MA PER CONTARE QUALCOSA, I DIVERSI GRUPPI NAZIONALI DOVRANNO METTERE DA PARTE LE DIVERGENZE ED UNIRSI IN UN SOLO CORO.
Di Mosè Tinti
Il voto europeo di domenica ha riscontrato un netto aumento del sentimento populista ed euroscettico, quando non proprio anti europeista. I successi di Nigel Farage, Marine Le Pen e Alexis Tsipras ne sono la dimostrazione. Il loro peso politico è oggi evidente, benché si trovino in un Parlamento che conta ancora poco.
Al di là delle paure e delle motivazioni che in diversi paesi hanno portato all’affermazione delle correnti anti europeiste, il dato comune è che si tratta di motivazioni trasversali che coinvolgono destra e sinistra e che, di conseguenza, avranno la possibilità di influenzare il prossimo futuro dell’Unione Europea. Certo, per fare ciò, dovranno organizzarsi e cercare di far coesistere programmi ed idee non proprio uniformi tra di loro e non potrà non tenersi conto delle risposte del partito popolare e del partito socialdemocratico.
Gli euroscettici sono il primo partito in Francia, in Gran Bretagna, in Grecia, in Danimarca e in Ungheria. Ben piazzati in Austria, Belgio e Olanda, hanno ottenuto seggi al Parlamento di Strasburgo anche in Italia, in Finlandia e persino in Germania, dove la neonata Afd è vicina al 7 per cento.
La Le Pen ha chiamato a raccolta le forze nazional-populiste che provengono da una tradizione di destra e che vogliono l’uscita dall’euro e il ritorno alle sovranità nazionali in moltissime materie. Al momento, ha ricevuto la risposta del leghista Salvini, mentre Farage e Beppe Grillo sembrano voler prendere altre (comuni, forse) strade, come ha dimostrato il loro incontro, che ha suscitato non poche polemiche. Il dato di fatto, però, è che le forze nazional-populiste potrebbero avere un peso solo se riuscissero ad unirsi, altrimenti, divise avrebbero ben poco peso.
Diverse sono le proposte di Tsipras, leader della sinistra radicale europea: non vuole uscire dall’euro ma chiede di ridiscutere il debito e di abbandonare le politiche di austerità per un New Deal comunitario. Stando così le cose, il gruppo Gue sarebbe il sesto. Ovunque le forze euroscettiche abbiano avuto successo, si è comunque parlato di “terremoto politico”, perché le elezioni europee non potranno non avere riflessi anche sulle prossime elezioni nazionali.
Anche se non vi è un leader europeo della destra, la Le Pen, leader del Front National, ha di certo un notevole carisma ed una forza politica non indifferente, considerando il 25 per cento dei consensi ottenuti in Francia, staccando il centrodestra dell’Ump (al 20) e il Pse del presidente Francois Hollande, fermo al 14 per cento. Il suo messaggio politico al grido di «prima i francesi» non è stato raccolto solo dagli elettori di destra, ma da un elettorato trasversale che non si sente rappresentato o non ce la fa più economicamente: via dall’euro, stop all’immigrazione, difesa dei valori tradizionali, più lavoro a chi non ce l’ha sono le parole d’ordine che hanno fatto breccia in queste Europee.
Con queste credenziali, la Le Pen dunque si concentrerà per la costruzione dell’Alleanza per la libertà che vuol far nascere all’Europarlamento. Servono almeno 25 deputati di 7 Stati membri. Con lei ci saranno sicuramente la Lega Nord di Matteo Salvini, quarto partito italiano, la Fpoe di Heinz-Christian Strache, che in Austria è la terza forza con il 19,5 per cento, e il Pvv di Geert Wilders, che in Olanda è il terzo partito con il 12,9 per cento. A questi si dovrebbero aggiungere anche gli indipendentisti fiamminghi del Vlaams Belang e gli euroscettici svedesi e slovacchi.
Per essere completo, ci sarebbe bisogno della presenza dell’Ukip di Nigel Farage, primo partito inglese, che è arrivato a minacciare la stabilità politica a Westminster, dove si voterà il prossimo anno per il rinnovo della Camera dei Comuni. Il criticato leader inglese, però, sembra voler seguire altre vie e cerca diverse alleanze per fare blocco a Strasburgo: l’Ukip sembra poter contare sul Partito del Popolo danese, l’estrema destra populista che chiede l’uscita di Copenaghen dall’Ue e che alle Europee è diventata il primo partito con oltre il 26 per cento. Sui Veri Finlandesi, terzi nel loro Paese con il 12,9 cento. E magari sull’Afd tedesca, che ha conquistato circa il 7 per cento dei voti. Il colpo grosso sarebbe comunque l’alleanza con i 5 stelle nostrani, con i quali Farage ha detto di aver molto in comune.
Alexis Tsipras ha vinto le Europee in Grecia con Syriza, la coalizione della sinistra radicale, che è diventata il primo partito con il 26,5 per cento (cinque anni fa aveva il 4,7 per cento) davanti al centrodestra di Nuova Democrazia del premier Antonis Samaras (circa il 23 per cento) e lontana dall’8 per cento dei socialisti del Pasok, che fanno parte del governo. Anche ad Atene Tsipras ha già chiesto elezioni anticipate ed è difficile che le ottenga. A Strasburgo potrà intanto contare sui deputati del gruppo Gue, la Sinistra Unitaria europea, che l’ha appunto sostenuto come candidato presidente della Commissione Ue. In Spagna questo fronte ha raccolto quasi il 10 per cento con la coalizione di Izquierda Unida, in Portogallo le due formazioni di sinistra radicale insieme hanno raggiunto il 15 per cento, in Germania per Tsipras c’è il 6,5 per cento della Linke, in Francia il 6,3 del Front de Gauche, in Italia il 4per cento della lista L’altra Europa.
Fonti: www.linkiesta.it