‘Sport e Diritti’- Una meta per la vita: la storia del Rugby

Un gioco apparentemente ruvido e violento, fatto in realtà di moltissime regole, di grande disciplina e di spirito di squadra. E’ il rugby, mille storie di fango ed orgoglio.

La leggenda ne attribuisce la nascita a William Webb Ellis, uno studente della scuola della cittadina inglese di Rugby: nel 1823, in occasione di una partita di football giocato con regole ancora non standardizzate, William Webb Ellis raccolse la palla con le mani e iniziò a correre verso la linea di fondo campo avversaria per poi schiacciarla oltre la linea di fondo campo urlando a gran voce: “META!”.

Fu l’origne del rugby.

La mancanza di uniformità di regole causò una prima, grande, scissione: nel 1863 i rappresentanti di un gruppo di club inglesi decise di adottare le Regole di Cambridge, in parte modificate, e fondarono la Football Association. Il calcio.

Sulla definizione di rugby, c’è un aforisma (erroneamente attribuito a Oscar Wilde) di Henry Blaha, giocatore e giornalista americano: “Il rugby è un gioco bestiale giocato da gentiluomini, il calcio è uno sport da gentiluomini giocato da bestie, il football americano è uno sport bestiale giocato da bestie”

Il 1º gennaio 1886 i delegati delle federazioni storiche del rugby, ovvero Scozia, Galles e Irlanda fondano la International Rugby Board ossia IRB, l’organismo internazionale che disciplina e regolamenta il rugby a 15. L’Inghilterra inizialmente non ne fa parte, ma si unisce in seguito nel 1890.

All’inizio il Rugby viene considerato uno sport elitario, rigorosamente amatoriale, praticato moltissimo dagli studenti nei colloge per quel suo modo meraviglioso di infondere regole e creare spirito di gruppo. Poi con l’avvento del professionismo, tutto cambia, ma resta sempre questa straordinaria impostazione di sportività pura, di amicizia in campo e sugli spalti. Il rugby viene rapidamente esportato nei paesi anglosassoni dall’altra parte del mondo: Sudafrica, Nuova Zelanda, Australia.

Assistere ad un incontro di rugby in un Paese anglosassone è un’esperienza sportiva davvero emozionante: tifosi mischiati, musica, birra, festeggiamenti prima e dopo la partita. Il terzo tempo, in campo e fuori. Birra, cibo, amicizia. Sconosciuti baffuti e un po’ alticci che ti invitano nei pub a festeggiare con loro. Non il risultato, si festeggia. Ma lo spirito, l’atmosfera, lo sport.

Donne, bambini, anziani e vecchine. Tutto si colora di passione, amore per la propria squadra, per la tradizione che essa rappresenta. Un popolo unito attorno ad uno stadio. E la vera festa è proprio questa. Il risultato è un di più.

Fango, corsa, muscoli d’acciaio e cuore. Il cuore che guida i muscoli, il cuore che non fa sentire il peso dei colpi e delle ferite, il cuore che ti fa correre anche per il compagno in difficoltà. Il cuore di un pubblico appassionato, di uno stadio in festa, di un popola intero che spinge la palla ovale.

La meta. Non solo cinque punti.

La vita.

T.R.

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