Erdogan: dittatore o servitore del popolo?

occupygezy

Instanbul, 9 giugno 2013 – Lui si definisce “servitore del popolo”, ma i giovani manifestanti che popolano le piazze delle città turche da più di dieci giorni lo chiamano “dittatore” e chiedono le sue dimissioni.  Si tratta di Recep Tayyip Erdogan , primo ministro del paese dal 2002 .  Le proteste, iniziate con l’occupazione di qualche decina di ambientalisti del parco Taksim Gezi di Insanbul nel quale Erdogan è intenzionato a costruire un enorme centro commerciale, sono letteralmente dilagate nel corso di dieci giorni fino a contestare ogni aspetto della sua politica: la repressione della libertà di stampa e di opinione, del libero associazionismo, il proibizionismo, l’islamizzazione di uno Stato laico.

Da “Occupy Gezy” a “Turkish Revolution” – Il movimento nato da 50 ambientalisti “Occupy Gezy” si è trasformato in una vera e propria rivoluzione, guidata dal web e dai social network attraverso i quali i giovani si organizzano quotidianamente per attuare quella che ormai è definita la “Primavera Turca”. Dal 28 maggio  – giorno di esplosione delle risse tra polizia e manifestanti – si contano più di 3000 arresti e 4000 feriti, di cui alcuni in condizioni molto gravi. Lacrimogeni, sfollagente, idranti. Gli scontri con le forze dell’ordine hanno coinvolto in tutto 78 città, tra cui Ankara, Bursa, Antalya, Eskisehir, Izmir, Edirne, Mersin, Adana.

Il potere rivoluzionario di twitter – I giovani che affollano le piazze indossano maglie con scritto  #occupygezi , perché è proprio tramite twitter che è possibile organizzare le mobilitazioni di massa e comunicare al mondo intero il vero volto della Turchia. Nascono come funghi nel web i siti dedicati alla rivoluzione turca, i gruppi facebook che documentano e aggiornano in tempo reale gli abusi della polizia sui civili. Twitter è lo strumento principale di questa rivoluzione,  al punto che Erdogan lo ha definito  “la più grave minaccia alla società democratica”.

Verso l’islamizzazione della Turchia – Il 3 giugno scorso, Erdogan, temendo forse per la propria incolumità, lascia il paese per una visita diplomatica nei paesi nordafricani. Il giorno dopo, il Vice Primo Ministro Bulent Arinc si scusa ufficialmente con la popolazione “per l’eccessiva violenza utilizzata dalla polizia durante gli scontri”, tuttavia, sottolinea che non si scuserà nuovamente per la violenza procurata da qual momento in poi. Intanto, Erdogan non ha alcuna intenzione ti rinunciare al suo progetto per la costruzione del grandioso shopping center.

Questo progetto tuttavia, rappresenta solo l’apice di una politica autoritaria e antidemocratica, almeno secondo i manifestanti. Erdogan,  59 anni, è esponente del partito AKP ( Partito dello Sviluppo e della Giustizia) di orientamento islamico moderato e ha vinto le elezioni con larga maggioranza per ben tre volte: nel 2002, nel 2007 e nel 2011. Durante il suo mandato è stato perfino in grado di risanare l’economia dalla crisi finanziaria del 2001, causata dalla speculazione edilizia.

Ex calciatore e laureato in economia e commercio, intraprende la carriera politica alla fine degli anni ’70 diventando subito figura di spicco del Partito del Benessere, di ispirazione islamico-conservatrice. Nel 1988 viene condannato e imprigionato per aver recitato pubblicamente i versi di un poeta islamico ( Ziya Gokalp) per istigare all’odio religioso.  “Le moschee sono le nostre caserme, le cupole i nostri elmetti, i minareti le nostre baionette ed i fedeli i nostri soldati… “. Dopo questo episodio fonda l’AKP, infondendo un carattere più moderato al partito, che ottiene il 34,3% dei voti divenendo primo partito del paese. Una percentuale schiacciante nel sistema elettorale turco, dove vige lo sbarramento del 10%.

Erdogan si è sempre dimostrato un leader moderno, governando un paese in pieno boom economico e traghettandolo verso l’Unione Europea: nel 2008 si ipotizza la candidatura della Turchia come futuro membro UE. E’ l’opposizione di Francia e Germania a spingere il governo di Erdogan a rivedere la sua politica democratica e filoeuropeista. Un improvviso e drastico cambio di rotta dominerà la politica degli ultimi anni.

Dal 2011 infatti, si parla di vero e proprio “processo di islamizzazione” operato dal governo, che perde il supporto dei partiti liberali. Gli emendamenti passati dal Parlamento incidono fortemente sulla libertà di pensiero, di stampa, di associazionismo. No all’aborto, no ai diritti per gli omosessuali, proibizionismo sul consumo di alcool e droghe. La riforma scolastica del 2012 è volta a creare una “generazione di fedeli”. Restrizioni su social media e sanzioni amministrative milionarie ai giornali critici con il Governo. Questa è la politica sociale di Erdogan.

Per quanto riguarda quella economica invece, si punta sui grandi progetti senza consultazione dei cittadini. Del resto – dice il governo – gli elettori si sono espressi in maniera chiara alle votazioni. Così, dal 2010 vengono autorizzati impianti nucleari, discariche , autostrade, industrie dalle pubbliche amministrazioni, noncuranti delle proteste dei cittadini e degli ambientalisti.

Infine, c’è la questione Siriana , vissuta in Turchia con grande tensione. Nel 2011, 34 civili furono bombardati da un F-16 turco, nei pressi del confine iracheno.   Questo simboleggia l’atteggiamento di Erdogan in politica estera e nei confronti della minoranza Kurda Anche sta volta, il primo ministro rifiuta di scusarsi con le famiglie delle vittime.

La posizione di Erdogan – Per la prima volta, dopo 10 giorni di dura repressione delle manifestazioni, alla quali hanno preso parte 640.000 persone , Erdogan fa un passo indietro : il suo governo è contro la violenza e aperto alle richieste democratiche avanzate dai manifestanti. “Noi siamo contro il terrorismo, la violenza, il vandalismo e le minacce alla libertà degli altri”, ha detto Erdogan. “Il mio cuore è aperto davanti a chiunque avanzi richieste democratiche”.

La sua apertura arriva subito dopo il monito dell’UE . Il commissario UE all’allargamento, Stefan Fuele, ha dichiarato i giorni scorsi in un convegno nella capitale Turca “L’uso eccessivo della forza contro chi manifesta pacificamente il suo dissenso non trova spazio in una democrazia e la Turchia deve indagare subito sulle violenze della polizia contro chi ha protestato contro il governo, punendo i responsabili”. Anche la Merkel aveva ammonito il governo turco, definendo le manifestazioni di protesta quale parte di uno stato di diritto.

Da parte sua Erdogan, rientrato dal summit nel nordafrica, ha trovato ben 10mila sostenitori all’aeroporto di Instanbul. Le urla della folla scandivano lo slogan “Allah è grande”, “Schiacciamoli”, “Istanbul è qui, dove sono i vandali?”. Rincuorato, risponde così ai sostenitori “Dicono che sono il primo ministro del 50 per cento dei cittadini. Non è vero. Abbiamo servito tutti i 76 milioni di turchi, dall’est all’ovest. Insieme siamo la Turchia. Siamo fratelli” e conferma la sua posizione ferma contro i manifestanti “Quelli che si definiscono giornalisti, artisti, politici hanno, in modo irresponsabile, aperto la strada all’odio, alla discriminazione e alla provocazione”.

La protesta continua – Ad Instanbul e nelle altre 78 città turche, i manifestanti continuano a scontrarsi con la polizia. Amnesty International denuncia ben 5 persone in pericolo di vita, mentre non è confermata la notizia sui due morti ad Instanbul, dove si sono registrati 1000 feriti. Dati non confermati dai media nazionali turchi. Erdogan, da parte sua, si difende in questo modo «Se chiamano chi ha servito il popolo dittatore, non hanno capito niente» e «la dittatura non scorre nelle mie vene e non è nel mio carattere. Sono il servo del popolo».

 

Clarissa Maracci

 

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