Desaparecidos, ¿Dónde están?

SARANNO PROCESSATI I MILITARI SUDAMERICANI COINVOLTI NEL “PIANO CONDOR”

di Dott.ssa Barbara Fuggiano (praticante avvocato)

UnknownDaniel Alvaro Banfi Barazano, Andrés Humberto Bellizzi, Héctor Orlando Giordano Cortazzo, Gerardo Francisco Gatti Antuna, Armando Bernardo Arnone Hernàndez, Edmundo Sabino Dossetti Techeira, Ileana Sara Marìa Garcìa Ramos de Dosetti, Yolanda Iris Casco Ghelpi de D’Elia, Julio César D’Elia Pallares, Raùl Edgardo Borrelli Cattaneo, Raùl Gambaro Nunez, Marìa Emilia Islas Gatti de Zaffaroni, Juan Bosco Maino Canales, Juan Bosco Maino Canales, Juan José Montiglio Murùa, Jaime Patricio Donato Avendano, Omar Venturelli Leonelli, Mafalda Corinaldesi Stamponi, Luis Stamponi, Lorenzo Ismael Vinas Gigli, Horacio Domingo Campiglia, Alejandro José Logoluso Di Martino, Dora Marta Landi.

Più che i nomi dei carnefici, le cui responsabilità saranno valutate nelle appropriate sedi giudiziarie, sono meritevoli di essere citati e ricordati quelli delle vittime (i desaparecidos), che il sistema penale italiano, in generale, lascia sempre sullo sfondo e che, questa volta, anche la società civile ha per troppo tempo ignorato e dimenticato.

Accadeva più di trent’anni fa. Questi 23 italiani sparivano in Sud America senza lasciar tracce.

La storia processuale di alcuni degli esponenti militari e dei servizi di sicurezza di Bolivia, Cile, Perù, Uruguay iniziava circa dieci anni fa e proseguirà in dibattimento a partire dal 12 febbraio 2015, data della prima udienza di fronte ai giudici della III Corte d’Assise di Roma.

Nel corso dell’udienza preliminare, il gup ha dovuto stralciare la posizione di nove indagati, già processati e condannati in Sudamerica, emettere sentenza di non luogo a procedere per la morte di altri tre (tra i quali, l’ex generale cileno Mena, suicidatosi l’anno scorso a 87 anni nella sua casa, dove era detenuto dal 2009) e far cadere l’imputazione per strage per un vizio di procedibilità; rimane, quindi, il rinvio a giudizio per sequestro di persona e omicidio plurimo aggravato.

Desaparecidos è un termine ormai comunemente utilizzato in riferimento alle migliaia di persone che, per motivi politici o per l’esercizio di attività antigovernative, furono arrestate in diversi Paesi dell’America Latina verso la fine degli anni ’70 e gli inizi degli anni ’80.

In Argentina, tra il 1976 e il 1983, le brutali operazioni di arresto si caratterizzavano per la segretezza (avvenivano, infatti, di notte) e l’assenza di testimoni, al punto che i familiari dei “dissidenti” non erano in alcun modo avvertiti dell’accaduto e i capi d’imputazione erano vaghi. Gli obiettivi di queste disumane operazioni erano quello di tenere nascosto il fenomeno dei desaparecidos al resto del mondo e di terrorizzare la popolazione locale, al fine di ridurre al minimo (con la forza) i rischi di dissenso al regime dittatoriale.

Dopo un lungo periodo di detenzione in campi di concentramento clandestini e torture, la quasi totalità degli arrestati (vista la rarità delle liberazioni) è stata uccisa segretamente e le salme occultate in fosse comuni o tramite i cosiddetti voli della morte, nel corso dei quali numerosi arrestati venivano sedati e lanciati vivi da aerei militari in volo, con il ventre squarciato a coltellate cosicché gli squali potessero cibarsi dei loro corpi. I vuelos de la muerte sono anche noti per l’infelice battuta (tra le tante) dell’ex premier Silvio Berlusconi: “di me hanno detto di tutto i signori della sinistra, […] che sono come quel dittatore argentino che faceva fuori i suoi oppositori portandoli in aereo con un pallone, poi apriva lo sportello e diceva: c’è una bella giornata, andate fuori un po’ a giocare. Fa ridere ma è drammatico.

Tra le vittime, si ricordano anche donne che, oltre ad altre forme di tortura, subivano ripetute violenze sessuali ed erano costrette a mettere al mondo bambini che poi venivano dati in affidamento o adozione alle famiglie dei militari argentini.

Dopo la caduta del regime di Jorge Rafael Videla Redondo (morto, tra l’altro, poco più di un anno fa) e il ritorno della democrazia, in Argentina il neo presidente Raùl Alfonsìn fece istituire la Comisión Nacional sobre la Desaparición de Personas (CONADEP) che, grazie al suo celebre rapporto Nunca màs, puntò gli occhi del mondo sulla triste vicenda delle vittime scomparse che, fino a quel momento, erano degli invisibili.

In Cile, il pugno di ferro di Pinochet, tutt’altro che discreto, si fece sentire a gran voce: i dissidenti politici arrestati, se non uccisi, erano rilasciati nel momento in cui non avrebbero più avuto il coraggio per una militanza politica attiva, così da poter raccontare le numerose torture subite terrorizzando la popolazione, e subito dopo esiliati. Fu proprio questa la tristemente nota sorte di Luis Sepùlveda.

Forse non tutti sanno che l’ondata migratoria verso l’Argentina che interessò l’Italia fino al secondo dopoguerra ha fatto sì che non solo circa un migliaio delle vittime delle dittature dell’America Latina fosse italiano ma anche che una cospicua percentuale dei militari coinvolti nelle sconcertanti operazioni di violazione dei diritti umani avesse origine italiana.

Non è tutto. Durante gli anni di terrore, l’ambasciata italiana in Argentina ebbe il demerito di limitare al minimo sindacale la propria attività, mettendo a tacere i familiari dei desaparecidos italiani a tutti i costi e blindando le proprie porte d’ingresso. Nell’ottobre del 1982, per la prima volta si iniziò a parlare degli scomparsi anche in Italia, quando il Corriere della Sera pubblicò la lista dei 297 italiani dispersi in Sud America e dei quali era apertamente noto solo il dissenso nei confronti della dittatura militare; fu solo in quel momento che le autorità italiane, avendo le mani legate di fronte all’opinione pubblica, presentarono formalmente una denuncia al Tribunale di Buenos Aires e che, in Italia, alcune inchieste ebbero inizio.

Nel 2003 si ottenne il primo risultato, ossia la conferma in secondo grado della condanna di sette militari argentini. Il 14 marzo 2007, dopo un doloroso dibattimento, si concluse anche il “processo della ESMA” contro un gruppo di ufficiali della Escuela de Mecànica de la Armada (ESMA), il centro di detenzione e tortura dei desaparecidos più grande e operoso, tutti condannati all’ergastolo (con isolamento diurno per un anno) per aver torturato e ucciso di Angela Maria Aieta, di Giovanni e Susanna Pegoraro.

Il processo ancora in piedi e il cui dibattimento si aprirà a Roma il prossimo febbraio è, invece, relativo alle vittime del “Piano Condor”, l’intesa militare tra le dittature dei diversi Paesi latini per deportare, torturare ed eliminare gli oppositori politici arrestati scoperta solo nel 1992 con il ritrovamento, ad opera di un giudice paraguaiano, dei cosiddetti “Archivi del terrore”, contenenti descrizioni dettagliate sull’uccisione di almeno 50.000 persone, sulla sparizione di altre 30.000 nonché su almeno 400.000 arresti in Sudamerica.

Le strazianti storie dei desaparecidos non fanno che rafforzare l’importanza dell’introduzione del reato di tortura in un Paese civile, quale il nostro si vanta di essere.

Significative sono le parole di Silvina Berti, professoressa di Rio Cuarto e sorella di Carlos, oriundo italiano sparito nel 1977 a Buenos Aires: “La dittatura ha cercato di cancellare 30 mila desaparecidos come Carlos, ha tentato di recidere ogni legame, ogni affetto. Ci ha provato, ma io, insieme a molti altri, siamo qui a testimoniare che non ci è riuscita… Così oggi Carlos smette di essere un desaparecido e torna a essere una persona. Egli è il figlio di mia madre, mio fratello, è il fratello dei miei fratelli e il fidanzato della sua fidanzata. Il ragazzo assente in tutti questi anni, ma sempre presente tra noi. E lo voglio ricordare alto, magro, con bellissimi occhi azzurri, con le sue piccole cicatrici causate dall’acne. Con i suoi capelli ricci e le lunghe gambe. Le dita da pianista benché non abbia mai toccato una tastiera. Carlos ha sempre 22 anni perché la dittatura gli ha impedito d’invecchiare”.

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