DIRITTO DI REPORTAGE: La terra del sorriso, viaggio in Thailandia

Wat Phra Mahathat

2^ PUNTATA – Dopo tre intensi giorni trascorsi a Bangkok è giunto il momento di spostarci verso il nord del Paese, il nostro obiettivo è il Triangolo d’Oro. Prima di arrivare ad Ayuttaya (90 km da Bangkok) ci fermiamo a Bang Pa In per visitare la residenza estiva della famiglia reale: l’accozzaglia di stili è piuttosto strana, nel senso che gli stili architettonici sono molteplici. Anche al palazzo reale di Bangkok ce n’erano di diversi ma qui il tutto ha un so che di bizzarro: una costruzione sembra il Grande Trianon di Versailles, accanto l’inconfondibile stile cinese e poi il thai. Strano, ma da vedere. Ad Ayuttaya ci aspetta più di un tempo da visitare. Il primo è il Wat Chai Wattanaram in stile Khmer e risalente al XVII secolo, poi il Wat Phra Mongkhon Bophit (XV secolo) dove si trova una grandissima statua del Buddha seduto, e infine il Wat Phra Mahathat qui c’è la famosa testa del Buddha incorniciata dalle radici di un albero. La cosa più strana è che queste i templi sembrano molto più antichi di quello che ci racconta la guida. Il motivo è legato alle invasioni dei birmani che hanno incendiato queste strutture, rubato e fuso un Buddha d’oro alto 16 metri, e alle alluvioni che hanno fatto il resto. Il costo dei biglietti, spiegano, viene interamente devoluto alla manutenzione di questi splendidi luoghi. Sosta anche a Phitsanuloke per il Wat Mahathat che conserva una delle statue del Buddha più venerate del Paese. Siamo stati fortunati a trovare una funzione religiosa in corso perché l’emozione che si prova a sentire i monaci cantare e pregare è davvero unica. È con un senso di pace e serenità che arriviamo a Sukhothai, un tempo città capitale del Siam, dove la tradizione Thai ha avuto origine. Il parco storico di Sukhothai, in stile prettamente induista, va visitato la mattina presto prima che il caldo renda tutto più difficile. Questi immensi templi non sono “riservati” ai turisti, molti thailandesi (che non pagano alcun biglietto, l’unica loro donazione sono fuori e cibo) vi si recano a pregare. Spostandosi da Bangkok il traffico è un brutto ricordo: le strade sono affollate di gente, le orchidee crescono spontanee ovunque, poche auto e sopratutto pochissimi “tuk tuk” il cui nome deriverebbe dal rumore della marmitta di questi taxi colorati a tre ruote che, dicono, non ti portano mai dove chiedi (ad alcuni è capitato) ma presso negozi “convenzionati”. L’indomani ci dirigiamo a Chang Mai, “La rosa del Nord”, città che ospita una delle comunità di monaci più numerosa del Paese.

Il lungo viaggio ci impone una sosta: mai scelta fu più azzeccata di fermarci in uno dei tanti mercati lungo la strada. Qui la Thailandia è autentica: nei banconi si possono trovare infinità di spezie, riso, ma anche rane, serpenti ed insetti vari cucinati con erbe o fritti, verdura, frutta (provate il mangustino e ve ne innamorerete) e funghi. I commercianti si divertono un mondo a vedere i turisti che assaporano insetti e larve, se sono piccoli il sapore è sopportabile, le blatte invece sono così grandi che sono i più coraggiosi tentano l’impresa. Al “tempio sulla collina”, il Wat Pharathat Doi Suthep, 1000 metri di altitudine, rimaniamo poco perché è attesa la visita della principessa e le guardie ci intimano di restare buoni e fermi oppure di andarcene. Abbiamo scelto la seconda ipotesi desiderosi di vedere altre meraviglie lungo la strada per il Triangolo d’Oro. Questo straordinario Paese ci accontenta in poco tempo con una visita ad un villaggio Padong, etnia delle “donne giraffa”.

Siamo costretti a prendere un furgoncino per arrivare al campo dove troviamo un mercato. Alcune donne sono intente a tessere, altre vendono manufatti, una ci canta una canzone (nella foto con la chitarra) mentre gli uomini raccolgono frutta e curano i campi: la guida ci spiega che molti dei prodotti esposti sono importati e il ricavato delle vendite lo usano per vivere visto che hanno solo terre da coltivare. Le abitazioni dietro al mercato sono piccolissime costruzioni in legno dove intere famiglie cucinano, mangiano e dormono. I bagni sono separati. Le etnie sono differenti e provengono dalla vicina Birmania, oltre alle donne giraffa riconoscibili dal pesante “collare” che sembra allungare il collo (in realtà abbassa le clavicole) vi sono donne con impressionanti divaricatori alle orecchie e anelli ai polpacci e alle caviglie. Il collare d’ottone viene applicato in seguito ad un rito che consacra le bambine a diventare donne e man mano che crescono lo stesso viene aumentato fino a pesare diversi chili. Il confine tra Thailandia, Laos e Birmania (il celebre Triangolo d’Oro) è a due passi: prendiamo una motolancia per arrivare in Laos e visitiamo il villaggio di Don Sao dove ad accoglierci al confine c’è una guardia in ciabatte. Impossibile, ci spiega la guida, arrivare vicino alla costa della Birmania perché i controlli nelle piantagioni di oppio renderebbero il passaggio poco sicuro. È l’ora di tornare a Bangkok e da qui verso l’isola di Ko Samui. 

ANDREA TARABU’

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