La ‘teoria gender’ e il rispetto delle differenze tra i banchi di scuola: di cosa si tratta?

LA GAFFE SUL MANIFESTO DI FRATELLI D’ITALIA

di Barbara Fuggiano

177831B03E9A4CD5AB87A6F2D9AD2CA3<<Che Fernandino è come una figlia, mi porta a letto caffè e tapioca e a ricordargli che è nato maschio sarà l’istinto sarà la vita>> […] nella cucina della pensione mescolo i sogni con gli ormoni, ad albeggiare sarà magia, saranno seni miracolosi perché Fernanda è proprio una figlia, come una figlia vuol far l’amore, ma Fernandino resiste e vomita e si contorce dal dolore e allora il bisturi per seni e fianchi in una vertigine di anestesia, finché il mio corpo mi rassomigli […] che Fernandino mi è morto in grembo, Fernanda è una bambola di seta, sono le braci di un’unica stella che squilla di luce di nome Princesa” cantava De Andrè, per descrivere la difficoltà di un ragazzo che, sin da piccolo, non riconosceva se stesso nell’immagine che vedeva riflessa allo specchio, per descrivere la discriminazione e la violenza subite.

La scuola è iniziata e da mesi si parla di una vera e propria emergenza educativa, il cui protagonista è la tanto chiacchierata “teoria del gender” che, secondo i sostenitori, intende promuovere, sin dai primi anni di età, l’idea dell’uguaglianza e della non discriminazione, poiché prima di essere uomini e donne siamo tutti esseri umani e la mascolinità e la femminilità sono costruzioni sociali dipendenti dal contesto storico e culturale. Si tratta di “combattere” le discriminazioni fondate sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere, una sorta di educazione al “diverso” che parte dal fatto che “il diverso non esiste”.

Ma in cosa consiste questo approccio d’insegnamento? Daniela Paci, un’insegnante della scuola per l’infanzia di Trieste dove ha debuttato la “teoria gender”, propone un esempio: il disegno di un elefante con una valigetta 24 ore. “L’elefante con la valigia è una femminuccia o un maschietto?” chiede Daniela ai piccoli della scuola; “quando pongo questa domanda ai miei bambini dell’asilo, la risposta è sempre la stessa: ‘maschio!’. E questo nonostante molti abbiano una mamma che lavora fuori casa, magari fa l’avvocato o l’insegnate e più volte l’abbiano vista con una valigia. Questo per dimostrarvi che gli stereotipi di genere sono molto più forti dell’esperienza”.

Un’altra insegnante scrive su www.ilfattoquotidiano.it, in risposta al mondo cattolico, all’estrema destra e alle associazioni che hanno promosso le campagne “antigender”: “Le streghe del Gender insegnano a figli e figlie a pretendere l’uguaglianza in ogni campo. So che è un’indecenza ma dovrete perdonarmi se, inizialmente, oserò essere un po’ restia al pentimento di fronte alle vostre pacate ed equilibratissime accuse. Per prima cosa non siamo rimaste stupite quando bimbi e bimbe, ciascun@ per proprio conto, hanno cominciato a curiosare all’altezza dei propri genitali. Non abbiamo pensato che si trattasse di una mostruosità, giacché la sessualità non ci sembrava un elemento da censurare, e non abbiamo compreso che sarebbe stato meglio far vergognare e sentire molto in colpa, fino alla fine dei loro giorni, quelle creature. Non abbiamo mai censurato quei figli neanche quando hanno chiesto di giocare a fare il pistolero, essendo femmina, o la parrucchiera, essendo maschietto. Poi non ci siamo opposte alle loro richieste quando hanno dichiarato di voler intraprendere studi non adeguati – adesso lo capisco – al loro genere. Maschi che si realizzano studiando materie umanistiche e femmine che si laureano in ingegneria”. Perché negare a un bambino di studiare danza classica? Perché lasciare che solo le femminucce vestano di rosa? Perché regalare alle bambine delle bambole ai bambini delle pistole? Perché un uomo è “barbiere” e una donna è “parrucchiere”?

La semplicità e la normalità di queste parole e di questi concetti permettono di capire che è vero che la “teoria gender” non esiste ed è solo una trovata propagandistica che distorce gli studi di genere, nati negli anni Settanta-Ottanta in seno alla cultura femminista. Si tratta solo di un’etichetta che abbraccia tutti gli interventi giuridici, politici e culturali volti a travolgere il dualismo maschio/femmina.

Gli studi di genere si propongono di partire dal sesso biologico per comprendere il modo in cui la società, nel tempo, ha interpretato e costruito le differenze di genere, alimentando la disparità tra donne e uomini e, soprattutto nella società odierna, ghettizzando e disconoscendo i “non eterosessuali”. Dunque, il sesso biologico da solo non basta per descrivere chi siamo, perché ad esso si aggiunge una “identità di genere”, che solo in parte comprende sia l’orientamento sessuale sia il ruolo di genere e, anzi, ha il sapore dello stereotipo culturale. Se il sesso si riceve biologicamene, l’identità di genere si acquisisce socialmente.

“Educare al genere”, quindi, vuol dire agire su quel costrutto sociale del “ruolo di genere”, sì da sostenere la crescita psicologica, fisica, sessuale e comportamentale dei bambini, al di là dello stereotipo culturale.

I critici più infervorati hanno definito la “teoria gender” un vero e proprio “indottrinamento”. È evidente che non ne abbiano colto il senso: la “teoria gender” intende proprio avversare l’indottrinamento sociale e favorire lo sviluppo più naturale e sereno possibile della personalità dei più piccoli.

Tra l’accusa di favorire la masturbazione – come se l’educazione sessuale, invece di aiutare a prendere confidenza con il proprio corpo e a prevenire la diffusione delle malattie sessualmente trasmissibili – e quella di voler equiparare ogni forma di unione alla famiglia e “normalizzare” ogni comportamento sessuale, ecco che Fratelli d’Italia incappa in una considerevole gaffe, utilizzando la foto di Leelah Alcorn per la campagna “no all’educazione gender nelle scuole”.

Leelah Alcorn è morta il 28 dicembre 2014. Cresciuto come Joshua in una famiglia cristiana conservatrice dell’Ohio, a 14 anni aveva cercato di fare coming out, chiedendo ai suoi genitori di capirla e aiutarla a eliminare la differenza tra il suo sesso biologico e la sua identità di genere. A 16 anni le fu negata la possibilità di sottoporsi al trattamento di transizione e venne affidato al gruppo locale di terapia di conversione di matrice cristiana, per respingere la sua identità e accettare il genere “di nascita”. Sui social network aveva pubblicato un post di addio che sarebbe andato online alcune ore dopo il suo suicidio: Leelah si è fatta investire da un camion sull’Interstate 71 vicino casa. “Quando avevo 14 anni, ho imparato cosa significata essere transgender e ho pianto di felicità. Dopo 10 anni di confusione avevo finalmente capito chi ero in realtà: sono andata subito a dirlo a mia madre, la quale ha però reagito molto negativamente, dicendomi che si trattava di una fase, che io non sarei mai potuta diventare una era ragazza, che Dio non fa errori, che io avevo quindi torto. Se c’è qualche genitore che sta leggendo questa lettera è pregato di non dire mai una cosa simile ai suoi figli. Anche se sei cristino o sei contro le persone transgender non devi mai dire a nessuno parole simili, in particolare se si tratta di tuo figlio. Questo non farà altro che creare odio. Questo è esattamente quello che ha fatto a me”. Riecheggiano le parole di De Andrè.

Per quanto abnorme, l’inconsapevole scelta dell’immagine per la campagna coglie nel segno: il gesto di Leelah è il risultato degli stereotipi culturali ai quali questo tipo di società “antigender” intende aggrapparsi.

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