Parma Football Club: Cronaca di un fallimento annunciato

LA EVENTI SPORTIVI HOLDING E LA DISCUSSA GESTIONE DI GHIRARDI, LEONARDI, TACI E MANENTI

di avv. Vanessa Marini

imagesStavano cominciando a far colazione quando videro entrare Santiago Nasar inzuppato di sangue che portava tra le mani il grappolo delle proprie viscere. Poncho Lanao mi disse: «Quello che non ho mai potuto dimenticare fu il terribile odore di merda».” (G.G.M)

Siamo alle solite: una importante società calcistica fallisce. Oggi per domani.

Santiago Nasar” questa volta è il Parma Fc e “Poncho Lanao” è ognuno di noi, sportivo e tifoso, a cui al momento non resta che l’odore nauseabondo di ciò che non quadra.

In tutti noi lo stesso pensiero: il nostro Santiago è rimasto davvero allo scuro del suo destino, come il protagonista di Màrquez, fino a pochi attimi prima di “crollare ventre a terra in cucina”?

All’apparenza il Parma è da mesi avvolto dal mistero e dal sospetto; nessuno sembra sapere nulla, compresi giocatori, tecnici e dipendenti.

Eppure, a detta dei più, i segnali c’erano e ben visibili, ma solo – come sempre – per chi voleva vederli.

La Eventi Sportivi Holding, fino allo scorso dicembre controllata da Tommaso Ghirardi e dalla sua famiglia, è la società che controlla – con il 90% del capitale – il Parma Football Club.

Questa società – nell’ultimo periodo passata dalle “mani” Di Rezart Taci a quelle di Giampietro Manenti più velocemente di una patata bollente – in qualità di capogruppo è tenuta a predisporre il c.d. bilancio consolidato (art. 25 D.Lgs. n. 127/91), il documento contabile con cui la società-vertice rappresenta la situazione economica, patrimoniale e finanziaria del gruppo di imprese cui si pone a capo.

Il bilancio consolidato della Eventi Sportivi è, nella storia del nostro Santiago, la voce narrante; voce che conosce più degli stessi personaggi e delinea una realtà più complessa di quella che emerge dal solo bilancio del Club calcistico.

Uscita – forse mai veramente – dal crac del 2004 del Presidente Tanzi, il 25 gennaio 2007 il Parma è stato acquistato da Tommaso Ghirardi, direttamente dal Commissario Straordinario Enrico Bondi.

Leggendo il bilancio consolidato della Holding del giugno 2009 si intuisce che, già allora, la situazione era tutt’altro che rosea.

La società di revisione dei conti, la PriceWaterhouse Coopers – tenuta a predisporre, ai fini della approvazione del bilancio sociale, una propria relazione (ex art. 2409 ter, 1° comma, lett. c) c.c.) – infatti così concludeva:“L’analisi del piano economico finanziario per il successivo esercizio 2009/2010 della controllata Parma FC evidenzia una previsione di perdita rilevante ed una notevole tensione finanziaria, in conseguenza di investimenti già effettuati sul parco giocatori; elementi che secondo gli amministratori, in assenza di specifiche operazioni, non consentirebbero alla controllata di assicurare il regolare adempimento delle obbligazioni sociali fino al termine della stagione sportiva 2009/2010″.

Qualcuno aveva notato dunque. Qualcuno aveva addirittura segnalato.

Per forza di cose qualcuno – forse anche più di qualcuno – già sapeva.

Nonostante ciò i successivi bilanci, compreso l’ultimo del giugno 2014, riportano la stessa allarmante segnalazione; una sorta di “filastrocca scaccia paura”.

Gia il bilancio 2009/2010 – stagione segnata dal ritorno in serie A del Parma e dalla decisione di Ghirardi di affidarsi a Pietro Leonardi, prima come direttore generale e poi come amministratore delegato – confessa una incapacità societaria di generare, attraverso la gestione ordinaria, un flusso di cassa sufficiente a coprire gli impegni assunti.

Le uniche strategie che il Parma Fc poteva adottare erano: chiedere soldi alla proprietà sotto forma di capitale o anticipazioni di cassa; assumere debiti nei confronti di terzi finanziatori; cedere i calciatori, cercando di fare plusvalenze e cassa.

Queste, in concreto, le manovre economiche adottate fino alla fuoriuscita di Ghirardi; manovre che hanno portato in termini monetari – ahimè sempre più chiari – alle casse del Gruppo Parma negli ultimi 7 anni (2008-2014) circa 281,37 milioni di euro.

L’ammontare delle uscite di circa 388,59 milioni non poteva che portare ad un saldo negativo di circa 107,22 milioni ca..

Così, in questi stessi anni, il Parma FC ha scosso il calciomercato: 996 giocatori trattati in entrata e in uscita, di cui 395 solo nell’ultima stagione. Al di là delle discutibili scelte calcistiche, questa manovra ha generato notevoli plusvalenze; plusvalenze che non si sono tradotte in “cassa” sufficiente a compensare la differenza tra le entrate e le uscite.

Ghirardi e la sua famiglia hanno, dunque, deciso di aprire il portafoglio di proprietari. Tuttavia le risorse finanziarie così raccolte dal Club sono arrivate non come capitale di rischio – cioè come capitale “spendibile” – ma come ulteriore debito. Tra i creditori del gruppo nel bilancio figura, infatti, lo stesso Ghirardi.

Dunque, per forza di cose, si è arrivati all’ultima spiaggia: il debito verso terzi finanziatori, soprattutto fornitori e fisco; la corrispondente voce di bilancio è lievitata nell’ultimo bilancio a circa 42 milioni di euro.

In questo tunnel di “debito sul debito” è stata giocata, ancora una volta e sempre nell’intento di creare attivo, la politica di player trading (calciomercato); una politica aggressiva, basata per lo più sui diritti pluriennali alle prestazioni dei calciatori (i cartellini). Risultato: un attivo “fumoso” ed incerto, poiché basato sui calciatori, e brutalmente concreto come i debiti.

Il quadro ora è chiaro per noi Ponchi Lanai, proiettati in questa nuova realtà sportiva.

Una realtà dove il “fallimento di una squadra” non è più solo un risultato indecoroso e “pilotare” definisce un sistema per fronteggiare una crisi e non c’entra con gli aerei.

Le società e le associazioni sportive oggi falliscono in presenza degli stessi presupposti, individuati dalla Legge Fallimentare (R.D. n. 267/1942), per cui falliscono le imprese/società commerciali, e cioè: la natura di imprenditore commerciale appunto (requisito soggettivo) e lo “stato di insolvenza”, incapacità del debitore di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni (requisito oggettivo).

Le uniche società o associazioni sportive che, almeno all’inizio, sembravano escluse dalla procedura erano quelle dilettantistiche; esclusione dovuta all’assenza dello “scopo di lucro” (ndr: equiparazione tra costi e ricavi) tipico delle imprese commerciali.

A questa intangibilità ha comunque posto rimedio la giurisprudenza, tanto di merito (Trib. Firenze 1995 “qualsiasi attività qualificabile come oggettivamente commerciale e che presenti obiettive caratteristiche di organizzazione e di produzione di beni o servizi, anche se finalizzata al conseguimento degli scopi ideali dell’associazione sportiva, è da considerare attività d’impresa”) quanto di legittimità (Cass. 8374/2000:ai fini dell’assoggettamento alla procedura fallimentare, lo status di imprenditore commerciale deve essere attribuito anche agli enti di tipo associativo che in concreto svolgano, esclusivamente o prevalentemente, attività di impresa commerciale, a nulla rilevando in contrario l’art. 111 del t.u. delle imposte dirette, D.P.R. n. 917 del 1986, che considera non commerciale le attività delle associazioni in esso indicate, attività che, pertanto, non concorrono alla formazione del reddito complessivo come componenti del reddito di impresa o come ricomprese tra i redditi diversi, con una disposizione la cui portata è limitata alla previsione di esenzioni fiscali, ed alla quale non può attribuirsi, avuto riguardo alla specificità delle ragioni di politica fiscale che la ispirano, una valenza generale nell’ambito civilistico”).

Sulla disciplina di diritto comune è, poi, intervenuta l’autorità sportiva, la F.I.G.C., la quale, a seguito dell’insolvenza e del fallimento di importanti società calcistiche, ha emanato nel luglio 2004 il cosiddetto “lodo Petrucci”.

Al solo scopo di salvaguardare il mondo del calcio – la dichiarazione di fallimento comporta infatti l’automatica revoca dell’affiliazione della società e conseguentemente il venir meno del diritto di partecipare al campionato – il “lodo Petrucci” da un lato consente alla società di conservare il titolo sportivo, cioè il riconoscimento da parte della F.I.G.C. Delle condizioni tecniche e sportive per partecipare ad un certo Campionato; dall’altro la penalizza, comportando l’automatica retrocessione nel campionato di due serie.

Quanto imposto dal lodo può, comunque, essere ovviato.

In ipotesi di fallimento di una società calcistica, infatti, potrebbe essere possibile per una nuova e differente società mantenere, senza disperdere il relativo patrimonio, i medesimi diritti derivanti dall’anzianità di affiliazione della vecchia società fallita e quindi rimanere nella stessa categoria conquistata sul campo.

Tale “trattamento differenziato” dipende dagli organi della procedura concorsuale e dal modo in cui decidono di risolvere i problemi relativi al trasferimento del titolo sportivo, partendo dal presupposto che il titolo sportivo non può essere oggetto di cessione a terzi, ma può solo ed eventualmente essere attribuito dalla F.i.g.c. ad una diversa società.

In quest’ottica la società fallita potrebbe essere ammessa all’esercizio provvisorio;il complesso aziendale potrebbe essere posta all’asta, ovviamente non comprensivo del titolo sportivo, prevedendosi la restituzione all’aggiudicatario dell’intero prezzo versato nel caso di diniego da parte della F.i.g.c. del successivo trasferimento del titolo sportivo;potrebbero essere individuati potenziali nuovi acquirenti, cioè società dotate di statuto conforme a quanto previsto dalla F.i.g.c. ed affiliate a quest’ultima;la società che risulterebbe aggiudicataria dell’asta (cioè assegnataria del complesso aziendale della vecchia società fallita) dovrebbe chiedere alla F.i.g.c. il trasferimento in capo a sé del titolo sportivo;il trasferimento dovrebbe poi passare il vaglio della Covisoc per quanto riguarda le condizioni economiche (adeguato patrimonio) e le garanzie sufficienti per il soddisfacimento degli oneri relativi al campionato di competenza.

Solo alle suddette condizioni, allora ed infine, la F.i.g.c. potrebbe trasferire alla società aggiudicataria il titolo sportivo della fallita e pertanto la nuova società aggiudicataria potrebbe mantenere, senza disperdere il relativo patrimonio, i medesimi diritti derivanti dall’anzianità di affiliazione della vecchia società fallita e quindi rimanere nella stessa categoria conquistata sul campo.

In definitiva, dunque, con tutti questi accorgimenti è possibile salvaguardare al meglio il titolo sportivo della società in crisi.

Ecco perché gli amministratori delle società di calcio in stato pre-fallimentare spesso considerano che il tempestivo deposito di un’istanza di fallimento in proprio, accompagnata dalla ricerca di nuovi e differenti finanziatori, ha la possibilità di limitare fortemente i danni e tutelare il patrimonio sportivo delle proprie squadre.

È questo, nel mondo sportivo, quello il c.d. “fallimento pilotato”.

Espressione quest’ultima con cui si intende la procedura fallimentare gestita coscientemente dall’imprenditore per evitare la bancarotta.

Questa si applica alle imprese con almeno duecento dipendenti – con alcune deroghe, a partire dal 2003, in caso si tratti di azienda con almeno 1000 dipendenti e debiti per almeno un miliardo di euro – e prevede alternativamente: o la cessione dei complessi aziendali dell’impresa insolvente: in attesa di trovare un acquirente vengono mantenuti in attività per un periodo massimo di un anno; oppure la ristrutturazione economica e finanziaria dell’impresa insolvente, da completare entro un periodo massimo di due anni.

Quale obiettivo, tra i due appena richiamati, debba essere perseguito viene deciso al termine di una fase di analisi che dura da due a cinque mesi.

Se nessuno dei due obiettivi sembra ragionevolmente raggiungibile (quando non è ragionevole sperare di trovare acquirenti), l’impresa viene dichiarata fallita.

Ciò a cui stiamo assistendo in questi giorni è davvero la “Cronaca di una morte annunciata” del Parma FC; l’unico, il nostro Santiago, a non sapere nulla.

Non ci resta, dunque, che attendere l’epilogo di questa storia che è iniziata prima di quanto ognuno di noi potesse pensare ed è destinata a durare forse oltre quello che immaginiamo ma con risvolti – ad es. la bancarotta fraudolenta di cui si parla in questi giorni – che il nostro Santiago eviterebbe se potesse, preferendo di gran lunga il pavimento della cucina e il lago di sangue marqueziano.

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