“Il giallo dei Bronzi Dorati”, bel saggio

FIRMATO DAL GIOVANE PALADINI
x-fed-cover-libro-bronzi-doratiANCONA – di Giampaolo Milzi – Una storia quasi infinita, che dura da oltre due millenni, quella de Bronzi dorati di Pergola, segnata da molte vicissitudini e da alcuni punti interrogativi, tra i tanti, rimasti senza risposta. Ed è come se il brillante bagliore giallo della rivestitura aurea del complesso scultoreo equestre – casualmente ritrovato tra la fine del giugno e gli inizi del luglio 1946 in località Santa Lucia di Calamello, nella frazione di Cartoceto del Comune in provincia di Pesaro/Urbino – legittimasse questa storia come un vero e proprio giallo. Così, per lunghi passaggi, l’ha trattata Michele Paladini, anconetano 28enne dedito a studi del passato remoto e giuridici, nel breve ma intrigantissimo saggio recentemente edito dalla Italic.

Molti gli aspetti che rendono interessante questo lavoro, come scrive nella prefazione Mario Pagano, fino all’anno scorso massimo dirigente della Soprintendenza Archeologia delle Marche con sede ad Ancona. Innanzitutto la capacità dell’autore – forte di una minuziosa ricerca interdisciplinare – di raccontare in modo semplice, avvincente e molto divulgativo, una vicenda già oggetto di numerose pubblicazioni, oltre che di polemiche, anche all’estero; con un approccio archeo-scientifico ma anche sociologico e investigativo. Una vicenda dove la grandissima opera d’arte domina sempre una scena molto umana. Con pregi, difetti, comportamenti e passioni appunto molto umani soprattutto nell’ultimo paragrafo (in ordine anche cronologico) de “Il giallo dei Bronzi dorati da Cartoceto di Pergola”.

Bronzi oggetto, a partire dalla seconda metà degli anni ’80 del ‘900, di una vera a propria contesa d’altri tempi: su chi, tra il Comune di Pergola e quello di Ancona, avesse il diritto di esporli stabilmente. Secondo la Giustizia amministrativa il Museo Archeologico nazionale delle Marche con sede nel capoluogo regionale, dove il raffinatissimo, costituito da parti rilevanti di due cavalieri sul loro destriero e due nobildonne a piedi, fu sistemato a seguito delle ricomposizione-restauro dei moltissimi frammenti in cui era ridotto (Centro di restauro della Soprintendenza di Firenze, 1948-1959) e sarebbe dovuto restare in base a una legge, sebbene molto datata. Invece “ingerenze politiche e opportunismi di parte”, ma soprattutto la vera e propria resistentissima e appassionata rivolta di piazza attuata dai pergolesi (molto campanilistica, a parer di chi scrive) hanno fatto sì che la spuntasse Pergola. La rappresentazione scultorea di un comandante militare d’altro rango dell’esercito romano, dell’omonimo figlio poi divenuto console e delle rispettive consorti (sull’identificazione Paladini sposa la tesi espressa da Pagano nell suo rendiconto accademico di Napoli “I bronzi dorati di Pergola: un enigma risolto. Le statue equestri di Licinius Murena, padre e figlio, e Terenzia sorella di Varrone”) è stata sequestrata e conquistata, “senza esclusione di colpi” (bassi, aggiungiamo noi) al termine di una lunghissima “battaglia” dove “forse non ha avuto la meglio il diritto e il buon senso, ma in fondo si potrebbe dire che hanno vinto i sentimenti”, meritevoli quindi per Paladini di una giustificazione. Alla faccia dello Stato, di Ancona e degli anconetani (gli abitanti dorici per la verità molto meno appassionati dei pergolesi). Anconetani – e la maggior potenziale parte di turisti, che si devono accontentare di due copie al Museo di Ancona (Palazzo Ferretti): una, fedele all’originale che sta a Pergola, in un’apposita teca climatizzata; l’altra sul tetto, uguale all’ipotetico gruppo così come vide la luce e fu collocato in un “municipium” umbro nel 62 a.C. (anche qui data e luogo secondo una tesi di Pagano).

Per il resto, Paladini – fra vari altri aspetti interessanti – affronta la questione del “delitto”, ovvero della distruzione dei Bronzi. E lo fa, pur dando maggior credito al solito Pagano, per cui furono i barbari germanici Goti a farli a pezzi e sotterrarli come bottino bellico lungo una strada parallela della Flaminia nel 552 d.C,, durante la seconda guerra che li oppose ai Bizantini, esponendo la teoria alternativa del “Fulgur conditum”. Un rito sacro di origine etrusca, adottato dai Romani, che usavano seppellire per ingraziarsi gli Dei ciò che veniva colpito da un fulmine, i nostri Bronzi in questo caso.

(articolo tratto da Urlo – mensile di resistenza giovanile)

 

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