Un’Europa più balcanica

 

L’IMMINENTE INGRESSO DELLA CROAZIA NELL’UE TRA TITUBANZE ED ULTIME INCERTEZZE

-di Tommaso Cassiani

BANDIERE Il 9 Dicembre 2011, quando la Croazia firmò il Trattato di Bruxelles sigillando così la sua prossima entrata nell’Unione Europea, mi trovavo a Belgrado collaborando con la Delegazione UE in Serbia.

A essere onesti, la notizia non venne accolta con grida di giubilo e canti di festa, ma con un miscuglio di timida soddisfazione per l’allargamento dell’Unione al secondo Paese di quella che fu la Jugoslavia ed amarezza (sconfinante in alcuni casi in aperta ostilità) per la situazione di stallo che in quei mesi paralizzava i rapporti tra Bruxelles e Belgrado (al momento la Serbia ha finalmente ottenuto lo status di candidato e sono in corso i negoziati).
A meno di due anni di distanza, la Croazia sta per varcare la soglia che la porterebbe ad essere a pieno titolo il ventottesimo Stato membro dell’Unione Europea.

O almeno, questo era il piano.
La situazione infatti diventa, come si confà ad un racconto balcanico, più ingarbugliata ogni giorno che passa. Per tentare di comprendere quella che presto sarà una nostra vicina può essere utile una sintetica desamina dei principali punti di contrasto

  • UNIONE SI, MA QUANDO? – La data ufficiale, almeno per la maggior parte dei media croati, è il 1 Luglio 2013. A Zagabria tutto è pronto per festeggiare il primo lunedì comunitario, eppure Francia, Inghilterra e Olanda – insoddisfatte dei progressi mancati nella lotta alla corruzione del Paese balcanico – spingono per la creazione di un meccanismo di controllo post-adesione che posticipi l’effettivo ingresso nell’Unione Europea. Il terreno è minato, in quanto i Balcani galleggiano sopra un sostrato di continuo scontrato tra ambizioni europee e anti-europeismo dei suoi cittadini. E ritardare l’ingresso per motivi di politica interna potrebbe portare le fazioni anti-europeiste e nazionaliste ad acquisire un potere pericoloso nell’imminenza delle elezioni politiche d’autunno. Inoltre l’applicazione di un meccanismo di monitoraggio post-adesione coadiuverebbe l’imbarazzante messaggio che un Paese che ha firmato il Trattato di adesione non è effettivamente pronto all’ingresso nell’Unione, screditando il lavoro e la valutazione della Commissione a favore di veti politici.
  • LAVORO E DISOCCUPAZIONE – Il timore non è nuovo, anzi replica quello nato poco prima l’ingresso di Bulgaria e Romania tra i Paesi membri: il giorno dopo l’adesione, un’ondata di disoccupati croati si riverserà nelle città dell’Europa Occidentale saturando un mercato del lavoro già in profonda crisi. Vera o meno che sia la previsione, il Trattato di adesione firmato dalla Croazia prevede il diritto degli altri Stati membri di limitare l’accesso al mercato del lavoro interno ai lavoratori croati per i due anni successivi all’entrata nell’UE, portandoli a necessitare per questo periodo di un permesso di lavoro al pari dei cittadini extra-europei. Per il momento soltanto la Slovenia ha dichiarato di aver approvato tale moratoria, ma già il Veneto di Zaia scalpita facendo pressioni a Roma per seguirne l’esempio.
  • E L’EURO? – La Croazia al momento sta attraversando una crisi piuttosto pesante, con debito estero imponente e alto tasso di disoccupazione. Di conseguenza, difficilmente l’adozione dell’Euro sarà tema di dibattito immediato a Zagabria. Eppure alcune fazioni parlamentari sospingono fortemente l’idea, e nonostante la Kuna permetta ancora di stabilizzare un’economia zavorrata da una corruzione endemica, i futuri governi potrebbero decidere di metterla in discussione.

Avremo presto un nuovo membro nel club più prestigioso (per quanto traballante) del continente. Ma prima di portargli i classici biscotti di benvenuto, aspettiamo di vedere a che condizioni li faremo entrare.

 

 

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