Il caso Erri De Luca: artista o istigatore?

SI E’ APERTO A TORINO IL PROCESSO ALLO SCRITTORE ERRI DE LUCA. L’ACCUSA E’  ISTIGAZIONE A DELINQUERE PER IL SUO APPOGGIO AI NO TAV

di Avv. Marusca Rossetti

erridelucaGiovedì 29 gennaio, a Torino, si è celebrata la prima udienza dibattimentale del processo che vede imputato lo scrittore Erri De Luca. Prossimo rinvio: 16 marzo. L’accusa è quella di istigazione a delinquere per avere difeso nel corso di un paio di interviste, la pratica dei sabotaggi al Tav.

Un gruppo di No Tav si era raccolto in presidio davanti al Palazzo di Giustizia e i presidianti hanno distribuito gratuitamente copie di “La parola contraria”, il libro (edito da Feltrinelli) in cui ribadisce le sue prese di posizione.

“Più democratica e civile della lotta dei No Tav non ne conosco”: ha detto lo scrittore prima dell’apertura del processo. “Vorrei sapere – ha aggiunto – se ho davvero istigato qualcuno, e chi”.

“Se sarò condannato non farò ricorso. Quello che ho da dire è quello che ho già detto”, ha anche affermato De Luca in una delle pause del processo. “Uno scrittore – ha aggiunto – deve difendere le sue opinioni, che in questo caso per me sono poi diventate convinzioni. Cosa altro deve fare se non difenderle?”. De Luca, rispondendo ai giornalisti, ha escluso ogni possibile equiparazione fra il suo processo e “il massacro” alla redazione di Charlie Hebdo a Parigi.

Immancabilmente, quando all’interno del sistema punitivo si rinvengono fattispecie che incriminano condotte di istigazione e di apologia, la mente corre immediatamente a quanto dispone l’articolo 21  della Costituzione in materia di libera manifestazione del pensiero: “Tutti hanno il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”. La domanda allora sorge spontanea, perché se ogni consociato è effetivamente libero di rendere pubbliche le proprie convinzioni, non si riesce a cogliere il senso di quelle disposizioni che, a vario titolo, prevedono la rilevanza penale dell’istigazione e dell’apologia. Può davvero, un sistema democratico, porre dei limiti alla libera manifestazione del pensiero che se vengono oltrepassati comportano una reazione punitiva di stampo penalistico? E se sì, qual è la linea che l’ordinamento non può valicare nel predisporre una tutela a quei beni giuridici che, a seguito di un bilanciamento di valori coinvolti, ha ritenuto prevalenti rispetto alla libertà riconosciuta e garantita dall’articolo 21 Costituzione?

Per rispondere occorre preliminarmente prendere in esame innanzituto il concetto di “istigazione”, partendo dalla disposizione di parte generale enunciata al comma 3 dell’articolo 115 del Codice Penale, in cui si stabilisce che la punibilità è esclusa nel caso di “istigazione a commettere un reato, se la istigazione è stata accolta, ma il reato non è stato commesso”.

La norma citata prevede la rilevanza penale del c.d. concorso morale nel reato, il quale si estrinseca nella duplice forma della determinazione e della istigazione: mentre la prima consiste nella condotta di chi fa sorgere ex novo in altri il proposito criminoso, la condotta istigatoria si risolve nel contegno di colui che, invece, semplicemente rafforza in altri un intendimento delittuoso che è già sorto. In dottrina, tuttavia, si tende a unire entrambi i contributi appena citati sotto l’egida dell’unico concetto di istigazione che quindi andrà a essere composto sia dal rafforzamento di un programma delinquenziale già in essere, sia dalla creazione di uno precedentemente inesistente.

Come si tende spesso a sottolineare a tal proposito, il nostro sistema costituzionale delinea un diritto penale “del fatto” e non un diritto penale “dell’autore”, essendo, appunto, necessario che la risoluzione criminosa si traduca almeno in un inizio di attività esecutiva di lesione del bene giuridico tutelato.

In definitiva, traendo da siffatta premessa le dovute conclusioni e, quindi, eleggendo l’articolo 115 del Codice Penale al ruolo di chiave di volta dell’intero problema definitorio, si può concludere che per “istigazione” deve intendersi la manifestazione di un pensiero diretto ad influenzare l’intelletto e la volontà di un terzo in modo tale da convincerlo a compiere determinati fatti, facendo sorgere o  ovvero distruggendo o affievolendo motivi inibitori.

Le fattispecie che puniscono l’istigazione a delinquere si pongono in un rapporto di eccezione con quanto stabilito dall’articolo 115 del Codice Penale: mentre, infatti, siffatta norma, come  anticipato, sanziona la condotta istigatoria rafforzando motivi di impulso solamente allorquando conduca alla effettiva commissione di un reato, le singole norme incriminatrici di parte speciale delineano la rilevanza penale delle condotte di istigazione in sé, a prescindere cioè dalla effettiva e successiva commissione di un delitto –fermo restando che, ove l’istigazione sia accolta e il reato posto in essere, colui che ne aveva sollecitato la commissione ne risponderà in concorso morale con l’autore materiale del fatto.

Di fronte ad una simile anticipazione della tutela con riferimento a condotte che – almeno apparentemente – costituiscono niente più di una espressione di libere convinzioni personali, ci si è chiesti quali interferenze potessero esserci tra le fattispecie di istigazione a delinquere lato sensu e la libertà riconosciuta e garantita dall’articolo 21 Costituzione.

Il Giudice delle leggi è stato a più riprese investito della questione, pronunciandosi per la assoluta legittimità costituzionale delle norme di parte speciale che incriminano condotte istigatorie. Con la sentenza 23 aprile 1974, n. 108 la Corte Costituzionale sancì la compatibilità dei reati di istigazione, fino a quel momento considerati fattispecie di mero pericolo presunto, con la Carta fondamentale, recuperando la necessaria carica di offensività di tali fattispecie e procedendo alla loro ricostruzione alla stregua del modello dei reati di pericolo concreto, stabilendo che sia da considerarsi penalmente rilevante l’istigazione che, sulla base di un giudizio ex ante e in concreto, si rivela idonea a indurre, in un intervallo temporale ristretto, certuno a commettere reato (è evidente che quanto più la prospettiva della realizzazione del fatto si allontani nel tempo, tanto meno la condotta risulterà concretamente pericolosa) e la Cassazione è arrivata a stabilire che “l’esaltazione di un fatto o del suo autore, non è di per sé punibile, a meno che per le sue modalità non integri un comportamento concretamente idoneo a provocare la commissione di delitti”(cfr. Cass. Sez. I, 3 luglio 2001, Vencato, in DPP, 2001, 1103). Dunque il reato di cui è accusato Erri De Luca, previsto e punito dall’art. 414 c.p.,  in cui la condotta tipica consiste nell’istigare pubblicamente a commettere uno o più reati, o fare pubblicamente apologia di uno o più delitti; è ora considerato reato di pericolo concreto e non presunto (Cass.Sez. I 03/07/2001 n°26907 – La Tribuna Rivista Penale, 2002, 3, pg. 279). Ne discende, dunque, che se l’ “istigazione” assume rilevanza solo se idonea, secondo questo giudizio ex ante e in concreto, a provocare delitti, a contrariis, in mancanza di tale idoneità, non si tratterebbe più di condotta illecitamente istigatrice, bensì di libera manifestazione del pensiero. Ciò che impedisce di ravvisare nell’istigazione a delinquere l’oggetto giuridico sopra indicato è proprio l’esigenza di non contraddire la tutela apportata all’art 21 Cost. ad ogni forma di manifestazione del pensiero. Va infatti precisato che una pubblica istigazione che si esaurisca nella conversione in forma imperativa del divieto posto dalle varie norme incriminatrici, può tutt’al più intimidire, provocare o destabilizzare la propensione all’osservanza delle leggi penali, ma non è adatta ad integrare una situazione di pericolo “reale” di perpetrazione dei reati istigati. Si richiede, quindi, l’indicazione da parte dell’agente di modalità concrete che conferiscano consistenza pratica all’intento esternato. Le fattispecie punibili di apologia di reato e di istigazione a delinquere non sono, pertanto, quelle che si estrinsecano in una semplice manifestazione di pensiero diretta alla propalazione di dottrine promuoventi l’abbandono di norme incriminatrici, attraverso la dimostrazione del loro disvalore sociale o morale, bensì solo quelle che, per le modalità in cui vengono compiute, presentano una forza di suggestione e di persuasione tali da poter stimolare nel pubblico la commissione di altri delitti del genere di quello oggetto della apologia e dell’istigazione: la linea di demarcazione fra la libertà di manifestazione del pensiero e i delitti di istigazione e di apologia è segnata dunque dall’elemento della concretezza del pericolo, che la condotta dell’agente abbia provocato all’interesse protetto dalla norma incriminatrice (Corte costituzionale, sentt. n. 65 del 1970 e n. 108 del 1974). Quindi, perché possa ravvisarsi la stessa materialità del delitto in questione, occorre che sia posta in essere pubblicamente la propalazione di propositi aventi ad oggetto comportamenti rientranti in specifiche previsioni delittuose, effettuata in maniera tale da potere indurre altri alla commissione di fatti analoghi: di talché è indefettibile l’idoneità dell’azione a suscitare consensi e a provocare “attualmente e concretamente” – in relazione al contesto spazio-temporale ed economico-sociale ed alla qualità dei destinatari del messaggio – il pericolo di adesione al programma illecito (Cass. Sez. I 22.11.1997 n°10641 in La Tribuna, Rivista Penale, 1998 pg. 42).

 

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