Tonya, la recensione

di Alessandro Faralla (Responsabile Cultura e Spettacoli F&D)

tonya

 

La vicenda di Tonya Harding è così surreale che era inevitabile farne un film. Il paradosso, il grottesco accompagnano molte esistenze, se poi nasci in un contesto mediocre, dove il massimo dell’aspirazione è riuscire a tenersi stretto un lavoro da cameriera in una tavola calda allora la parabola del tuo percorso di vita per riuscire a restare in vetta deve essere caratterizzata da drammi ed eccessi di ogni genere.

Tonya non è la storia di una donna che ha sprecato un grande talento ma è la vicenda appassionante e grigia (più che triste) di una ragazza la cui vera ambizione era il riconoscimento sincero da un mondo che fin da piccola la allevata con insulti, calci e vetri rotti.
Forte poiché “educata” da una donna poco materna e più vicina ad un sergente di ferro, Tonya Harding probabilmente non era la più forte in assoluto ma dotata di un talento grezzo che non è riuscita, causa movimentata vita privata, ad armonizzare.
Eppure al di là delle mere vittorie qualche polvere di gloria l’ha accarezzata tra la fine degli anni 80 e i primissimi del 90 sino a quando la nota vicenda dell’aggressione alla rivale Nancy Kerrigan la fece precipitate suo malgrado in un malinconico oblio.
Nonostante questo il film che la vede protagonista diretto Craig Gillespie è un racconto senza filtri, genuino, capace di restituire con credibilità profili bizzarri e storie tanto paradossali quanto vere di un’America che vuole sportivi impeccabili e famiglie confetto ma si arricchisce grazie alle Tonya Harding, ai mitomani, e ai tanti losers confinanti in contesti saturi e luridi.

Sapere esattamente come sono andate le cose è probabilmente irrelevante, Tonya lo comunica nell’incipit agli spettatori che la verità non appartiene ad un’avventura narrata con lo stile mockumentary che strizza continuamente l’occhio al pubblico senza però essere ruffiano o artificioso perché la gioia, le paure, le insicurezze, le costanti cadute di Tonya sono reali e il merito è di una Margot Robbie che non gioca col personaggio ma lo accoglie in tutta la sua irrequietezza.

Tonya Harding, la prima atleta americana a compiere un triplo Axel ai campionati nazionali, la sportiva che si cuciva da sola sgargianti e corti costumi diventò il personaggio da copertina, colei che faceva parlare di uno sport ma non l’immagine pulita ed impeccabile desiderata da chi prendeva decisioni nel pattinaggio.
Suo malgrado divenne il colpevole di una vicenda bizzarra quanto vera che le ha destinato una dimensione anonima come quella di sua madre, dalla quale ha sempre cercato di differenziarsi. Non è un simbolo Tonya, né un’eroina, Gillespie però non la giudica, mostra la persona ed è impossibile non avere partecipazione o entrare in sintonia con quello che fa o prova.

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