Ilva, condanna per omicidio e disastro ambientale

SENTENZA STORICA NEL SOLCO DEL CASO ETERNIT

di Avv. Tommaso Rossi (Studio Legale Associato Rossi-Papa-Copparoni

saffSentenza storica, quella emessa in primo grado dal Tribunale penale di Taranto: 27 ex dirigenti dell’Ilva sono stati condannati per omicidio colposo, disastro ambientale e omissione della cautele antinfortunistiche sui luoghi di lavoro.

Parliamo di fatti accaduti quando lo stabilimento siderurgico tarantino si chiamava Italsider ed era a gestione pubblica, ma tra gli imputati condannati ieri vi erano anche quei Riva che gestirono lo stabilimento dal 1995, quando fu privatizzato. Fra gli altri Fabio Riva, uno dei figli del patron Emilio (morto un mese fa) e Luigi Capogrosso, ex direttore dell’Ilva fino alle accuse di disastro ambientale doloso nel procedimento penale ancora in corso alla Procura tarantina. Sia Fabio Riva sia Capogrosso sono stati condannati a sei anni di reclusione.  Le pene più alte sono state inflitte agli ex manager della vecchia Italsider pubblica, tra cui Giovanbattista Spallanzani, condannato a 9 anni.

Secondo i magistrati vi sarebbero state  «violazioni gravi, manifeste e ripetute», mancata adozione di cautele  contro l’amianto e altri cancerogeni che avrebbero secondo l’accusa causato la morte di 21 lavoratori  uccisi da mesotelioma e cancro ai polmoni dopo anni di esposizione all’amianto presente.

L’ILVA OGGI. L’Ilva è una società per azioni del Gruppo Riva che si occupa prevalentemente della produzione e trasformazione dell’acciaio. Il più importante stabilimento italiano è situato a Taranto ed è recentemente salito agli onori della cronaca per il drammatico disastro ambientale causato. Ci si riferisce al problema dell’inquinamento causato dai fumi dei processi di lavorazione dell’acciaio, altamente pericolosi per la salute umana, in quanto composti da inquinanti cancerogeni. Si tratta di sostanze che, in certe quantità, diventano letali per l’essere umano, come in particolare la diossina, che ha portato alla necessità di effettuare svariate analisi chimiche ed epidemiologiche per calcolare l’incidenza nell’insorgenza di malattie tumorali fino a causare la morte. Le persone a rischio sono in primis i lavoratori, costretti a respirare tutto il giorno i fumi degli altiforni,  ma come anche quella parte di abitanti che vive nei dintorni dell’impianto, le cui case sono ormai diventate tutte di un preoccupante colore rosa a causa dei sedimenti di acciaio. La perizia epidemiologica si conclude con un’affermazione che sintetizza quella che è la situazione dell’area ionica: “L’esposizione continuata agli inquinanti dell’atmosfera emessi dall’impianto siderurgico ha causato e causa nella popolazione fenomeni degenerativi di apparati diversi dell’organismo umano che si traducono in eventi di malattia e di morte.

Disastro ambientale e omissione di misure infortunistiche. Di che si tratta?

Il primo è un reato previsto dall’art. 434 c.p. secondo cui  chiunque commette un fatto diretto a cagionare il crollo di una costruzione o di una parte di essa ovvero un altro disastro, è punito, se dal fatto deriva pericolo per la pubblica incolumità, con la reclusione da 1 a 5 anni. Se però il crollo o il disastro si verificano, la pena è aumentata e la reclusione prevista è da 3 a 12 anni.

Il secondo invece  è un reato previsto dall’art. 437 c.p. che prevede che chiunque omette di collocare impianti, apparecchiature o segnali destinati a prevenire disastri o infortuni sul lavoro, ovvero li rimuove o li danneggia, è punito con la reclusione da 6 mesi a 5 anni. Se dal fatto deriva un disastro o un infortunio, la pena è aumentata ed è prevista  la reclusione da 3 a 10 anni.

A proposito di amianto-killer, la nostra legislazione come tutela i lavoratori dei siti industriali da potenziali conseguenze sulla salute dovute alla lavorazione, al contatto, alla vicinanza, estrazione o manipolazione del minerale?

E’ con la legge 257/1992 che in Italia è stata decisa la messa al bando dell’amianto attraverso un particolare programma di dismissione con il quale dal successivo 1994  è stata vietata l’estrazione, l’importazione, la commercializzazione e la produzione anche dei prodotti contenenti questo materiale ed è stata  istituita anche una Commissione Nazionale Amianto.
Per quanto riguarda invece l’esposizione all’amianto per motivi professionali, sono stati creati appositi trattamenti assicurativi per i lavoratori colpiti da malattie legate all’amianto con una specifica normativa sui controlli preventivi oltre che periodici.
Le norme di riferimento sono, tra le altre, il DPR 1124/1965 ed il D.lgs. 277/91 quest’ultimo  abrogato nel 2006 con l’introduzione, nell’ambito del d.lgs. 626/94 sulla sicurezza sui luoghi di lavoro (confluita ora nel Testo Unico in materia di sicurezza sul lavoro), di un apposito titolo dedicato proprio alla “protezione dei lavoratori contro i rischi connessi all’esposizione all’amianto” in cui si indicando quelle attività  maggiormente a rischio e gli obblighi a carico dei datori di lavoro. Quest’ultimi devono indagare sulla possibile presenza dell’amianto sul luoghi di lavoro e valutarne preventivamente i possibili rischi adottando nel contempo tutte le misure adeguate e necessarie  per eliminare o comunque ridurre i pericoli. In ogni caso l’esposizione non deve superare i limiti fissati per legge e se è necessario proseguire l’attività lavorativa anche in caso di esposizione oltre i limiti, il datore deve predisporre e fornire ai lavoratori tutte le protezioni adeguate.
La rimozione dell’amianto può essere eseguita soltanto da soggetti iscritti in un apposito albo e prima dell’inizio della bonifica deve essere data la comunicazione all’organo di vigilanza competente per territorio.

IL PUNTO DI VISTA MEDICO

In cosa consiste il rischio amianto?

 Come ormai ampiamente risaputo le coperture di ondulato ETERNIT sono a base di amianto; altrettanto risaputo è che l’amianto rilascia microfibre nell’ambiente qualora i manufatti contenenti detta sostanza non sono perfettamente integri. Dopo parecchi anni dalla istallazione l’evento non è infrequente data l’usura da eventi atmosferici. Il danno alla salute è provocato dalle fibre stesse che respirate si vanno a fissare prevalentemente nell’apparato respiratorio e specificatamente nella pleura (membrana che riveste i polmoni )ma anche nel peritoneo ( membrana che riveste i visceri addominali). In questo caso sembra che i lavoratori venissero a contatto diretto con l’amianto in fase di lavorazione. L’azione della fibra sui tessuti nel tempo (anche lungo, anche dopo la interruzione della esposizione) può sviluppare il MESOTELIOMA, tumore particolarmente maligno e a tutt’oggi ancora scarsamente curabile anche se recentemente sono a disposizione farmaci chemioterapici più efficaci che in passato.
Il mesotelioma pleurico, forma più frequente, e il meno frequente il mesotelioma peritoneale, sono malattie tipicamente professionali e a riguardo sono stati erogati molti risarcimenti a lavoratori (o loro congiunti) deceduti per la malattia . L’utilizzo prevalente dell’amianto è come coibentante. Purtroppo anche le persone non esposte per motivi professionali possono essere contaminate dalle fibre, basta essere nelle vicinanze di una fonte.Un esempio tipico di diffusione della malattia e quello che riguarda le mogli dei lavoratori esposti all’amianto che hanno contratto la malattia perchè negli anni hanno sempre accudito le tute da lavoro dei propri mariti intrise di fibre, inalandole. Non infrequente il caso che entrambe i coniugi hanno sviluppato la malattia .La legge ha vietato l’uso dell’amianto da vari anni, ma ancora siamo circondati da fonti di amianto!

DOTT. GIORGIO ROSSI (Oncologo)

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