Strada antica, ma senza targa turistica

VICINO ALLA FONTANA DEL CALAMO

Il tratto, lungo una ventina di metri, di strada vicino alla Fontana del Calamo in corso Mazzini ad Ancona (foto di Silvia Breschi)
Il tratto, lungo una ventina di metri, di strada vicino alla Fontana del Calamo in corso Mazzini ad Ancona (foto di Silvia Breschi)

ANCONA – di Giampaolo Milzi – Un tratto di selciato antico, probabilmente antichissimo, forse di epoca romana. Un nobile decaduto nell’indifferenza più totale, sia civica che istituzionale. Una sorta di “damnatio memoriae” incombe cronicamente sulla “striscia” di affascinante basolato su cui ad Ancona, nella parte più vecchia del corso Vecchio, ovvero corso Mazzini, si affaccia la fontana “sorella” di quella più blasonata del Calamo, popolarmente “delle Tredici Cannelle”. Neanche a dirlo, manca una targa turistica ad indicare ai passanti la resistente esistenza a cielo aperto di questo importante reperto archeologico. E poi un piccolo giallo storico. Nessuno si è mai posto il problema di datarlo con buona approssimazione. Tra alcuni studiosi aleggia la forte la tentazione di affermate che quel prezioso scampolo di manto stradale (lungo una ventina di metri, ampiezza variabile da 1 a 2 metri) sia più o meno bimillenario, riferibile all’Ancona urbs romana. Di più. Giuseppe Barbone, ex dipendente dell’assessorato alla Cultura del Comune dorico, consulente del nostro team di ricerca Urlo Indiana Jones, ne è convinto. Tanto da sostenerlo quando curò un vecchio depliant illustrativo delle eccellenze storico-architettoniche del capoluogo marchigiano. Un altro indizio in tal senso: ilSegretariato regionale del ministero dei Beni e delle attività culturalicon sede ad Ancona, da cui dipende la Soprintendenza unica, ha da molto tempo decretato un vincolo di tutela relativo “alla Fontana del Calamo e alle sue preesistenze romane”. Ovvio pensare, che tra le “preesistenze romane” possa rientrare il nobile e visibilissimo basolato decaduto nell’oblio.

Si dice che tre indizi fanno una prova. A giocare a favore di una cospicua retrodatazione, l’indiscusso fatto che il sito idrico in gran parte ipogeo di Fonte del Calamo e immediati dintorni sia considerabile il più antico della città. Calamo dal greco sta per canna. Da ciò si evince che l’originaria realizzazione del sito andrebbe attribuita ai Dori Siracusani che fondarono secondo tradizione Ancona nel 387 a.C..

Un particolate del basolato, studiosi divisi sull’epoca: romana o medievale? Il sito andrebbe comunque valorizzato dal Comune con una targa (foto di Silvia Breschi)
Un particolate del basolato, studiosi divisi sull’epoca: romana o medievale? Il sito andrebbe comunque valorizzato dal Comune con una targa (foto di Silvia Breschi)

E che una prima fonte di approvvigionamento idrico fu realizzata nell’ambiente lacustre con cannetti creato dallo scorrere del torrente Pennocchiaria proprio in quella zona. L’impianto delle cisterne sotterranee che alimentano la Fonte del Calamo, parte di un arcaico acquedotto cittadino, fu ristrutturato in epoca romana e poi medievale. Una importante opera di risistemazione avvenne poi in concomitanza con la ricostruzione della nuova e omonima Fontana in corso Mazzini (attribuita a Pellegrino Tibaldi) tra il 1559 e 1560. Tutta l’area che gravita sulla parte “bassa” di corso Mazzini e si spinge, superando piazza Roma, nel secondo tratto ottocentesco del corso, ci ha restituito numerose testimonianze di opere urbanistiche romane. A cominciare dal vicinissimo e importante sito – anche questo non segnalato da targa turistica! – con resti di domus e “tabernae” romane, e relative parti pavimentali, presente al civico 4 di via Zappata, inglobato ahinoi nei sotterranei della sede della Corte d’Appello, riferibile alla prima epoca imperiale (I sec. a.C – I sec. d.C.). E ancora. Nell’ottobre del 1980, durante i lavori per il rifacimento di impianti fognari, nella parte iniziale del tracciato “alto” di corso Mazzini, ovvero più o meno dall’incrocio con piazza Roma fino alla zona Mercato delle Erbe/Galleria Dorica, a 60 cm di profondità vennero alla luce rilevanti testimonianze di un impianto abitativo di età augustea. Nel 1924, sotto il Mercato delle Erbe, fu scoperto un pavimento a mosaico geometrico del I sec. a.C., conservato al Museo Archeologico di Palazzo Ferretti. Nell’androne di un palazzo di via degli Orefici (traversa sulla destra in fondo a corso Mazzini) è visibile parte di una strada romana che probabilmente scendeva dall’Acropoli col tempio sul Guasco e risaliva sull’Astagno, strada su cui si affacciavano molte abitazioni patrizie. Restando ad esempi di reperti di epoca romana imperiale fuori delle mura vere e proprie dell’urbe (per il rione Guasco – Porto – San Pietro se ne possono elencare in abbondanza), non possiamo non citare – almeno – il cosiddetto “Oratorio di Flavio Eventio”, ovvero i resti di una cappella privata con annessa cripta funeraria e mosaico, probabilmente di epoca paleocristiana (IV-V sec. d.C.), sacrificato nel sottoscala-magazzino del negozio di scarpe Grandinetti, all’angolo tra via Marsala e corso Garibaldi. Così come vanno citati i resti di una fabbrica per la produzione per la porpora e di una palestra ginnica visibili in un angolo del parcheggio sotto piazza Pertini.

Gli studiosi sono d’accordo su un punto: la zona della Fonte del Calamo, pur fuori delle strutture murarie difensive, già in epoca romana imperiale era parte di un’area più vasta che aveva accolto l’espansione della città, con veri e propri complessi abitativi, piccoli quartieri, ville, naturalmente strade, fino a spingersi lungo la direttiva via Matteotti – corso Amendola, dove sono state ritrovate numerose tombe e strutture sepolcrali (necropoli e sepolture di epoca romana del resto sono note al Cardeto, così come sotto piazza Cavour). Fondatissima, anche un’altra tesi. Il sito della fonte del Calamo, come l’area indicata di cui fa parte, fu soggetto nei secoli a più interventi urbanistici ed edilizi, con il classico effetto della “stratificazione”. E dunque, sempre tra appassionati, studiosi e archeologi c’è chi propende per collocare il basolato in questione in periodi diversi, più recenti: tardo imperiale, bizantino, diverse fasi del Medioevo. Anche in considerazione di differenti “letture” dei tipo di “piastre” in pietra calcarea utilizzate per l’opera. L’archeologa anconetana Gaia Pignocchi sposerebbe l’ipotesi di una costruzione di epoca medievale. Un’altra archeologa, notissima, molto esperta dell’Ancona romana, Stefania Sebastiani, fedele al rigore scientifico, pur tentata, non se l’è sentita di inserire in alcune sue pubblicazioni questa parte di selciato tra le evidenze dell’eredità tecnico-ingegneristica della scuola SPQR. C’è poi chi ipotizza che il reperto possa essere stato realizzato nel Medioevo con pezzi di basolato romano “di recupero”.

La prova del nove sull’esatta datazione potrà venire solo dalla Soprintendenza. Quando avrà completato gli studi di raffronto relativi alle varie quote dove sono stati rinvenuti molti dei reperti citati. A questo punto una domanda è comunque d’obbligo: in attesa del responso della Soprintendenza, non sarebbe doveroso da parte del Comune apporre fin da subito una targa, predisporre una protezione per valorizzare il plurisecolare e affascinante selciato, che andrebbe inoltre periodicamente ripulito a dovere? Sul cartello basterebbe scrivere “antico tratto di manto stradale di epoca romana o medievale”. Sempre meglio della “damnatio memoria”, e a giovamento di passanti e turisti.

(articolo tratto da Urlo – mensile di resistenza giovanile)

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