Medici e pazienti, “cura di coppia”

UN NUOVO MODO DI INTENDERE IL RAPPORTO TRA MEDICO E PAZIENTE

del dottor Giorgio Rossi

unknownIl rapporto medico- paziente in questi ultimi anni sta vivendo momenti molto conflittuali e, a detta dei diretti interessati, bisogna ricostruire.

Questo è l’obiettivo della campagna “ Cura di Coppia” presentata nei giorni scorsi a Roma e promossa da Cittadinanzattiva-Tribunale per i diritti del malato, Federazione degli Ordine dei Medici (Fnomceo), Associazione di Pazienti e oltre venti tra organizzazioni di professionisti e strutture sanitarie.

 

Bisogna comunque evidenziare che tra medici e pazienti il rapporto non è paritario in quanto nasce in un momento in cui il cittadino è malato, quindi una persona fragile, debole anche psicologicamente.

 

Una situazione che il medico il più delle volte purtroppo non tiene per nulla presente in quanto, come rileva una indagine di Cittadinanzattiva, in ben otto casi su dieci manifesta scarsa sensibilità all’ascolto e poca empatia ( sanitaria).

 

Non solo, dimostra anche scarsa disponibilità a orientare il paziente tra i servizi, usando spesso anche un linguaggio molto tecnico e incomprensibile.

 

Insomma, il medico, anche se bravo a curare, dimostrerebbe scarsa attitudine nel rapporto umano che, come evidenziano tante ricerche scientifiche, nella relazione di cura è basilare, anche per la guarigione.

 

Colpa questa anche di una mancanza di formazione specifica sui temi della comunicazione e relazione.

 

La campagna prevede , tra l’altro, la diffusione di un decalogo dei diritti e doveri del cittadino e uno del medico; dieci consigli per essere consapevoli dei rispettivi diritti e doveri, indicati nella Carta Europea del malato e nel Codice deontologico dei medici.

Nel corso della presentazione della campagna di Cittadinanzattiva, medici e pazienti hanno evidenziato la necessità di coinvolgere le Istituzioni in maniera diretta e non solo formale.

 

In particolare il Ministero della Salute, che ha aderito all’iniziativa,ma soprattutto le Regioni con la speranza, per esempio, che i due decaloghi possano essere recepiti in un decreto.

 

Input similari arrivano anche da oltreoceano.

 

Un’indagine dell’Università del Texas, condotta tra pazienti oncologici dell’Anderson Cancer Center di Houston, riferisce che la maggior parte dei pazienti, in una relazione speciale quale dovrebbe essere quella tra medico e paziente, considerano “il terzo incomodo” il computer.

 

E’ quello che i pazienti pensano del computer e del tablet maneggiato dal loro medico : un elemento di disturbo che rende il rapporto a due meno umano. Secondo l’indagine, i medici che usano i computer sono meno compassionevoli, hanno minori capacità comunicative e sono meno professionali rispetto ai dottori che non li usano.

 

Il 72% delle persone facenti parte di un campione di 120 malati di cancro in fase avanzata, intervistati durante l’indagine, avrebbe voluto rivolgere al proprio medico l’invito esplicito: “dottore per favore, spenga quel computer”.

 

Almeno per la prima visita, il vecchio dialogo a tu per tu, con tanto di contatto visivo, viene sicuramente preferito al sempre più diffuso rituale di accoglienza negli studi medici: domanda, risposta e inserimento dei dati. Qualcosa che somiglia più alla compilazione di un verbale per la denuncia di un furto che alla visita da uno specialista con il quale affrontare i delicati temi della diagnosi, della prognosi e delle cure.

 

La comunicazione faccia a faccia e il coinvolgimento personale con i medici è preferito da chi deve affrontare decisioni serie, ricevere cattive notizie e mettere in conto la possibilità della propria morte; pazienti che hanno un gran bisogno di sapere che chi li ha in cura si preoccupi per loro.

 

 

 

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