Il caso Schwazer, tra doping e complotto

ANALISI DI UNA SENTENZA GIÀ SCRITTA DAL TAS

di dott.ssa Giorgia Mazzei

Pochi giorni fa probabilmente, c’è stata la sentenza sul caso doping più discussa degli ultimi tempi.Stiamo parlando del caso Schwazer. La vicenda che ha portato alla squalifica del marciatore altoatesino presenta ancora domande prive di risposta, a schierarsi dalla parte dell’azzurro e del suo allenatore Sandro Donati sono in molti, visti i numerosi punti interrogativi ancora presenti sulla vicenda.

Schwazer era tornato a gareggiare l’8 maggio 2016 in una tappa di Coppa del mondo di marcia tenuta a Roma: aveva vinto a sorpresa la 50 chilometri con un tempo di 3 ore e 39 minuti; grazie al quale era riuscito a qualificarsi alle Olimpiadi di Rio. A giugno però Schwazer è risultato positivo ad un nuovo test antidoping e a luglio la IAAF, la Federazione Internazionale di Atletica Leggera, lo ha sospeso di nuovo. Dopo la squalifica, Schwazer e i suoi legali hanno fatto appello al Tribunale Arbitrale dello Sport (TAS) di Losanna, in Svizzera. Per far sì che l’arbitrato arrivasse a una decisione prima delle gare olimpiche, Schwazer aveva chiesto, con il consenso della IAAF e del CONI, il Comitato Olimpico Nazionale Italiano, un giudizio diretto internazionale, un modo per rendere più rapida la decisione senza dover passare dal tribunale nazionale antidoping del CONI. All’inizio la decisione sarebbe dovuta arrivare il 27 luglio, poi è stata posticipata all’8 agosto ed infine è arrivata la sera del 10 agosto.

Il controllo in cui Schwazer è stato trovato positivo risale all’1 gennaio ed è stato effettuato dalla IAAF: il campione prelevato a Schwazer quel giorno era composto di sangue e urina, e ad un primo controllo era risultato negativo. Un secondo accertamento su Schwazer fu fatto a sorpresa a Racines, in Trentino-Alto Adige, a casa sua. Nei mesi precedenti e successivi a quel controllo, Schwazer non è mai risultato positivo a nessuno degli altri controlli e nessuno dei suoi valori era fuori norma. Dopo la vittoria di Roma, i campioni erano stati analizzati di nuovo e stavolta l’esame aveva dato esito positivo. In questo test la IAAF aveva fatto un controllo mirato sulla presenza di anabolizzanti steroidi. Schwazer e i suoi legali hanno in più occasioni denunciato stranezze e presunte irregolarità nel modo in cui il campione è stato prelevato, trasportato a Colonia, in Germania, dove ci sono i laboratori per i controlli, e poi analizzato. Finora nessuno degli organi internazionali interessati dalla questione hanno ammesso irregolarità, spiegando solo di aver rifatto dei controlli in modo più approfondito, una cosa ovviamente lecita.  

Si parlava di stranezze per quanto riguarda un itinerario fantasma della provetta, una documentazione approssimativa, un ritardo estremo nella notifica del risultato. Schwazer sostiene per esempio che, anziché essere anonima come avrebbe dovuto essere, la provetta contenente il suo campione arrivò a Colonia con un riconoscimento che permetteva di capire che conteneva il suo sangue e le sue urine (cosa che secondo lui avrebbe permesso di modificarne i parametri). Schwazer e i suoi legali hanno anche detto che i continui rinvii della sentenza sono stati una prova della volontà della IAAF di non farlo partecipare alle Olimpiadi.

Al di là dell’esito della pesante squalifica di otto anni che di fatto ne compromette la carriera sportiva, è sotto gli occhi di tutti come Alex Schwazer sia stato sottoposto ad una procedura umiliante, con continui rinvii, che stona apertamente con l’atteggiamento di riguardo che gli stessi organi competenti hanno invece avuto nei confronti di altri atleti ed altre federazioni, a cui è stato concesso di partecipare nonostante fatti di doping.

Alex Schwazer torna da Rio con una pesantissima sentenza del Tas, il tribunale sportivo che lo ha condannato ad 8 anni, costringendolo a finire la sua carriera in anticipo, anche se questa sarebbe stata comunque la sua ultima olimpiade. Le prove dell’accusa si sono basate su poche molecole di testosterone in un test del 1° gennaio scorso, un test rifatto dopo un primo esito negativo, ma che è stato sufficiente per infliggere la pena più grave. Già, perché per il Tas Schwazer è recidivo, a causa della positività all’epo riscontrata e confessata nel 2012, dove ha scontato tre anni e nove mesi di stop.

Il verdetto arriva dopo l’udienza fiume di qualche giorno fa in cui Schwazer aveva esposto le proprie ragioni, chiedendo l’audizione di alcuni testimoni via skype e producendo una importante documentazione. Il Tas ha accolto tutte le richieste che la IAAF aveva fatto e quindi non ha concesso alcuna attenuante al marciatore altoatesini che sognava le Olimpiadi di Rio de Janeiro, obiettivo che si era prefissato da oltre un anno, quando aveva iniziato la collaborazione con Sandro Donati, il paladino della lotta al doping. Proprio grazie a lui, è stata resa possibile la rinascita sportiva di Schwazer: Donati ha voluto difendere il suo atleta dopo la sentenza, dichiarando che ci sia stato un fine persecutorio nei confronti di Alex e, confermando che avesse marciato per una quarantina di km ad una velocità fra le migliori dei marciatori in gara alle Olimpiadi. A nulla è servita la ricostruzione fatta da Donati dei progressi tecnico-atletici e, a nulla è servito dimostrare che quelle molecole positive erano un piccolissimo episodio, non spiegabile con un’assunzione volontaria, di qui la tesi di un complotto. Durante il dibattito, i suoi autorevoli periti dimostrano che i due metaboliti sintetici trovati nelle urine del marciatore a Capodanno sono incompatibili con un’attività dopante, sia per i tempi (5 mesi prima di una gara), sia perché per parlare di microdosi si sarebbero dovuti trovare riscontri negli altri quarantanove controlli antidoping. Eppure questo contributo non viene mai contestato in dibattimento dal consulente scientifico della IAAF, avallando la sensazione di una sentenza già scritta. Inoltre, dal direttore del laboratorio antidoping di Colonia in Udienza, si viene a sapere che la IAAF gli ha impedito di anticipare le controanalisi di Schwazer e si viene pure a sapere che il controllo di Capodanno viene deciso dalla IAAF il giorno in cui Schwazer depone al tribunale di Bolzano contro un medico della stessa federazione.

“Ci hanno voluto fare fuori. Era una sentenza già scritta. Lo si era capito fin da principio con quelle durezze procedurali che avevano preceduto la discussione, è stata una beffa”, ha commentato amaro Donati.

Mentre il marciatore ha chiesto solo rispetto. “Sono distrutto”, è la prima frase con cui Schwazer commenta il verdetto. Per poi aggiungere: “Non mi sembrava che l’udienza fosse poi andata così male, per questo ho voluto crederci fino alla fine. Di quelle dieci ore che abbiamo parlato non è rimasto nulla, solo una grande amarezza. Non conosco ancora le motivazioni ma mi pare si siano limitati ad una semplice cosa tecnica. Credevo di poter partecipare alle Olimpiadi di Rio, è da oltre un anno che lavoro e faccio parecchi sacrifici, soprattutto economici. Questa mattina ha cominciato a pensare anche al futuro: al momento non ho ancora le idee chiare, fino a ieri ci speravo molto perchè sono innocente. Ho dato tutto per essere qui sperando di gareggiare. Sinceramente non pensavo nella conferma della squalifica. Adesso tornerò a casa e farò i miei dovuti ragionamenti ma è ancora presto”. Queste sono le uniche dichiarazioni rilasciate da Schwazer dopo la sentenza del Tas, visto che al suo rientro in Italia, il marciatore ha continuato a mantenere il silenzio.

Ora la sentenza è appellabile solo davanti al tribunale svizzero, perché il Tas ha sede a Losanna. La prossima tappa sarà la giustizia penale. Il tentativo è chiaro: dimostrare che c’è stato un sabotaggio o una manomissione, affidandosi alla credibilità dell’inchiesta delle procure di Roma e di Bolzano. Si comincerà con la richiesta dell’esame del DNA, senza dimenticare che gli esiti dell’ultimo controllo a cui è stato sottoposto Alex in data 22 giugno 2016 sono risultati negativi.

 

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