DIRITTO ALLA CULTURA – Quando le parole non servono, la vita e l’arte di Charlie Chaplin

Un talento naturale, una vita straordinaria dentro e fuori le sue opere, indiscutibilmente uno dei cineasti più grandi del XX secolo. Charles Spencer Chaplin nasce a Londra il 16 aprile 1889 e muore a Corsier-sur-Vevey il giorno di Natale del 1977. Difficile ricostruire la sua vita nonostante l’imponente massa di materiale che lo stesso Chaplin ha lasciato e al quale ha avuto accesso il critico e storico del cinema David Robinson, autore di quella che ad oggi viene considerata la biografia definitiva del Re del cinema muto. Figlio di Charles Chaplin Senior e Hannah Harriette Hill, in arte Lily Harley, la sua carriera viene senza dubbio influenzata dalla professione dei genitori: il padre, un anno dopo il matrimonio, si esibiva in palcoscenici importanti come cantante comico mentre la madre era attrice e cantante. Il loro matrimonio è durato poco e la prematura scomparsa dei genitori costringe Charlie (e il fratello Sidney) a darsi da fare ben presto nel mondo dello spettacolo esordendo con un gruppo giovanile dove viene notato come straordinario ballerino di tip tap. Agli inizi del ‘900 approda negli Stati Uniti come attore di punta della società dell’impresario teatrale Fred Karno, dove già lavorava il fratello e qui inizia a recitare. Il suo debutto sullo schermo è questione di poco tempo. Le proposte di contratti si susseguono e il suo stipendio comincia a lievitare finché non decide di provare da solo e dopo Vita da Cani (1918) dedica la sua arte alla guerra con produzioni come Charlot soldato (1918) e altre. La sua carriera comincia a decollare e i botteghini fanno affari d’oro tanto che ben presto fonda la United Artists Corporation.

Baffetti e andatura incerta, scarpe e pantaloni abbondanti, l’inconfondibile bombetta e il bastone da passeggio sono i sui tratti distintivi dal punto di vista estetico ma quello che Chaplin riesce a trasmettere con la mimica facciale è un uomo di umili origini con grande dignità e raffinatezza. “Credo nel potere del riso e delle lacrime come antidoto all’odio e al terrore” parole che calzano a pennello la sua visione artistica del mondo che ha già affrontato la Prima Guerra Mondiale e si prepara per la Seconda, l’epoca del progresso industriale e del primo sviluppo economico che Chaplin guarda con gli occhi delle classi sociali più emarginate. Attuale e moderno allo stesso tempo.

I capolavori del cinema muto.

Nei suoi film prende spunto dal personaggio di Charlot il vagabondo, ideato dallo stesso Chaplin, e comparso per la prima volta in Charlot si distingue (1914). Dopo il successo de Il Monello, in cui fa esordire il piccolo Jakie Coogan, val la pena ricordare La donna di Parigi (1923) in cui il cineasta dimostra di che pasta è fatto e, bando alle commedie che lo avevano reso celebre, si dedica a questa commedia romantica in cui dà spazio a Edna Purviance, colei che lo ha seguito in oltre 35 film. Con Edna, oltre ad un rapporto professionale nasce una relazione cosa di cui non c’è da stupirsi visto che non fu l’unica partner lavorativa a intrecciare una relazione con lui: Lillita MacMurray, ribattezzata Lita Grey, non aveva nemmeno 16 anni quando aveva collaborato ne Il monello e viene riutilizzata da Chaplin per La febbre dell’oro (1925). Anche con lei nasce una storia d’amore e i due si dovettero sposare visto che Lita era rimasta incinta. Ormai in là con l’età Chaplin avrebbe detto che gli sarebbe piaciuto essere ricordato anche solo per essere stato l’autore de La febbre dell’oro. Con Il Circo (1928) vince un Oscar, all’epoca si chiamava ancora Academy Awards, alla carriera “per la versatilità ed il genio nella recitazione, sceneggiatura, regia e produzione”. La pellicola gli costa non pochi sforzi: il matrimonio con Lita è finito (la separazione è sulla bocca di tutti e rischia di distruggere la carriera del cineasta), un incendio negli studios, numerosi furti e il tendone del circo danneggiato dal maltempo comportano otto mesi di inattività. Chaplin ha un esaurimento nervoso, sembra che gli si fossero ingrigiti i capelli al punto che dovette ricorrere alla tintura.

ELEONORA DOTTORI Fine Prima Parte 

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