Esame avvocato 2014: le soluzioni degli atti giudiziari

TERZA TAPPA DELL’ESAME AVVOCATO 2014

di Avv. Valeria Marini

UnknownsfasasdaEccoci giunti al mio terzo ed ultimo intervento relativo alle prove scritte di esame di abilitazione all’esercizio della professione di Avvocato: nella giornata conclusiva si richiede ai candidati la redazione di un atto giudiziario in materia di diritto privato, penale o amministrativo. Come in ogni sport di resistenza che si rispetti, è proprio nel momento in cui si accinge a tagliare il traguardo che l’atleta deve raccogliere tutte le proprie forze e concentrare le energie puntando dritto all’obiettivo finale. Perché questo paragone? Sono convinta che un insidioso rischio si annidi tra i banchi dei candidati nell’ultimo giorno di esame: quello di rilassarsi in anticipo, nella speranza di aver svolto discretamente le prime due prove, o al contrario di gettare la spugna con la convinzione di non aver dato il massimo nei giorni precedenti. Attenzione, ragazzi: è vero che manca poco, ma lo sprint finale richiede proprio un’accelerazione (in questo caso mentale) in vista del traguardo!

La traccia dell’atto giudiziario in materia di diritto civile ha ad oggetto una gara automobilistica clandestina cui partecipa Caio conducendo un’autovettura di sua proprietà, sulla quale decide di salire (accettando l’invito del conducente) anche Sempronio. L’esito infausto della gara, che si conclude con la morte di Sempronio per avere Caio perso il controllo della vettura, determina Mevia e Tizio (madre e fratello del defunto) a citare in giudizio Caio e la compagnia assicuratrice Alfa per sentirli condannare in solido al risarcimento dei danni patiti a seguito della morte di Sempronio, sull’assunto che il sinistro sia da attribuire alla esclusiva responsabilità del conducente. Gli attori escludono infatti che l’attività di Sempronio, il quale ha peraltro adottato tutte le cautele necessarie, abbia in alcun modo contribuito a causare o ad agevolare l’incidente che l’ha condotto alla morte.

L’atto che si richiede di redigere al candidato è una comparsa di costituzione e risposta nell’interesse di Caio e contro Mevia, Tizio e la società Alfa: il convenuto, costituendosi in giudizio, deve contestare la pretesa vantata dagli attori in quanto infondata in fatto ed in diritto. La difesa di Caio, da concentrare non tanto sul quantum bensì sull’an degli addebiti, è sostanzialmente volta a ridurre la percentuale di responsabilità gravante sul conducente e sulla compagnia di assicurazione. In risposta alla pretesa degli attori, i quali ritengono che la responsabilità di Caio sia totale ai sensi dell’art. 2054 c.c., va eccepito il concorso colposo di Sempronio nella determinazione dell’evento ai sensi e per gli effetti dell’art. 1227 comma 1 c.c.

Il trasportato ha volontariamente accettato di esporsi ad un rischio non giustificato né tantomeno necessitato, del tutto consapevole di violare una norma giuridica nonché una regola di prudenza comportamentale. La Cassazione civile più recente in materia riconduce infatti il concorso di colpa del danneggiato in caso di sua esposizione volontaria ad un rischio proprio all’art. 1227 comma 1 c.c., la cui ratio va rinvenuta a sua volta nel principio di solidarietà sociale di cui all’art. 2 Cost. (cfr. Cassazione civile, sez. II, sent. 26 maggio 2014, n. 11698).

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La seconda traccia in materia di diritto penale è incentrata sulla vicenda giudiziaria di Tizio, già condannato nel 2009 con sentenza divenuta irrevocabile nel 2012 per il reato di appropriazione indebita ai danni della società Alfa (della quale egli era amministratore unico), e successivamente condannato nel 2012 -dopo che è stata dichiarata fallita la società- per il reato di bancarotta fraudolenta per distrazione.

L’atto giudiziario da redigere ai fini della difesa dell’imputato è l’appello avverso la più recente sentenza di condanna per il reato di bancarotta fraudolenta: a mio avviso sarebbe sufficiente un solo motivo, volto alla rideterminazione della pena inflitta a Tizio in modo tale che vi risulti assorbita anche quella che segue alla precedente condanna definitiva per appropriazione indebita.

La condotta dell’apprensione dei beni di cui il soggetto attivo ha la disponibilità, con correlata distrazione dell’originaria destinazione, può infatti astrattamente ricondursi a entrambe le ipotesi delittuose in questione: appropriazione indebita ex art. 646 c.p. e bancarotta fraudolenta per distrazione ex art. 216 comma 1 n. 1 l. fall.

Una consolidata giurisprudenza penale (cfr., ex plurimis, sent. 9 luglio 2010, n. 37298) ritiene infatti che il secondo reato, più grave rispetto alla fattispecie di cui all’art. 646 c.p., è composto di due elementi: la condotta tipica dell’appropriazione indebita e un elemento ulteriore (ritenuto integrativo della fattispecie), quale è la dichiarazione di fallimento. Dalle premesse appena esposte deriva che, qualora i due reati in esame siano commessi con la medesima condotta fattuale, non sussiste concorso formale degli stessi bensì si ricade sotto la previsione del reato complesso di cui all’art. 84 c.p., con la conseguenza che l’appropriazione indebita deve ritenersi assorbita nella bancarotta fraudolenta.

Si dà atto tuttavia di una giurisprudenza minoritaria in materia, che giunge a conclusioni differenti in merito al rapporto tra appropriazione indebita e bancarotta fraudolenta, nell’ipotesi di unicità della condotta distrattiva rilevante: in presenza di condotte materiali del tutto identiche, un elemento esterno -quale è la dichiarazione di fallimento- non può essere considerato “evento ulteriore”, tale cioè da consentire l’instaurazione di un nuovo giudizio a titolo di bancarotta fraudolenta per distrazione dopo che sia intervenuta l’irrevocabilità della sentenza di condanna per appropriazione indebita.

Un atto di appello corroborato anche da quest’ultimo orientamento giurisprudenziale determinerebbe il candidato arichiedere in via principale una sentenza di non doversi procedere per avvenuta violazione del ne bis in idem processuale ex art. 649 c.p.p., e solo in via subordinata la rideterminazione della pena irrogata (ritenendo, in adesione all’orientamento dominante, il reato di appropriazione indebita assorbito nella bancarotta fraudolenta).

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La traccia di diritto amministrativo è relativa al tema (di certo più abbordabile rispetto a quelli assegnati in sede d’esame negli ultimi due anni) dell’ordinanza sindacale contingibile ed urgente. Il sindaco del comune Alfa, nella qualità di ufficiale del governo, emette in data 24 novembre 2014 un’ordinanza contingibile ed urgente di definitiva rimozione di un chiosco per l’esposizione di fiori e piante, regolarmente autorizzato in favore di Caio già dal 1988. Il provvedimento, non preceduto da comunicazione di avvio del procedimento, viene emesso esclusivamente sulla base di una relazione dei vigili urbani del 20 dicembre 2013, nella quale si dà atto che la struttura versa in uno stato di fatiscenza e abbandono, determinando degrado ambientale.
L’atto che il candidato deve redigere, ritenuto più idoneo alla tutela di Caio, consiste in un ricorso al TAR contro il Comune Alfa per l’annullamento, previa istanza di sospensione cautelare, dell’ordinanza sindacale di rimozione del chiosco nonché della relazione dei vigili urbani (in quanto atto presupposto).

Il primo motivo di diritto consiste nella violazione dell’art. 54 comma 4 del d.lgs. n. 267/2000: l’ordinanza è infatti illegittima per carenza di esercizio del potere in concreto. Non sussistono affatto, nel caso di specie, i presupposti richiesti dalla norma in esame per l’adozione dell’ordinanza sindacale extra ordinem: l’imprevedibilità e l’urgenza vanno escluse dall’evidente lasso di tempo intercorso tra la relazione dei vigili e l’emanazione del provvedimento in questione, e inoltre l’ordinanza si fonda su ragioni del tutto diverse da quelle richieste dall’art. 54 del T.U.E.L., relative cioè alla tutela dell’incolumità pubblica e della sicurezza urbana.

Il secondo motivo di gravame concerne la mancata comunicazione di avvio del procedimento, e dunque l’avvenuta violazione dell’art. 7 della legge n. 241/1990. Nonostante il provvedimento sia definito “urgente”, non sussistono di fatto le ragioni derivanti da particolari esigenze di celerità che porterebbero ad escludere la necessità della comunicazione di avvio del procedimento nel caso in esame.

Ai suddetti motivi vanno infine aggiunti, e debitamente argomentati, gli ulteriori rilievi relativi all’eccesso di potere: difetto di istruttoria, carenza di motivazione, illogicità manifesta e violazione del principio di proporzionalità.

Un grande in bocca al lupo va a tutti gli aspiranti avvocati che hanno preso parte alle prove d’esame la scorsa settimana, con l’augurio che i mesi che precedono la pubblicazione dei risultati passino il più velocemente possibile!

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