Processo Eternit bis in stallo: la Corte Costituzionale deciderà sul principio del ne bis in idem

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LA DECISIONE DEL GUP DI TORINO TRA SODDISFAZIONE E TENSIONE

di Barbara Fuggiano

L’imprenditore svizzero Stephan Schmidheiny, amministratore delegato della Eternit, è l’unico imputato del processo per l’omicidio volontario di 258 persone legato alle immissioni delle polveri e dei residui della lavorazione dell’amianto prodotti dagli stabilimenti di Torino.

Ha già cantato vittoria nel primo processo Eternit per disastro doloso c.d. innominato (art. 434 c.p.), terminato con la sentenza della Cassazione che aveva dichiarato la prescrizione del reato ben prima che il procedimento penale avesse inizio: sentenza odiosa, impopolare ma conforme al diritto e certamente non imprevedibile. Si è trattato, infatti, di una scommessa e di un rischio che i P.M. hanno accolto: procedere per il reato contro la pubblica incolumità (il disastro) piuttosto che per le singole morti (omicidio doloso/colposo), onde evitare di dover provare il delicato nesso di causalità e il legame psichico tra la condotta e l’evento-morte. La prova, infatti, delle immissioni nocive è certamente più agevole rispetto alla prova (scientifica) dell’inesistenza di altre concause che possano aver prodotto il tumore.

Scelta azzardata, appunto, che adesso fa i conti con l’eccezione sollevata dalla difesa: l’imputato è stato già giudicato per i medesimi fatti, quindi la prosecuzione del secondo giudizio è preclusa dal principio del c.d. ne bis in idem.

Il G.U.P. di Torino, Dott.ssa Federica Bompieri, ha rimesso gli atti alla Corte Costituzionale, sollevando una questione di legittimità costituzionale proprio in relazione all’art. 649 c.p.p. secondo il quale l’imputato prosciolto o condannato non possa essere sottoposto di nuovo a procedimento penale per il medesimo fatto, neppure se questo viene diversamente considerato per il titolo (la qualificazione giuridica del fatto), per il grado (la progressione criminosa) o per le circostanze.

Si tratta di una decisione, in parte, inaspettata, ma che potrebbe risolvere una volta per tutte il dibattito esistente sul concetto di “medesimo fatto”.

Le reazioni della difesa alla decisione sono ben rappresentate dalle parole dell’Avv. Di Amato: “Siamo soddisfatti della decisione del giudice, il tema del ne bis in idem lo avevamo sollevato noi e la decisione del giudice conferma che questo è il nodo del processo”.

All’opposto, le parti civili e le vittime dei reati contestati hanno espresso la massima delusione per una mancata presa di posizione del G.U.P. Reazioni comprensibili, visto il nulla di fatto già subito con il primo processo per disastro doloso: di nuovo, il timore di una “porta in faccia” si fa strada, in modo insostenibilmente più pesante.

Bruno Pesce, coordinatore dell’Associazione familiari vittime di amianto, ha detto che “sicuramente si allungano i tempi e la sofferenza ma in attesa della decisione dei giudici costituzionali (che non arriverà prima di un anno, n.d.r.) la Procura inserirà 94 casi nuovi di decessi, che riguardano soprattutto cittadini di Casale di Monferrato. Ad ogni modo, impedire questo processo è impossibile”. Parole confermate dal P.M. Guariniello, che rimane fermo nell’affermare che non vi sia alcun contrasto con il principio del ne bis in idem (e, dunque, con la Costituzione e la C.E.D.U.).

Per comprendere la questione che verrà affrontata dalla Corte Costituzionale e in attesa di conoscerne l’esito, riportiamo un approfondimento già pubblicato su questa rivista quando il procedimento Eternit bis iniziò il suo corso.

Il principio del ne bis in idemL’art. 649 c.p.p. prevede che l’imputato prosciolto o condannato non possa essere sottoposto di nuovo a procedimento penale per il medesimo fatto, neppure se questo viene diversamente considerato per il titolo (la quaificazione giuridica del fatto), per il grado (la progressione criminosa) o per le circostanze. Si tratta del principio del c.d. ne bis in idem sostanziale, tenuto distinto da quello processuale di cui all’art. 669 c.p.p.

Giurisprudenza e dottrina hanno speso fiumi di parole sul concetto di “medesimo fatto”, per giungere a concludere che tale espressione allude al “fatto storico – naturalistico del reato, in tutti i suoi elementi costitutivi identificati nella condotta, nell’evento e nel rapporto di causalità, in riferimento alle stesse condizioni di tempo, di luogo, di persona e di oggetto materiale della condotta” (tra le ultime sentenze, Cass. SS.UU. 34655/2005).
Il nodo del problema sta nel comprendere se il concetto di “medesimo fatto” debba guardare più alla condotta e allo svolgimento dei fatti storici ovvero anche alle componenti giuridiche dell’evento e del legale materiale esistente tra l’azione/omissione e l’evento verificatosi.

Dunque, in parole povere e senza perderci in disquisizioni troppo tecniche, in un’ottica garantistica, per scongiurare una pronuncia di improcedibilità dell’azione penale per ne bis in idem, è necessario che la sfasatura tra le imputazioni dei due procedimenti considerati non dipenda solo da una diversa qualificazione giuridica del fatto, ma anche e soprattutto dalla sussistenza di fatti ontologicamente diversi nelle singole componenti strutturali, in un’ottica, prima, naturalistica e, poi, giuridica.

Un nuovo processo per gli stessi comportamenti, ancorché imperniato su un’imputazione più precisa e calzante rispetto alla prima, non ha ragion d’essere né, in un’ottica di garanzia per l’imputato, può sopperire a errori procedurali commessi in precedenza dall’accusa o dall’organo giudicante.

Il processo Eternit bis. Schmidheiny era già stato raggiunto, nel luglio 2014, dall’avviso di conclusione delle indagini preliminari e l’imputazione, riprendendo la sentenza di condanna di secondo grado, si riferiva all’omicidio di 213 persone (tra il 1989 e il 2013) sorretto dal “dolo diretto”, perché, consapevole sin dal 1976 dei rischi connessi all’esposizione alle fibre di amianto, l’imprenditore non avrebbe protetto gli operai né migliorato le condizioni di lavoro e avrebbe, invece, messo in atto una strategia di disinformazione sui rischi della produzione e commercializzazione dei manufatti con l’obiettivo di tranquillizzare i lavoratori e gli acquirenti dei prodotti Eternit e mantenere i livelli di redditività.

L’avvocato della difesa, sottolineando la coicindenza delle vittime con quelle del primo grado di giudizio nel processo per disastro, ha immediatamente commentato: “I fatti elencati dalla procura d Torino nell’inchiesta per omicidio volontario sono gli stessi che sono stati portati al vaglio della Cassazione nell’ambito del processo per disastro doloso. Vengono solo riproposti in modo diverso”.

Subito dopo l’atteso deposito delle motivazioni della Cassazione, il P.M. di Torino, avendo avuto la conferma che sussistono le basi per andare avanti in questa battaglia, ha firmato la richiesta di rinvio a giudizio per la morte di 258 persone, tra lavoratori (66) e persone che abitavano nelle vicinanze dello stabilimento. “Abbiamo atteso le motivazioni per capire se c’era un netto distinguo tra il reato di disastro e quello di omicidio, visto che secondo la difesa c’era il rischio di processare gli imputati due volte per lo stesso reato. La Cassazione, invece, ha stabilito che questa sentenza nulla ha a che vedere con lesioni e morti”, anche perché “seppure il reato sia prescritto non c’è evidenza che l’imputato non l’abbia commesso, altrimenti la Cassazione l’avrebbe assolto nel merito” ha detto.

Nonostante il P.M. Guariniello continui a ribadire che la diversità tra i processi sia da rinvenirsi principalmente nella diversa qualificazione giuridica, abbiamo già visto come l’art. 649 c.p.p. non si concentra su questa ma, piuttosto, sul fatto storico oggetto di contestazione.

E’ evidente, comunque, la complessità della questione.

La Corte ha sottolineato che il reato di disastro innominato doloso, nella sua forma aggravata, prevede il verificarsi di un evento (il disastro) – da considerarsi accertato nel caso di specie – e l’aver danneggiato il bene protetto (la pubblica incolumità, nella quale può essere ricompreso il bene della vita delle vittime). Tuttavia, l’evento rileva solo quale circostanza aggravante, essendosi il delitto consumato con ‘esaurirsi della condotta, la cessazione dell’esposizione con la chiusura degli stabilimenti.

Gli omicidi oggi contestati nell’Eternit bis, invece, si riferiscono ad un evento (la morte degli orperai) diverso, seppur la condotta incriminata (l’aver esposto alle fibre di amianto la popolazione, nella consapevolezza della pericolisità di questo materiale) nonché le cirostanze di tempo/luogo e l’oggetto materiale sembrano coincidere.

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