Musica & Diritto- La lotta in musica per un’Africa unita: Bob Marley

La vita è un gioco d’azzardo, se perdi stai calmo e aspetta la tua occasione ma non perdere la bussola. Non farti corrompere”.

Robert Nesta Marley, detto Bob, e’ considerato una delle icone musicali della storia moderna, ma oltre all’immenso talento musicale, Marley ha rappresentato e rappresenta un punto di riferimento per la comunità afro-americana che si identifica con quelle storie di intolleranza, deportazione, schiavitù,religione ed amore cantante nei suoi brani.
Ha difeso con forza e coraggio il suo popolo, sognando un’unione del popolo africano oltre ogni forma di intolleranza ed  andando contro ogni critica spesso legata al suo stile di vita.  Ancora oggi il flusso turistico nell’isola di Giamaica in parte è legato alla sua figura, a quell’aurea quasi “sacra” che ha sempre accompagnato la sua figura durante la vita e anche dopo, fino ai giorni di oggi.

Una vita breve quella di Bob che nasce a Nine Mile, nella parte più settentrionale dell’isola di Giamaica, nel 1945. Il padre è un capitano dell’esercito inglese , la madre è  di origine giamaicana. Vive un’infanzia molto difficile che in qualche modo influenzerà tutta la sua vita, la sua personalità e la sua musica che si è caricata proprio di una sensibilità che molti definiscono fuori dal comune. “ Mio padre era un bianco, mia madre nera, io sono in mezzo, io sono niente”, “tutto quello che ho è Jah. Così non parlo per liberare i bianchi o i neri, ma per il creatore“. “Io non ho pregiudizi contro me stesso. Mio padre era bianco e mia madre era nera. Mi chiamano mezza-casta, o qualcosa del genere. Ma io non parteggio per nessuno, né per l’uomo bianco né per l’uomo nero. Io sto dalla parte di Dio, colui che mi ha creato e che ha fatto in modo che io venissi generato sia dal nero che dal bianco.”Ed ancora “Non ho mai avuto padre. Mai conosciuto. Mia madre ha fatto dei sacrifici per farmi studiare. Ma io non ho cultura. Soltanto ispirazione. Se mi avessero educato sarei anche io uno sciocco”.”Mio padre era… come quelle storie che si leggono, storie di schiavi: l’uomo bianco che prende la donna nera e la mette incinta”; “Non ho mai avuto un padre e una madre. Sono cresciuto con i ragazzi del ghetto. Non c’erano capi, solo lealtà uno verso l’altro“.
Parole cariche di rabbia e di ribellione che ben presto troverà nella musica il canale di espressione.Si costruisce una chitarra che diventa una fedele compagna di viaggio  con cui a  16 anni registra “Judge not” e “One cupo f coffee”.
Negli anni ’60, Marley con dei suoi amici fonda il gruppo “The teenagers” che poi cambierà il nome in  “The Wailers” che significa letteralmente “coloro che si lamentano”. Una sorta di missione nel nome. Essere l’eco delle urla spesso soffocate del popolo giamaicano ma non solo, di quello africano.
Il cantautore aderisce al movimento “Rastafariano” e sfoggia i leggendari dreadlock che lo rendono un’icona di stile riconoscibile ovunque. Il Rastafarianesimo  di cui Bob è fedele seguace per tutta la vita è una fede religiosa, nata nei primi decenni del novecento, il cui nome deriva da Ras Tafari, l’Imperatore che salì al trono d’Etiopia nel 1930 con il nome di Hailé Selassié I. Il credo rastafariano si fonda sulla certezza che debba esistere una moralità internazionale sorretta dal principio della sicurezza collettiva, dell’autodeterminazione dei popoli, dell’uguaglianza dei diritti, della non-interferenza oltre che nel riconoscimento di un ordine sovranazionale che ripudi la guerra e risolva i contrasti. I rastafariani inoltre sostengono che bisogna lavorare per  il benessere del pianeta con particolare attenzione  per il povero continente africano, il più povero ed afflitto del pianeta. Forti dell’esempio di Hailé Selassié I, considerato il Padre dell’Africa Unita e principale fondatore dell’Organizzazione dell’Unità Africana, chiedono che l’Africa diventi un’unione, recuperando la propria identità.

La musica reggae diventa ben presto un veicolo per questo movimento religioso e scorre ormai scorre nel sangue di Marley e tramite la sua musica in quello di migliaia di persone. Le profonde radici di questo genere musicale  affondano nella schiavitù della gente di Giamaica; quando il nostro Cristoforo Colombo sbarca sulla costa nord di St. Ann trova ad accoglierlo gli indiani Arawak, un popolo straordinario, pacifico, animato da canti e danze di cui la musica raggae diventa veicolo di espressione, voce dell’urlo di libertà spesso minacciata.

 Nel 1973 esce “Catch a fire”, l’anno dopo “Burnin” ma è  il 1975 la data storica del suo successo internazionale col famosissimo singolo “No woman. No cry”. Un successo senza precedenti, a livello mondiale, che sin dalle prime note tutti riconoscono.

“(…) Emancipatevi dalla schiavitù mentale

Solo noi stessi possiamo liberare la nostra mente

Non aver paura dell’energia atomica

Che nessuno di loro può fermare il tempo

Per quanto ancora dovranno uccidere i nostri profeti?

Mentre stiamo da parte e guardiamo

Alcuni dicono che è solo un ruolo

Dobbiamo adempiere il libro

Aiutaci a cantare questi canti di libertà

Che è quanto ho sempre avuto,

Canti di redenzione, canti di redenzione

Canti di redenzione….”

(Redemption Song – 1980)

L’anno dopo però un brutto episodio di cronaca coinvolge Marley e sua moglie che vengono aggrediti in casa probabilmente per motivi politici, cosi decide di trasferirsi in Inghilterra dove il suo successo che già era arrivato oltre oceano aumenta ancora di più con “Exodus”. La salute di Marley però va peggiorando sempre di più e dopo essersi sentito male diverse volte  anche durante un concerto a New York gli viene diagnosticato un melanoma maligno, di quelli che troncano ogni speranza.
La musica e la sua gente però non possono essere abbandonati e Merley decide di continuare per un po’ nel suo tour fino a quando però le richieste della moglie Rita Marley di abbandonare il palcoscenico e la musucia vengono ascoltate. Gli anni ‘80 si aprono con il suo ultimo disco, “Uprising” e dopo un memorabile concerto a Milano, conclude la sua carriera a Pittsburgh.
Il dolore fisico aumenta, ma Bob però  decide di non farsi curare nel rispetto della sua religione Rastafari che impone che il corpo umano venga conservato integro. Dopo la cancellazione del tour viene  trasportato da Miami al Memorial Sloan-Kettring Cancer Center di New York dove i medici riscontrano che il tumore si è esteso al cervello, ai polmoni ed allo stomaco.Bob viene trasportato di nuovo a Miami dove viene battezzato Berhane Selassie nella Chiesa Ortodossa Etiopica (una chiesa cristiana) il 4 novembre 1980. Dopo un ultimo disperato tentativo di salvarlo, viene trasportato in un centro specializzato in Germania ma solo tre mesi dopo, l’11 maggio 1981, muore in un ospedale di Miami.

Al funerale in Giamaica partecipano centinaia di migliaia di persone, anche il primo ministro ed il leader dell’opposizione, una sorta di riconoscimento dell’importante ruolo avuto da Bob Marley per il popolo giamaicano. Il corpo di Marley  è conservato dentro un mausoleo nella sua città natale, luogo di culto  e pellegrinaggio ancora oggi, quasi una ricerca continua di quello spirito che animava Marley e la sua musica.

“Emancipatevi dalla schiavitù mentale

Solo noi stessi possiamo liberare la nostra mente

Non aver paura dell’energia atomica

Che nessuno di loro può fermare il tempo

Per quanto ancora dovranno uccidere i nostri profeti?

Mentre stiamo da parte e guardiamo

Alcuni dicono che è solo un ruolo

Dobbiamo adempiere il libro

Aiutaci a cantare questi canti di libertà

Che è ciò che ho sempre avuto, canti di redenzione

Ho avuto solo canti di redenzione

Questi canti di libertà, canti di libertà”

((Redemption Song – 1980)

VALENTINA COPPARONI

 

 

 

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