La scomparsa delle misure di sicurezza e detenzione sine die

LA NUOVA DISCIPLINA GIURIDICA DELLE MISURE DI SICUREZZA

di avv. Fabiana Latte

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imagesIn questi giorni si è tornato a parlare delle varie e diverse proroghe relative alla chiusura dei cd. OPG (Ospedali Psichiatrici Giudiziari).
Oggi, vorremmo porre l’accento soprattutto sulle su menzionate strutture ma non soltanto su quelle. Vorremmo parlare, piuttosto, delle cd. misure di sicurezza in genere, che possono distinguersi (tra quelle personali) tra detentive e non detentive. Tra le prime, troviamo tre diversi tipi di misure di sicurezza: colonia agricola o casa di lavoro, casa di cura e di custodia (CCC) e, infine, l’ospedale psichiatrico giudiziario (OPG).

Il panorama delle misure di sicurezza, che vengono comminate a seguito di una valutazione operata dal giudice in merito alla cd. pericolosità sociale del soggetto- imputato, ha subito una notevole trasformazione il primo giugno 2014, con l’entrata in vigore della legge n. 81/2014.

Tale riforma non ha soltanto previsto la proroga della chiusura definitiva delle vecchie strutture degli ospedali psichiatrici giudiziari fino al 31 marzo 2015, ma ha altresì introdotto un nuovo e importantissimo principio che fino all’oggi non era contemplato nel codice Rocco. Difatti, mediante la riforma (finalmente) si è previsto che “le misure di sicurezza detentive provvisorie o definitive, compreso il ricovero nelle residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza (R.E.M.S.), non possono durare oltre il tempo stabilito per la pena detentiva prevista per il reato commesso, avuto riguardo alla previsione edittale massima”.

L’importanza fondamentale di detta previsione è ancora più evidente qualora si operi un confronto con la pregressa disciplina. La tradizione del codice penale del 1930, applicata fino al 2014, prevedeva una durata minima per il ricovero dei soggetti non imputabili che però era suscettibile di rinnovo fino all’avvenuto accertamento del venir meno della cd. condizione di pericolosità sociale.
Nell’immediato notiamo come questa valutazione (totalmente) discrezionale, volta al rinnovo e alla conferma della misura di sicurezza, poteva perdurare senza un termine certo. Ogni sei mesi il giudice doveva operare la valutazione in merito alla pericolosità sociale del soggetto e qualora la stessa dovesse rivelarsi sussistente, la misura veniva rinnovata. Si parlava, infatti, di un vero e proprio “ergastolo bianco”.
Molti degli autori di reati più o meno bagatellari (ma considerati semi o non imputabili) rimanevano per molti anni, anche per decenni, internati negli OPG e nelle CCC, e in mancanza di cure e di prognosi favorevoli di non recidività, correvano (ad ogni accertamento) il rischio tangibile di restarvi per sempre, vedendo la revoca della misura solo ed esclusivamente come un autentico miraggio.
Una pena che poteva essere definita “sine die” (senza scadenza, all’infinito). In palese contrasto con qualsiasi diritto fondamentale della persona e in totale disapplicazione e non attenzione, altresì, dei principi fondanti la finalità della pena (seppur detentive) prevista dai diversi reati contemplati nel codice: la funzione di rieducazione e risocializzazione della pena.

Dalla lettera della legge di riforma, che non opera alcuna abrogazione o modifica della previgente disciplina, permane il termine minimo della durata della misura di sicurezza e la possibilità di procedere alla sua reiterata proroga ma (ora) soltanto fino a che non possa dirsi decorso il tempo che si sarebbe dovuto trascorrere in stato di detenzione ordinaria previsto e comminato per la pena prevista dal reato commesso.

L’internamento, pertanto, non sarà più a tempo indefinito (o, in ipotesi estreme, indeterminato) e previsto come ultima e residuale soluzione, qualora non vi fossero altre misure (alternative) applicabili.

A ben vedere, però, sussistono alcuni dubbi e perplessità sulla linearità della previsione attuale. La legge 81/2014, infatti, tace in merito ai provvedimenti (diversi e alternativi all’internamento) da adottare nei confronti dei soggetti che, una volta scontata la pena prevista dal reato e, quindi, una volta scaduto il termine di espiazione della propria pena, possono definirsi liberi. Sono sì liberi, ma non si prevede quella risocializzazione essenziale per i soggetti definiti come “socialmente pericolosi”.
Verranno nuovamente scaraventati nella società civile senza alcun passaggio intermedio o verranno sottoposti a colloqui periodici per valutare il loro reinserimento? Si pensi, soprattutto ai casi in cui la misura non possa dirsi revocabile anticipatamente, stante la perdurante pericolosità sociale del soggetto a seguito delle diverse valutazioni di specie. Una volta rimesso in libertà perché scaduto il termine di applicazione della misura, qualora la pericolosità sociale potrà dirsi attuale e sussistente, continuerà comunque a delinquere? Molto probabilmente la risposta sarà affermativa. In questo caso si pone il dilemma tra abolizione del cd. ergastolo bianco e difesa sociale.

Detta riforma potrà sì comportare un consistente svuotamento delle strutture in cui si eseguono le misure di sicurezza detentive: non solo gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari e le Case di Cura e di Custodia ma anche le case di lavoro e di custodia, le colonie agricole e, per i minori, le competenti comunità (che hanno preso il posto dei riformatori giudiziari).

In questo quadro e a seguito di queste osservazioni, si auspica e si attende un ulteriore e più incisivo intervento riformatore ad opera del legislatore che possa condurre una disciplina più organica, dettagliata e utile a tutelare anche quei soggetti che possono dirsi sì socialmente pericolosi, ma che necessitano in ogni caso un supporto e un sostegno ad opera dello Stato.

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