto a  Ferrara, da parte  del figlio sedicenne e del suo migliore  amico, come  si è arrivati a  tutto ciò? Analizziamo meglio i fatti adentrandoci nei meandri della  criminologia  forense. Dovendoci occupare  della fenomenologia dei delitti, un primo criterio può essere  quello di considerarli in relazione  all’età dei loro autori: un fattore di non poco conto. Della delinquenza minorile e giovanile  si è parlato molto dell’importanza della  famiglia in rapporto alla  criminalità; di essa si sono occupate molte  teorie: quella  non- direzionale, della disorganizzazione  sociale, delle  sottoculture, del legame  sociale. Circa la fenomenologia e la distribuzione dei criminali per  classi di età si rileva che, in termini quantitativi, il contributo alla delinquenza  dei minorenni è in numero relativo superiore a quello che si potrebbe attendere in rapporto alla consistenza  numerica di queste classi d’ètà  rispetto alla popolazione generale, considerando  anche come, per i reati commessi  dai minori, possono intervenire in modo rilevante il numero oscuro, problema  a cui si supplice  tramite le  cosiddette  ricerche confidenziali. Come le  altre  forme  di devianza, pure  la criminalità coinvolge in modo particolare i più giovani, anche per motivi legati alle caratteristiche psicologiche  dell’età adolescenziale. Un noto criminologo forense scrive  a proposito della devianza  minorile: “Tempo ambiguo quello dell’adolescenza. Incerto e contradditorio, difficile da  attraversare. E’ l’età   delle discussioni  insieme più appassionate e più sterili, delle ostentazioni più intransigenti, delle amicizie  esaltate, della  deviazione senza limiti, degli slanci generosi. E’ il momento in cui  ci si sente qualcuno anche se non è chiaro chi. Si sa più dei genitori  e  ci si oppone  a loro, ma senza  riuscire a staccarsi. Ci si annulla per il gruppo, nell’illusione  di aver trovato l’autonomia. Pervicamente si segue l’opinione  o il modello di tutti nel convincimento di essere  originali. Non si parla ma si sbraita. E’ il trionfo dello slogan, del coro dell’intolleranza. Conflittuale all’interno e sballottato  nell’ambiente, inconsistente  malaccorto, l’adolescente  si trova a  far fronte, mal difeso, a un periodo di vulnerabilità, che è insieme biologia, psichica e  sociale e rimette  in causa  tutti i rapporti: con se  stesso e col mondo”.  Al conflitto, alla crisi di identità, alle  insicurezze compensate  da spavalderia occorre  aggiungere almeno tre elementi, e  cioè: la non  percezione  del rischio, fino alla negazione  della  morte; il desiderio di trasgredire; l’importanza, per l’adolescente, del gruppo di riferimento. Tutti noi ricordiamo l’omicidio di Novi Ligure  da  parte  di Erika e  Omar, che, alcuni anni fa, aveva  comprensibilmente  turbato l’opinione  pubblica, da parte  di alcuni  si era lanciato l’allarme e si erano avanzate proposte quali abbassare l’età della responsabilità penale ed eliminare il tribunale per i minorenni; in realtà i dati indicano, per fortuna, in più di poche decine l’anno i minori denunciati per  omicidio volontario. In Italia  come per il resto d’Europa, la  tendenza  è quella di evitare  il più possibile il carcere ai minori. Per cominciare, l’età in cui inizia la responsabilità penale è quattordici anni e al di sotto di questa età il minore  non è imputabile; al di sopra dei quattordici anni  interviene poi una serie di “filtri” tali per cui  arriva  alla condanna una  percentuale limitata di minorenni. In alternativa al carcere  viene solitamente  disposto  il collocamento in comunità, le quali non necessariamente appartengono  all’amministrazione  della  giustizia minorile, ma possono  essere anche private e  convenzionate con l’amministrazione  statale.

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