“La caduta del DDL ZAN: un’occasione perduta?”

BLOCCATO IL DISEGNO DI LEGGE CONTRO L’OMOTRANSFOBIA

di ROSSELLA MARCHESE **

255501452_3054808638087307_995336994117184282_n-1Il disegno di legge contro l’omotransfobia, che prende il nome dal relatore Alessandro Zan, deputato del Pd, è stato bloccato in Senato il 27 ottobre 2021. Ad esprimersi a favore della “tagliola”, chiesta da Fratelli D’Italia e Lega, è stato un Senato particolarmente diviso. 154 senatori hanno votato a favore, 131 a sfavore ed infine, 2 si sono dichiarati astenuti, bloccando definitivamente l’esame degli articoli e gli emendamenti al testo. 

Dal punto di vista tecnico-giuridico, ritengo opportuno approfondire una delle tappe che ha interessato il lungo e travagliato percorso del disegno di legge in questione: le pregiudiziali di costituzionalità presentate da Fratelli D’Italia e Lega. Posto che con 136 voti contrari, 124 a favore e 4 astenuti, l’Aula del Senato ha respinto le suddette pregiudiziali, bisogna dire che il leitmotiv di una consistente fetta dei contrari al Ddl Zan è rappresentato proprio dalla incostituzionalità del disegno di legge. 

Questa bislacca tesi, nonostante sia stata ripetutamente smentita tanto dalla dottrina quanto dalla giurisprudenza, non ha perso la sua capacità attrattiva presso coloro che non ritengono necessaria, in una società civile, una legge contro le discriminazioni basate sul sesso e sull’identità di genere. A proposito di ciò che riteniamo “necessario” in una società democratica, ci vengono in aiuto dei dati raccolti da Massimo Battaglio nell’ambito di un progetto denominato “Cronache di ordinaria omofobia”. Le informazioni in questione, raccolte a partire dal 2012 ad oggi, raccontano un fil rouge preoccupante, che permea la nostra Italia da Nord a Sud. Infatti, a partire dall’ottobre 2012 sono stati censiti 876 episodi di violenza (verbale e non), per un totale di 1166 vittime. A mio avviso, di fronte a 1166 vittime (soltanto quelle registrate) non si può parlare di mancanza di necessità. 

A sostegno di questa tesi, Rainbow Europe, un’associazione che si occupa di raccogliere dati sullo stato dei diritti della comunità Lgbtqi+ nei Paesi Europei, statuisce che siamo al 35°posto su 49 paesi analizzati per la tutela dei diritti di questa comunità. I Parametri utilizzati dall’associazione per monitorare l’avanzamento nella tutela sono circa 70, tra cui l’equiparazione dei matrimoni omosessuali a quelli tradizionali e l’interesse dello Stato alla predisposizione di percorsi per la transizione di genere. Il fattore che gioca un ruolo decisivo nel severo giudizio di Rainbow Europe è che l’Italia, insieme a Bulgaria e Repubblica Ceca, a causa della dipartita del Ddl Zan, rimane uno dei pochi paesi europei sprovvisti di una legislazione contro l’omotransfobia. 

Nello specifico, ad essere violata, secondo gli obiettori del Ddl Zan, sarebbe stata la libertà di espressione, sancita dalla nostra Costituzione all’articolo 21: 

Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.

La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure.”

Il sentimento precipuo degli oppositori al Ddl Zan è costituito dalla paura di un inasprimento delle pene verso chi esprime pareri contrari verso i diritti di gay e transgender. C’è da chiedersi come, alla luce dell’articolo 4 del presente disegno di legge, possa essere stata sollevata un’obiezione di tal genere, dal momento che lo stesso sancisce che “1.Ai fini della presente legge, sono fatte salve la libera espressione di convincimenti od opinioni nonché le condotte legittime riconducibili al pluralismo delle idee o alla libertà delle scelte, purché non idonee a determinare il concreto pericolo del compimento di atti discriminatori o violenti.

Infatti, la norma sembra rafforzare le libertà sancite dalla Costituzione, ribadendole espressamente. Eppure, il carattere fortemente garantista di questo articolo è stato messo in discussione dalla portata degli articoli precedenti (articoli 2 e 3), i quali hanno come obiettivo l’ampliamento della tutela penale, proponendo modifiche agli articoli 604-bis e 604-ter del Codice penale. 

Gli antagonisti del Ddl Zan ritengono che l’attenzione dell’articolo 4 alla libertà di espressione avrebbe come mero obiettivo quello di salvare quelle norme del disegno di legge che sarebbero tacciabili di un giudizio di incostituzionalità. Tuttavia, nei fatti, il Ddl Zan non fa altro che ampliare le tutele predisposte dalla legge Mancino, rivelatasi insufficiente poiché applicabile soltanto alla “discriminazione e violenza per motivi razziali, etnici, religiosi o nazionali”. 

Per capire realmente cosa sarebbe cambiato con l’approvazione del Ddl Zan bisogna partire dal dettato normativo degli articoli 604bis e 604ter del Codice penale. 

L’articolo 604bis sarebbe stato modificato anche nella sua rubrica, che da “Propaganda e istigazione a delinquere per motivi di discriminazione razziale etnica e religiosa” sarebbe diventata “Propaganda di idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico, istigazione a delinquere e atti discriminatori e violenti per motivi razziali, etnici, religiosi o fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere o sulla disabilità”. D’altro canto, in diversi punti della disposizione sarebbe stata aggiunta la seguente locuzione “oppure fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere o sulla disabilità”. Alla luce di quanto appena esposto, ben si può osservare come in nessuna parte del testo sia punita la mera espressione del pensiero che si oppone alle unioni gay, all’adozione o al cambio di sesso. 

Per quanto concerne l’articolo 604-ter del Codice penale, con l’aggiunta dell’inciso al primo comma “oppure per motivi fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere o sulla disabilità”, la normativa al primo comma sarebbe diventata “Per i reati punibili con pena diversa da quella dell’ergastolo commessi per finalità di discriminazione o di odio etnico, nazionale, razziale o religioso, oppure per motivi fondati sul sesso, sul genere, sul l’orientamento sessuale, sull’identità di genere o sulla disabilità, ovvero al fine di agevolare l’attività di organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi che hanno tra i loro scopi le medesime finalità la pena è aumentata fino alla metà.”

A questo punto, urge domandarsi: come un’estensione della tutela penale contro le discriminazioni può rappresentare una minaccia e una pretesa illegittime?

Per quanto riguarda la tutela contro i trattamenti discriminatori basati sull’orientamento sessuale, la normativa lavoristica per diversi aspetti costituisce un’apripista. D’altronde, è lo statuto dei lavoratori, agli articoli 15 e 16, a predisporre una tutela contro i trattamenti discriminatori relativi alle assunzioni, ai licenziamenti, ai demansionamenti, alle assegnazioni professionali dettati da motivi legati all’orientamento sessuale. A onor del vero, c’è da considerare che la maggior parte delle normative relativamente “all’avanguardia” sul tema provengono da decreti legislativi di recepimento di direttive europee. Un esempio è costituito dal decreto di recepimento 216/2003 della direttiva 2000/78/CE, che prevede il principio di parità di trattamento indipendentemente dall’orientamento sessuale in materia di occupazione e condizioni di lavoro. 

Merita un’attenzione particolare la costernata opposizione del Vaticano al Ddl Zan. In effetti, con un atto senza precedenti, la Chiesa avrebbe chiesto formalmente al governo italiano di modificare il disegno di legge, intervenendo per la prima volta nell’iter di approvazione di una legge italiana. Il monsignor Paul Richard Gallagher, Segretario per i Rapporti con gli Stati della Segreteria di Stato, ha consegnato, lo scorso 17 giugno, all’ambasciata italiana presso la Santa Sede una “nota verbale”. Nel testo si esprimevano le seguenti preoccupazioni “Alcuni contenuti attuali della proposta legislativa in esame presso il Senato riducono la libertà garantita alla Chiesa Cattolica dall’articolo 2, commi 1 e 3 dell’accordo di revisione del Concordato”. I commi in questione sono quelli che assicurano alla Chiesa “la libertà di organizzazione, di pubblico esercizio di culto, di esercizio del magistero e del ministero episcopale”, e garantiscono “ai cattolici e alle loro associazioni e organizzazioni la piena libertà di riunione e di manifestazione del pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”. Si tratta di opposizioni che si mostrano, per molti aspetti, vagamente analoghe a quelle sollevate circa l’incostituzionalità del disegno di legge. 

A destare un clamore mediatico di notevole portata è stato l’articolo 7 del Ddl Zan, che prevedeva l’istituzione della Giornata nazionale contro l’omofobia, la lesbofobia, la bifobia e la transfobia. La proposta è stata violentemente avversata dal centrodestra, ma anche da associazioni “pro vita” e diversi genitori, dal momento che avrebbe previsto iniziative di sensibilizzazione contro i pregiudizi sul tema nelle scuole. La gogna mediatica che ha accompagnato, da un lato queste specifiche iniziative, dall’altro l’interezza del disegno di legge, ha portato alla luce un pregiudizio radicato e diffuso nei confronti dell’omosessualità e della teoria del gender, proprio di una parte della società italiana tradizionalista e chiusa nella propria turris eburnea.

**ARTICOLO SELEZIONATO COME VINCITORE  DELLA CATEGORIA “DIRITTO PENALE ” del progetto di Law Review realizzato in collaborazione tra Associazione Culturale Fatto&Diritto e ELSA Macerata  

BIBLIOGRAFIA:

https://www.thegoodintown.it/ddl-zan-bocciato-al-senato-cosa-voleva-e-perche-non-e-passato/

-https://tg24.sky.it/politica/2021/07/13/ddl-zan-senato

-https://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/DF/356433.pdf

-https://www.omofobia.org/events/events-list

-https://www.corriere.it/cronache/21_giugno_22/vaticano-ddl-zan-legge-testo-b13294ba-d2d0-11eb-9207-8df97caf9553.shtml

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