LA BUROCRAZIA CHE CREA BARRIERE: LA CORSA A OSTACOLI DI ARTURO

contributo della Dottoressa Marta Mogliearticolo-marta

Oggi ho conosciuto Arturo: un anno di vita, tanta energia da vendere e già mi ha regalato sorrisi e mostrato tutti i progressi nel rotolarsi a destra e sinistra, salire e scendere dalle scalette strisciando comodamente a terra. Unico aiuto, il gatto Macchia, fedele scudiero che non lo perde mai d’occhio. Macina chilometri il ragazzo, con un desiderio di bruciare le tappe della vita che è stampato nel suo visetto gioioso. Arturo ha sperimentato le prime settimane di vita in un reparto di Terapia Intensiva Neonatale causa una non ottimale saturazione alla nascita, e i suoi genitori Valeria e Roberto hanno già conosciuto una burocrazia lenta e macchinosa.

Dopo le prime due settimane che mamma Valeria ha vissuto tra la sua stanza di ricovero e il reparto (mentre il piccolo migliorava le condizioni e si preparava per il ritorno a casa), la macchina delle istituzioni pubbliche ha iniziato a mettere in atto tutte quelle lentezze e quei cavilli che hanno impedito una pronta dimissione. Ma perché quando c’è anche di mezzo una disabilità tutto si fa ancora più complicato. Arturo è nato con la Sindrome di Down, ma con un fenotipo talmente leggero da non essere stato riconosciuto immediatamente. Solo dopo una settimana i test genetici hanno confermato la diagnosi ma, nonostante le prime due settimane trascorse con l’ausilio dell’ossigeno per assicurargli un recupero completo, Valeria ha iniziato a combattere per la dimissione e trovato l’ostacolo della burocrazia anche quando la situazione clinica di Arturo era ormai definita ottimale. L’ospedale di Rimini imponeva che alla famiglia venissero assicurati tutti i farmaci ed i presidi medici di cui il bambino ha usufruito in ospedale (ossigeno liquido, mascherina per l’ossigeno, saturimetri), e ha richiesto al pediatra una prescrizione per i successivi sei mesi.
Il pediatra, visto che Valeria vive in un comune differente da quello in cui ha deciso di partorire, e tra l’altro fuori regione, si è trovata in difficoltà a gestire la pratica. Gli enti preposti della Regione Marche a cui la mamma di Arturo si è dovuta rivolgere sono stati irraggiungibili o incapaci di svolgere una procedura diversa dal solito. Dopo una settimana di risposte evasive Valeria ha contattato telefonicamente l’assessore alla Sanità della Regione Marche e chiesto di poter risolvere il problema. Solo a questo punto la questione si è sbloccata e mamma e bambino sono potuti tornare a casa in provincia di Ancona. Ma il boccone da digerire è ancora amaro: il trauma subito alla nascita causato da un parto talmente precipitoso da non aver dato tempo al papà di essere presente, il problema della saturazione che purtroppo non ha consentito a Valeria di abbracciare suo figlio per non più di pochi minuti, la situazione post covid che ovviamente imponeva ancora in ospedale di poter far visita al piccolo in reparto soltanto per un tempo brevissimo e previo tampone negativo. Una situazione estremamente difficile non ha spianato la strada a questa famiglia per poter affrontare il peso enorme della diagnosi.

Sì, perché una diagnosi di disabilità ad una settimana dalla nascita, con tra l’altro una prima figlia di sei anni a casa la quale più volte si è chiesta che cosa stesse succedendo di così brutto da non consentire al suo fratellino di tornare a casa a conoscerla, è qualcosa di più che destabilizzante. È un trauma. A cui la famiglia ha dovuto far fronte a sue spese, perché neanche un servizio di supporto psicologico, fondamentale in questi casi, viene assicurato se non da strutture private. A tutto ciò aggiungiamo il fatto che ormai da mesi Arturo non ha più bisogno né di ossigeno né di tutta la strumentazione che Valeria aveva portato a casa al momento della dimissione. Ma sembra essere una vera lotta anche restituire questo materiale! La famiglia non può disfarsene autonomamente, e gli enti preposti al ritiro non rispondono né alle numerose telefonate né alle mail! Meglio non pensare a quante famiglie saranno bloccate nella stessa situazione a casa o addirittura in ospedale, a causa della mancanza di presidi medici che invece giacciono ormai inutilizzati e perfettamente inscatolati in attesa di essere riconsegnati a farmacie ed ospedale di competenza. Alle attese snervanti si sommano il fatto che l’Istituto “Bignamini”, centro pubblico specializzato per le terapie riabilitative sia di tipo psicomotorio che fisioterapico, non ha ancora preso in carico Arturo causa liste d’attesa interminabili. Lo stesso avviene nel reparto specializzato per sindromi genetiche dell’ospedale infantile Salesi: i tempi di convocazione per visite di routine sono lunghissimi.

Vi chiederete quindi quale possa essere il risultato di questa lotta continua. Quanto la lentezza dei procedimenti burocratici possa abbattere una famiglia che già fatica, giorno dopo giorno, a lottare contro l’etichetta della disabilità. Si perchè la parola disabilità è prima di tutto un’etichetta che viene affibbiata all’individuo ancora prima di conoscerlo, e spesso induce la società a giudicare in maniera superficiale e soprattutto tramite pregiudizi. Su questo Valeria si batte tanto e ribadisce fermamente: “ Arturo non è la sua sindrome! Arturo è un bambino gioioso e tranquillo il quale sta già dimostrando a tutti che, supportato dalla famiglia, dai nonni e parenti, dal team di specialisti privati con cui Valeria e Roberto hanno creato la sinergia necessaria per poter seguire il suo percorso di crescita e sviluppo, ha tutte le capacità e le carte in regola per stravincere!” Ovvio, non sarebbe corretto operare confronti con nessuno. Perché tutti siamo diversi tra noi e ogni bambino raggiunge le sue tappe con i suoi tempi e le sue modalità. Ma almeno, dice Valeria, “ non vogliamo focalizzarci sulle difficoltà che affrontiamo ogni giorno ma sulle piccole grandi vittorie che Arturo ci sta già regalando. Combatteremo per portare avanti un modello educativo che favorisca la sua crescita e la sua inclusione!”. Perché affrontare la parola disabilità significa spesso non riuscire a pensare al futuro senza che la gola si serri completamente e manchi un attimo il respiro. Nessuno sa come potrà essere la vita in futuro e questo è ciò che più destabilizza in assoluto. Chi può sapere se sarà più difficile di altre? Arturo sta già gattonando con destrezza per andarlo a scoprire e non saremo certo noi a sbarrargli la strada.

Questa è la versione in italiano ma trovi sul nostro sito anche quella in inglese.

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