Ius soli, prospettive di riforma

ANALISI GIURIDICA A POCHI GIORNI DAL CONVEGNO DEL 16 NOVEMBRE 

Di avv. Irene Pastore


​Il cd Disegno di Legge Ius Soli continua ad accendere il dibattito politico e sociale, enfatizzato da strumentalizzazioni politiche inidonee a garantire piena conoscenza del testo sottoposto al vaglio parlamentare. 

Per meglio comprendere la portata della riforma proposta, occorre preliminarmente focalizzare l’attuale sistema di attribuzione della cittadinanza italiana. 

Ai sensi della l. 91/1992 l’ordinamento attribuisce quest’ultima sulla base della discendenza (ius sanguinis). 

In virtù di tale criterio attributivo, la cittadinanza spetta a chiunque sia figlio, naturale o per adozione, di genitori di cui almeno uno sia in possesso della stessa.

L’art.1 della legge in questione, al rispettivo secondo coma,  prevede un ulteriore e residuale criterio territoriale di riconoscimento dello status di cittadino (ius soli residuale) a favore degli apolidi, dei figli di genitori ignoti o noti, ma dai quali non abbiano potuto derivare la cittadinanza del rispettivo stato di appartenenza per espressa previsione di legge di quest’ultimo.

Il sistema così delineato non ha creato problemi applicativi di sorta, sino a quando l’Italia si è dimostrata essere più terra di emigranti piuttosto che di immigrazione. 

Ebbene, a seguito degli intensi flussi migratori che storicamente hanno interessato il nostro paese è venuto a porsi il problema dello status giuridico da riconoscere a quei soggetti che sebbene figli di stranieri fossero nati e cresciuti in Italia. 

Si è parlato dei cd immigrati di seconda e terza generazione, i quali per primi si sono ritrovati ad affrontare il gap culturale fra i valori della famiglia d’origine e quelli italiani riconosciuti come propri.

Una contraddizione di fatto che ancora oggi fa sì che una grande fetta della società composta da italiani per nascita, cultura, lingua, spirito di appartenenza e valori, non si veda riconosciuta la cittadinanza di diritto.

Nel tempo si è cercato di superare tale paradosso fattuale mediante l’elaborazione, rimasta per lungo tempo unicamente a livello concettuale, di diversi correttivi allo ius sanguinis, fra i quali si è particolarmente distinto il criterio del cd ius culturae.

Il suo riconoscimento avrebbe, perciò, visto attribuirsi il diritto alla cittadinanza italiana a quanti, sebbene figli di stranieri, avessero frequentato più cicli d’istruzione all’interno del sistema scolastico italiano. 

Tale presupposto, si diceva, ben poteva far desumere un intimo sentimento di adesione e appartenenza allo Stato italiano, nonché l’interiorizzazione dei rispettivi valori e principi. 

A distanza di tempo tale correttivo è tornato all’attenzione parlamentare e sociale, non più soltanto a livello di spunto concettuale quanto piuttosto nomofilattico assieme a una concezione temperata dello stesso ius soli (ius soli temperato). 

In virtù di tale ultimo principio potrebbe assumere la cittadinanza italiana chiunque fosse nato in Italia da genitori stranieri purché almeno uno legalmente ivi residente (per diritto di soggiorno permanente o in virtù di permesso di soggiorno di lungo periodo UE).

L’acquisto della cittadinanza richiederebbe una dichiarazione espressa in tal senso dinanzi all’ufficiale di stato civile del comune di residenza da parte degli esercenti la responsabilità genitoriale o legale del minore, o da parte dello stesso interessato al conseguimento della maggiore età e, al massimo, entro i due anni successivi. 

Inoltre, il testo normativo proposto al vaglio del sistema democratico prevedrebbe l’attribuzione della cittadinanza altresì ai minori stranieri infradodicenni giunti in Italia e che qui avessero frequentato uno o più cicli di istruzione scolastica. 

Ecco ripresentarsi, quindi, l’accennato criterio culturale, questa volta con riferimento ai minori stranieri giunti in Italia in tenerissima età. 

Accanto alle suddette ipotesi di vero e proprio diritto alla cittadinanza, un’ulteriore ipotesi di attribuzione – questa volta puramente discrezionale mediante decreto del Presidente della Repubblica su proposta del Ministro degli interni e previo parere del Consiglio si Stato – verrebbe a riconoscersi in favore di quegli stranieri giunti in Italia oltre il dodicesimo anno di età ma non ancora maggiorenni. 

Anche in tal caso, criteri discretivi rilevanti verrebbero a essere rinvenuti nella residenza legale e stabile (6 anni) nel territorio nazionale e la frequentazione di uno o più cicli di istruzione scolastica o di formazione professionale con conseguimento dei rispettivi titoli conclusivi. 

Quanto fin qui a grandi linee esposto sarà oggetto di maggiore approfondimento in occasione del convegno promosso e organizzato dall’Associazione Culturale Fatto & Diritto e aperto alla cittadinanza “IUS SOLI E DIRITTI DEGLI STRANIERI”, accreditato presso l’Ordine degli Avvocati di Ancona, che si terrà il 16 novembre 2017 alle ore 15.00 presso la Mole Vanvitelliana di Ancona ( Sala Boxe). 

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