Sparatoria in USA: riflessione sulla legislazione in materia di armi

LA DEMOCRAZIA DAL GRILLETTO (TROPPO) FACILE

di Avv. Giandomenico Frittelli

imagesCi risiamo. Gli USA si riconfermano teatro dell’ennesima strage.

Ieri sera, verso le 21:00, un uomo – bianco, a quanto pare – entra nella “Emmanuel African Methodist Episcopal Church” di Charleston, South Carolina, ed apre il fuoco durante la lettura della Bibbia. Nove sono i morti: otto persone perdono la vita sul colpo sotto la pioggia dei proiettili, la nona muore poco dopo il ricovero in ospedale.

Si tratta probabilmente di un omicidio a sfondo razziale, così per lo meno lo ha subito definito il capo della polizia della città, Greg Mullen: e ciò è del tutto verosimile, se solo si considera che la cittadina di Charleston è la stessa che è stata recentemente teatro di fortissime tensioni razziali, dopo che un poliziotto (bianco) di nome Michael Slager è stato incriminato per aver sparato ad un uomo (nero), tale Walter Scott, uccidendolo mentre fuggiva completamente disarmato. Abbiamo tutti in mente le fiaccolate della comunità afroamericana, che tanto ricordano quelle di Mr. King di qualche decennio fa.

Il sindaco della città, Joe Riley, ha dichiarato alla stampa “E’ una tragedia incomprensibile“: ma è proprio così?

Ora, tralasciando l’eventuale (ed altamente probabile) movente di tipo razziale, e focalizzando invece l’analisi sulla dinamica dell’evento e sulla frequenza in cui tali accadimenti avvengono negli USA, vale la pena chiedersi: è davvero condivisibile il commento del sindaco di Charleston?

LA NORMATIVA STATUNITENSE

Cominciamo col dire che negli USA il possesso di un’arma da fuoco viene considerato un diritto sacrosanto ed intangibile di ogni cittadino maggiorenne, e ciò ha delle precise ragioni storico-sociali.

Il “Secondo Emendamento” della “Costituzione degli Stati Uniti d’America” (che, per inciso, risale al 15 settembre 1787 ed è una delle più antiche delle società moderne) sancisce infatti che “Essendo necessaria, per la sicurezza di uno Stato libero, una Milizia ben organizzata, non sarà violato il diritto del popolo di tenere e portare armi”.

E’ chiaro che le origini di una simile scelta normativa vadano ricercate nelle occupazioni da parte dell’Impero britannico e spagnolo: il possesso di un’arma da parte delle milizie cittadine, durante gli anni delle grandi colonizzazioni europee, era, in buona sostanza, l’unico strumento che gli Statunitensi avessero per difendere territori, case, famiglie e proprietà privata.

Se tale diritto sia dedicato esclusivamente alle “milizie statali” – oggi, gli eserciti – o possa essere invece esteso anche ai privati cittadini è tuttavia questione oggetto di acceso dibattito. Le Corti americane (le cui sentenze hanno valore equiparabile alle norme di legge, trattandosi di ordinamento di Common Law) hanno nel tempo interpretato il significato del “Secondo Emendamento” in maniera estensiva e, in diversi casi giudiziari, sin dal 1900, hanno sancito che il diritto di possedere e portare armi è riconosciuto anche ai singoli cittadini.

Nel luglio 2008 la Corte Suprema degli Stati Uniti (istituita nel 1789 come la più alta corte federale degli Stati Uniti: unico tribunale specificamente disciplinato dalla Costituzione) ha riconosciuto il diritto dei cittadini di possedere armi, dichiarando incostituzionale la legge del Distretto di Columbia che, invece, ne vietava ai residenti il possesso. È stato così stabilito il diritto individuale dei cittadini statunitensi ad essere armati, annullando la legge che da 32 anni proibiva di tenere in casa una pistola per difesa personale nella città di Washington. La sentenza del 2008 ha così fornito un’interpretazione definitiva al “Secondo Emendamento”: il diritto di portare armi è riconosciuto come inviolabile, al pari del diritto di voto e di libertà di espressione.

In molti Stati degli USA (quasi tutti, per la verità) chiunque può chiedere ed ottenere la licenza al possesso di armi (salvo alcune prescrizioni), anche se poi ogni stato federato ha le sue regole in merito: l’arma, se portata con sé, deve ad esempio essere visibile e non può avere il colpo in canna. È vietato quindi il porto nascosto alla vista, come pure è proibito l’acquisto di armi da parte di minori (ai quali i venditori dovrebbero chiedere l’esibizione di un documento personale all’atto dell’acquisto); non sempre invece è vietato ai minorenni l’utilizzo di armi: in battute di caccia, ad esempio, il minore può usare le armi se “accompagnato da genitore o da persona competente”.

E – sia ben chiaro – basta fare un giro su YouTube per trovare un’infinità di video in cui amorevoli padri di famiglia insegnano pazientemente ai loro bambini (anche di 5 o 6 anni) come si impugna e si utilizza una pistola, piuttosto che goffe mogli dalle unghie laccate che cadono indietro a terra per effetto del rinculo di una calibro 38 (con irrefrenabili laute risate del videoamatore che sta riprendendo la scena).

Tutto ciò, vale la pena ribadire, è ritenuto assolutamente normale: un diritto costituzionale della democrazia americana.

Del resto, la potentissima lobby americana delle armi ha apertamente ostacolato ogni tentativo dell’attuale Presidente Barack Obama di arginare, con una più stringente normativa, la proliferazione di armi da fuoco (ed i relativi costanti bagni di sangue). Il messaggio che la lobby ha mandato è arrivato forte e chiaro al Congresso, che, ad oggi, ha praticamente accantonato ogni speranza di poter minimamente incidere nel settore armi.

Insomma, capitolo chiuso.

Lo stesso Jeb Bush (candidato alle presidenziali del 2016 per il partito repubblicano, storicamente vicino alla lobby degli armaioli), pur avendo in agenda tra alcune ore una serie di eventi elettorali proprio a Charleston, in seguito alla sparatoria ha fatto sapere di aver cancellato tutto il programma.

LA NORMATIVA ITALIANA

Assai diversa è la normativa nostrana sulla detenzione delle armi da fuoco.

Il T.U.L.P.S. (Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza – Regio Decreto 18 giugno 1931, n. 773) stabilisce, infatti, all’art. 35 che: Il questore subordina il rilascio del nulla osta alla presentazione di certificato rilasciato dal settore medico legale delle Aziende sanitarie locali, o da un medico militare, della Polizia di Stato o del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, dal quale risulti che il richiedente non è affetto da malattie mentali oppure da vizi che ne diminuiscono, anche temporaneamente, la capacità di intendere e di volere, ovvero non risulti assumere, anche occasionalmente, sostanze stupefacenti o psicotrope ovvero abusare di alcool, nonché dalla presentazione di ogni altra certificazione sanitaria prevista dalle disposizioni vigenti”.

Ebbene, questo breve comma ha il merito indiscusso di (contribuire ad) evitare stragi come quella che qui si commenta.

Di più: il comma 10 dello stesso articolo prevede che “Il provvedimento con cui viene rilasciato il nulla osta all’acquisto delle armi, nonché quello che consente l’acquisizione, a qualsiasi titolo, della disponibilità di un’arma devono essere comunicati, a cura dell’interessato, ai conviventi maggiorenni, anche diversi dai familiari, compreso il convivente more uxorio, individuati dal regolamento e indicati dallo stesso interessato all’atto dell’istanza, secondo le modalità definite nel medesimo regolamento”. In sostanza, la Legge stabilisce che chi ottiene una licenza di porto d’armi lo deve rendere formalmente noto persino ai propri familiari, poiché l’arma è un oggetto assolutamente pericoloso e tutti devono essere resi edotti che in casa c’è un’arma da fuoco.

Motivo per cui, in Italia, chi dimenticasse la propria Colt (rectius, Beretta) sul comodino, qualora la stessa venisse maldestramente maneggiata da un minorenne (magari durante uno screzio coi fratellini, con conseguente involontario bagno di sangue, tanto per non farsi mancare nulla), verrebbe senz’altro incriminato penalmente.

La differenza – normativa, ma soprattutto culturale – tra i due ordinamenti è evidentemente tangibile: in Italia possedere un’arma da fuoco non è affatto un diritto e, semmai, prevede il superamento di una serie di verifiche (anche psicologiche) prima di ottenere dalla competente Questura il rilascio di apposita licenza.

In conclusione, pur annaspando l’Italia tra non pochi problemi, abbiamo forse ragione di gonfiare un po’ il petto e di porci stavolta noi – almeno in questo caso e sotto questo preciso ambito – come “modello di democrazia esportabile”: una non magra soddisfazione. 

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