La Bosnia Erzegovina ed il censimento della speranza

COME UNA RILEVAZIONE STATISTICA POTREBBE CAMBIARE IL FUTURO DELLA BOSNIA ERZEGOVINA 

-di Tommaso Cassian

bosnia2Alle nostre latitudini, nominare la Bosnia Erzegovina evoca immagini risalenti a vent’anni or sono.

Avendo accompagnato la vita del Belpaese per una buona metà degli anni Novanta, le turbolente guerre fratricide balcaniche si sono impresse nella memoria collettiva attraverso iconiche rappresentazioni di sofferenza, ingiustizia, barbarie – delle quali la Bosnia Herzegovina era suo malgrado principale teatro.
Proprio pochi giorni fa mi è tornata sottomano la serie di fotografie realizzate dall’israeliano Ron Haviv: testimoniando brutalmente un’operazione di pulizia etnica in terra bosniaca delle Tigri di Arkan, ebbe una prevedibile risonanza globale contribuendo a creare l’immagine che gran parte del mondo ancora ha del martoriato Paese balcanico.
Il libro che conteneva quel reportage non l’avevo aperto per caso, ma l’avevo recuperato per ricordare il punto di partenza del percorso che la Bosnia Herzegovina ha faticosamente intrapreso dalla fine delle ostilità – un percorso travagliato e spesso fallimentare, ma che ha portato la nazione a forma di cuore (come viene ultimamente promossa dall’Ente turistico nazionale) ad avvicinarsi lentamente ad una possibile rinascita.
A discapito degli ostacoli che l’elefantiaca organizzazione statale lasciatale in eredità dagli accordi di Dayton comporta, la Bosnia ha infatti finalmente fatto il primo grande passo per superare lo stallo postbellico che l’ha finora caratterizzata, organizzando un censimento dall’importanza cruciale – in quanto l’ultimo ebbe luogo prima dell’inizio della guerra.
Per comprendere l’importanza dell’evento, oltre al fatto che è stato richiesto dall’UE come requisito fondamentale per avviare le pratiche di ammissione, è necessario tenere in considerazione che l’attuale Bosnia Herzegovina è suddivisa in due entità (la Federazione Croato-Bosniaca che ospita prevalentemente cattolici croati e bosgnacchi musulmani, e la Repubblica Srpska a maggioranza serbo-ortodossa) ognuna con un proprio governo, parlamento e presidente eletto. Il potere dei partiti è quindi assicurato da una costante propaganda etno-centrica, che caldeggia e al contempo si nutre di un forte senso di appartenenza etnica generatosi durante gli anni del conflitto.
Eppure, questo censimento (che è terminato il 15 Ottobre e del quale si attendono a breve i risultati) potrebbe avere delle conseguenze enormi per il Paese balcanico: dopo mesi di estenuanti negoziazioni (quasi una tradizione, in Bosnia) si è infatti deciso di non imporre come obbligatoria la dichiarazione della propria origine etnica, lasciando libera scelta all’individuo. In una nazione in cui le cariche pubbliche vengono suddivise basandosi su tale criterio, la scelta ha creato una certa preoccupazione tra i partiti, dando però nel contempo il via ad una campagna di sensibilizzazione civile orchestrata da Ong e associazioni che incoraggia a dichiararsi bosniaco-erzegovesi invece che serbi, croati o bosgnacchi.
Il rafforzamento di un concetto di cittadinanza su base civile – e non più etnica – potrebbe davvero essere la chiave di volta per il Paese che più di qualunque altro è uscito devastato dalle guerre che hanno lacerato i Balcani.
Perchè la Bosnia non è più da tempo lo scenario delle foto di Ron Haviv, o delle immagini che l’Europa Occidentale ancora collega ad un passato che molti bosniaci di domani connettono soltanto ai tragici racconti dei loro familiari.
E se questo censimento porterà i frutti sperati, anche il resto del mondo riporterà finalmente le lancette sulla Bosnia vent’anni avanti. 

 

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