Il principio di determinatezza: dal reato di plagio al DDL Zan. Dopo 40 anni vogliamo tornare indietro?

ANALISI CRITICA TRA IL PASSATO DEL CASO BRAIBANTI E IL PRESENTE DEL DISEGNO DI LEGGE CONTRO L’OMOTRANSFOBIA

di Avv. Valentino Verdecchia

Psicologia LGBTQui per altro io mi fermo, con l’orgoglio di parlare non come patrono di S. ma di tutta la società civile, per esprimere l’augurio che questo processo di plagio, il primo che si celebra in Italia, resti unico nel mondo degli uomini. Se esso ci avverte che l’uomo moderno, impiastricciato della patina di una falsa cultura, può sotto la spinta del senso deformato o degenere, far rivivere in sé l’uomo brutale delle caverne, che abbatte i propri simili, abilmente scelti, sotto i colpi infami della sua violenza ed altre vittime immola, senza sangue, alla propria libidine, voi direte, o giudici, che la voce e la protesta di un popolo civile, trasfuse in una sentenza, possono far risorgere, con la condanna del colpevole, le frontiere inattaccabili della civiltà” (Alfredo DE MARSICO, Arringhe, Jovene Editore, Napoli, 2009, Vol. V, pag. 409).

Così si concludeva, davanti alla Corte d’Assise di Appello di Roma il 23 novembre 1969, l’arringa del difensore della parte civile nel processo “Braibanti”.

In quella battaglia processuale non si confrontarono soltanto l’accusa e la difesa, ma lo scontro, dentro e fuori dal processo, si estese anche su altri fronti: la storia, la politica, la scienza, la cultura, la famiglia, la religione, l’omosessualità, la libertà.

Non giovò la mobilitazione di politici e intellettuali di sinistra a difesa dell’imputato, a vincere fu la tesi dell’accusa, con il contributo dell’Avv. De Marsico, il più grande maestro d’eloquenza del suo tempo.

Tuttavia l’acceso dibattito scaturito in occasione di quella causa preparò la strada alla dichiarazione d’incostituzionalità dell’art. 603 C.P. ad opera della Corte Costituzionale (con la sentenza dell’8 giugno 1981 n. 96), che fu chiamata a pronunciarsi in occasione di un altro processo per plagio, stavolta a carico di un prete cattolico.

L’art. 603 del codice Rocco stabiliva che: “chiunque sottopone una persona al proprio potere, in modo da ridurla in totale stato di soggezione, è punito con la reclusione da cinque a quindici anni”.

La pena era pesantissima, di poco inferiore nel massimo a quella prevista per l’omicidio volontario, non a caso qualcuno all’epoca parlò del plagio come di una sorta di “omicidio psichico”.

Si potrebbe pensare che il reato fosse inutile, anche perché a suo tempo in Italia i processi per plagio si contarono sulle dita di una mano e nessuno, tranne quello sopra evocato, si concluse con una condanna confermata dalla Cassazione, mentre qualcun altro venne celebrato nelle colonie d’Africa (ma in precedenza e senza applicare l’art. 603 C.P., si trattava piuttosto di qualche caso più prossimo alla riduzione in schiavitù o ad altra condizione analoga, nel cui alveo il plagio era condotto, il reato allora era disciplinato nell’art. 145 del codice Zanardelli).

Tuttavia, negli anni successivi alla sua dichiarazione d’incostituzionalità, in Italia in molti iniziarono a rimpiangerlo, compresa parte della dottrina penalistica e psichiatrica, a causa di numerosi gravi fatti che hanno avuto per protagonisti alcuni cattivi uomini appartenenti soprattutto al mondo: delle religioni, dei movimenti religiosi, delle sette, dei guru, dei maghi, dei ciarlatani, etc. i quali, avvalendosi dell’arma del plagio, hanno potuto fare affari d’oro, nella certezza dell’impunità; per non parlare di chi, in tempi più recenti, se n’è avvalso per finalità di “guerra santa” o di terrorismo.

Tale vuoto normativo talvolta può essere colmato con altre figure di reato, a seconda dei casi, quali: la circonvenzione d’incapace, il sequestro di persona, la riduzione in schiavitù, la truffa, i maltrattamenti, l’esercizio abusivo delle professioni mediche o psicoterapeutiche, etc. ma non sempre ciò è possibile (cfr. Alessandro USAI, Profili penali dei condizionamenti psichici, Giuffrè Editore, Milano, 1996); per questo si sono susseguiti negli anni numerosi disegni di legge, che hanno tentato senza successo di reintrodurlo (tra i più recenti si ricordano quelli di Casellati e Meduri).

Solo in materia di terrorismo sono stati inseriti da poco alcuni reati che puniscono una serie di condotte, tra cui l’arruolamento (art. 270 quater C.P.) e l’addestramento (art. 270 quinques C.P. finalizzato a sanzionare sia l’addestratore sia l’addestrato, quanto colui che si sia “auto addestrato”); qui però la tecnica usata dal legislatore si è ben guardata dall’andare a normare l’entità dell’eventuale attività plagiaria o il grado di assoggettamento psicologico che possa indurre una persona comune a diventare un kamikaze o un foreign fighter.

Tecnica legislativa che assomiglia a quella che venne usata nel par. 234 del Codice Penale tedesco del 1872, che prevedeva un reato a forma vincolata, che puniva tanto la riduzione in schiavitù quanto l’arruolamento finalizzato a prendere parte ad una guerra.

Purtroppo il codice Rocco, nel voler conferire all’art. 603 i crismi di un reato a forma libera, finì per renderlo, così come venne scritto, in contrasto con l’art. 25 della successiva Costituzione repubblicana e probabilmente anche con l’art. 21 (questione considerata dalla Corte Costituzionale assorbita dalla precedente).

Nonostante i danni che la manipolazione mentale può produrre, fu un bene che il reato di plagio venne dichiarato incostituzionale, almeno così come era formulato, perché violava, tra gli altri, il “principio di determinatezza”, uno dei pilastri su cui poggia la civiltà giuridica fin dall’illuminismo.

In ossequio al su detto principio non basta che le norme penali siano “precise” cioè intellegibili, ma esse devono anche rispecchiare una fenomenologia empirica che possa essere verificata nel processo con massime d’esperienza o leggi scientifiche, in mancanza la valutazione della fattispecie concreta in funzione di quella astratta rischierà di essere rimessa all’arbitrio del giudice (cfr. Giorgio MARINUCCI- Emilio DOLCINI, Manuale di Diritto Penale, parte generale, Giuffrè Editore, Milano, 2004, pag. 43).

A distanza di 40 anni è singolare che alcune forze politiche, dello stesso orientamento di quelle che lottarono contro il reato di plagio, si stanno prodigando per introdurre nel nostro ordinamento una serie di regole, di diversa natura, finalizzate a combattere la “discriminazione e la violenza per motivi fondati: sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere e sulla disabilità”, dieci articoli inseriti nel “ddl Zan”.

Fin qui l’iniziativa, che è stata duramente avversata sia dai partiti di centrodestra sia dalla Chiesa Cattolica, apparirebbe più che lodevole, tuttavia ad un più attento esame si evidenziano delle significative criticità.

Il testo del disegno di legge n. 2005 del 4 novembre 2020 è composto da 10 articoli.

L’art. 2 mira ad estendere nell’art. 604 bis C.P. (fino ad oggi rubricato “propaganda e istigazione a delinquere per motivi di discriminazione razziale, etnica e religiosa”), attraverso una nuova fattispecie di reato, la sanzione penale anche a chi dovesse svolgere attività di “propaganda” o di “istigazione a delinquere” fondata: sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere o infine sulla disabilità.

Nella lettera “d” dell’art. 2 (in discussione) è invece presente una nuova rubrica dell’articolo 604 bis C.P. che la farebbe mutare in: “propaganda di idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico, istigazione a delinquere e atti discriminatori e violenti per motivi razziali, etnici, religiosi o fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere o sulla disabilità”.

A parte l’elenco quasi infinito piuttosto discutibile, che fa lievitare a dismisura i requisiti costitutivi del reato, la nuova rubrica è molto opinabile per il maggior disvalore che sembrerebbe accordare alla “propaganda”, che precede l’ “istigazione”.

L’articolo 3 del disegno di legge andrebbe invece a modificare l’art. 604 ter C.P. incidendo sulle circostanze aggravanti, laddove dovessero sussistere situazioni analoghe a quelle appena descritte.

Gli articoli 5 e 6 sono finalizzati rispettivamente: l’uno ad apportare una serie di modifiche al decreto legge del 26 aprile 1993 n. 122, convertito nella legge Mancino del 25 giugno 1993 n. 205 (con cui si parificherebbero i crimini d’odio razziali a quelli in esame), l’altro ad includere nell’art. 90 quater C.P.P. tra le condizioni di particolare vulnerabilità quelle già evocate (sesso, genere, orientamento sessuale o identità di genere).

L’articolo 7 del ddl Zan intenderebbe invece instaurare una giornata nazionale contro l’ “omofobia”, la “lesbofobia”, la “bifobia” e la “transfobia”.

Tale giornata, che sarebbe il 17 di maggio, non dovrebbe incidere in alcun modo nella giornata lavorativa né istituire un giorno di vacanza.

Ella dovrebbe invece comportare l’organizzazione di: “cerimonie, incontri e ogni altra iniziativa utile per la realizzazione delle finalità di cui al comma 1” (cioè contrastare pregiudizi, discriminazioni, violenze motivati da orientamento sessuale, etc.); tali attività sono previste anche nelle scuole (in funzione di determinati parametri).

Gli articoli 8, 9 e 10 si occupano di: prevenzione e contrasto alle discriminazioni, di centri contro le discriminazioni e di rilevazioni statistiche su discriminazioni e violenza.

Ciò posto, gli articoli che destano le maggiori perplessità sono l’1 e il 4.

Il primo, rubricato “definizioni” è una sorta di chiave di lettura in base alla quale poter comprendere l’intero impianto normativo.

Esso spiega, come una sorta di “manuale d’istruzioni” cosa si dovrebbe intendere per: “sesso”, “genere”, “orientamento sessuale” e “identità di genere” (vale a dire “l’identificazione percepita e manifestata di sé in relazione al genere, anche se non corrispondente al sesso, indipendentemente dall’aver concluso un percorso di transizione”).

Questo articolo pone almeno due problemi: da una parte tali definizioni non sono squisitamente rispondenti a canoni “scientifici”, dall’ altra la questione del “self id” è controversa addirittura per alcune categorie sensibili alle problematiche LGBT, figuriamoci per il resto della società.

In altre parole nel tentativo di estendere la tutela in ambito sessuale, si è declinato il “sesso” in una serie di definizioni utilizzate dal legislatore in campi diversi e non pertinenti: il “genere” è proprio della materia elettorale, “l’orientamento sessuale” di quella del lavoro e della privacy, l’ “identità di genere” di immigrazione e carcere (cfr. omofobia “Ddl Zan, i dubbi di Flick: scelte pericolose, il Senato rifletta bene”, Angelo PICARIELLO, Avvenire.it, 11 maggio 2021).

Il quarto, rubricato “pluralismo delle idee e libertà delle scelte” recita testualmente: “Ai fini della presente legge, sono fatte salve la libera espressione di convincimenti od opinioni nonché le condotte legittime riconducibili al pluralismo delle idee o alla libertà delle scelte, purché non idonee a determinare il concreto pericolo del compimento di atti discriminatori o violenti”.

Questo articolo non è solo superfluo ma rischia di essere dannoso, infatti da una parte non si comprende che senso abbia fare salvo ciò che è già garantito dall’art. 21 della Costituzione e ancor meno lo è individuare un ambito in cui la libertà di manifestazione del pensiero dovrebbe essere compressa.

Malgrado siano venticinque anni che si discute di legiferare in questo campo, si è incomprensibilmente scelto per farlo questo particolare momento storico, ma soprattutto non si capisce perché parte della maggioranza di Governo voglia approvare in fretta e furia tale disegno di legge, così com’è, respingendo al mittente ogni minima obiezione.

Alcuni hanno sostenuto che tale urgenza risiederebbe nel fatto che gli omosessuali non possano più essere oggetto di scherno né quando passeggiano per la strada né in qualunque altro luogo.

E’ doveroso tuttavia far osservare che il legislatore, probabilmente a torto, ha già dal 2016 depenalizzato il reato di “ingiuria”, pertanto gli omosessuali, anche se venisse approvato il ddl Zan così com’è, salvo che non vengano commessi più gravi reati, difficilmente potranno vedere condannati coloro che dovessero ingiuriarli, al pari di tutte le altre categorie sociali.

Diversamente nelle altre fattispecie in cui i crimini d’odio potranno essere puniti in base a tale legge, come in caso di propaganda o di istigazione, è probabile che in sede processuale possano insorgere dei problemi addirittura maggiori di quelli che si aspiri a risolvere.

Il testo dell’attuale legge infatti, qualora non dovesse essere emendato, rischierebbe non solo di violare principi di tassatività e determinatezza, ma anche di ampliare a dismisura la discrezionalità del Giudice.

A ben vedere le leggi che tutelano gli omosessuali ci sono già: esiste ad esempio l’art. 595 C.P. che punisce la “diffamazione” (che può essere aggravata se commessa con la stampa o con altro mezzo di pubblicità), l’art. 414 C.P. che punisce l’ “istigazione a delinquere”, si può poi contare sulle aggravanti comuni di cui all’art. 61 C.P. come quella di avere agito per motivi “abbietti o futili”, etc.

Nel nostro ordinamento, così ipertrofico e caotico, ci sono già oltre 35 mila fattispecie incriminatrici, dunque l’esigenza che si ravvisa è quella di togliere e di razionalizzare, non di aggiungere.

Inserire nuove regole, come quelle analizzate, rischia anziché di aumentare lo standard dei diritti, di diminuirlo; dal momento che tale tecnica normativa, non solo è lungi dall’osservare i canoni della generalità e dell’astrattezza, non solo intende disciplinare aspetti della vita privata che probabilmente sarebbe meglio perfino evitare di normare, ma soprattutto finisce per tutelarne soltanto alcuni dimenticandone altri; così facendo la tutela viene svilita, non aumentata.

Istituire delle leggi a tutela delle minoranze, quando ciò non è necessario finisce per far sentire quelle minoranze come delle specie in via d’estinzione, quando invece avrebbero bisogno, per non essere discriminate, di essere trattate esattamente come tutti gli altri, senza distinzioni, né privilegi, né ricorrenze, né celebrazioni, etc.

Ma allora quale sarebbe la funzione di questo disegno di legge?

Tra i costituzionalisti c’è chi ha fatto acutamente osservare che mentre la destra si muoverebbe in una logica repressiva, la sinistra perseguirebbe una finalità addirittura “pedagogica” (cfr. Michele AINIS, Il coltello del Pedagogista, Repubblica, 12 maggio 2021; Gli omosessuali sono già tutelati La legge sull’omofobia non serve, La Verità, 14 maggio 2021).

Purtroppo negli ultimi decenni ci si è dimenticati che è la politica che dovrebbe adeguarsi al diritto e non il contrario, ella invece sembrerebbe preoccupata per lo più di fare leggi per inseguire i sondaggi elettorali.

Perciò diventano prioritari temi come: la legittima difesa (malgrado ogni anno in Cassazione approdino tanti casi che si potrebbero contare sulle dita di una mano o al massimo due), la revisione dell’art. 9 della Costituzione (che sarebbe particolarmente necessaria per aggiungere la tutela: dell’ “ambiente”, della “biodiversità”, degli “ecosistemi”, “degli animali”, “dello sviluppo sostenibile” anche “nell’interesse delle future generazioni”; che, a parte la pleonastica giustificazione di agire nell’interesse delle future generazioni, come se la Costituzione del 1947 avesse salvaguardato fino ad oggi i diritti solo di quelle trapassate, mutatis mutandis fa uso di una tecnica normativa non molto dissimile da quella qui esaminata, moltiplicando definizioni tutte già ampiamente ricomprese, come matrioske, nel valore dell’ambiente, già ampiamente tutelato), l’omofobia, etc.

Mentre il consenso elettorale si muove con dinamiche che si avvicinano maggiormente al tifo negli stadi, piuttosto che alla razionalità e alla capacità critica che ogni cittadino dovrebbe avere.

Infine appare sempre più evidente che una certa politica, sempre più in crisi di consensi, negli ultimi decenni sembrerebbe aver avuto una vera e propria “mutazione”, che l’ha portata ad abbandonare la lotta di classe (disorientando peraltro gli elettori tradizionali) a vantaggio di battaglie riguardanti: il genere, l’identità, la razza, etc. in cui si evidenzia ogni giorno di più il tramonto dei valori dell’illuminismo, il disprezzo dell’uomo per finire col rischio di sostituire le più arcaiche forme di razzismo con delle altre più moderne (cfr. sull’argomento la pregevolissima opera di Pascal BRUCKNER, Un colpevole quasi perfetto, Ugo Guanda Editore, Milano, 2021).

Se proprio si vuole approvare il ddl Zan, si lavori alacremente in Parlamento per trovare una sintesi tra le forze politiche, al fine di rimuovere tutte le sue criticità, altrimenti si dovrà sperare che sia ancora una volta la Corte Costituzionale, come quaranta anni fa, a garantire i nostri diritti, le nostre libertà.

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