Ebrei e persecuzione, “Storia di Carla”

SAGGIO DI RUGGERO GIACOMINI

x fed copertina libro storiadicarla– ANCONA – di Ruggero Giacomini – In questo libro, agile e di piacevole lettura, l’autrice rende pubblico, sollecitata dalla figlia Vittoria, il racconto della propria drammatica esperienza di ragazzina ebrea, nata a Venezia nel 1932, che vive da scolara l’esperienza delle leggi razziali e dopo l’8 settembre 1943 sfugge alla cattura da parte dei tedeschi riparando con i genitori e un fratello maggiore nelle Marche. Il padre Ettore Viterbo proveniva dalla comunità ebraica di Ancona, dove era nato nel 1890, aveva lavorato all’ufficio comunale del genio civile, ed aveva partecipato alla prima guerra mondiale, congedandosi col grado di capitano. Aveva poi sposato una ragazza ebrea di Venezia e si era stabilito in quella città, dove erano i nati i figli Baldo e Carla.

Con rapidi scorci, il racconto ci mostra come prima delle leggi razziali le comunità ebraiche fossero tutt’altro che compatte, e che i benestanti ebrei erano pienamente integrati nella borghesia cittadina, distinti e distanti dagli ebrei poveri del ghetto, cui li univano occasionalmente le feste religiose o iniziative caritatevoli.

Di qui anche lo sconcerto per il rapido adeguamento di quella stessa borghesia perbenista alla politica di discriminazione razziale del fascismo, quando, come viene raccontato, gli “amici cattolici” smisero di frequentarli, e “se ci vedevano per la strada, facevano finta di non conoscerci” (p. 31). Compaiono in locali della città lagunare perfino scritte di divieto d’ingresso “ai cani e agli ebrei” (p. 33). E’ lo stesso periodo in cui anche in Ancona si esibivano cartelli: “Questo negozio è ariano”.

Scappati dunque da Venezia in tempo prima dell’arrivo dei tedeschi e giunti in Ancona, i Viterbo sono consigliati di riparare in un piccolo paese, dove si pensa sia più facile confondersi tra gli sfollati e dare meno nell’occhio. Si sistemano così a Porto San Giorgio, in una casa affittata da dei pescatori.

Ad Ascoli Piceno tuttavia, ai primi di ottobre, i tedeschi debellano la resistenza partigiana che aveva il suo centro sul colle San Marco e ciò ha immediate ripercussioni sul territorio provinciale. Avvalendosi infatti della collaborazione rianimata e servile dei fascisti sostenitori della neo-sedicente Repubblica Sociale, il comando tedesco impone la propria legge sul territorio. Uno dei primi ordini, passati attraverso il questore ai carabinieri, è l’arresto degli ebrei, italiani e stranieri, che si trovano presenti nelle varie località della provincia, e la loro traduzione nel campo di Servigliano. Il 10 ottobre quattro carabinieri si presentano dunque a casa dei Viterbo, e tutti i quattro della famiglia – padre, madre, Carla e il fratello – sono prelevati; e comincia per loro la dura vita del campo, tra fame, freddo, cimici e minute strategie di sopravvivenza.

Una malattia della madre, che viene ricoverata a Montegiorgio, è l’occasione per un’amicizia col dottor Alberigo Cappelletti, antifascista, ufficiale sanitario di Servigliano e medico del campo. Ciò si rivela provvidenziale quando il 3 maggio un aereo alleato bombarda il campo, apre una breccia nel muro di cinta e consente ai reclusi di scappare. Aiutati da una rete di contatti attivati dal dottore, i Viterbo riescono fortunosamente a non farsi riprendere e possono restare nascosti fino alla liberazione.

Non è così per tutti. Dei 61 ebrei del campo, 31 sono ricatturati dai tedeschi poco dopo l’evasione, e di essi “solo tre si salvarono dagli orrori dei campi di sterminio” (p. 77). Caricati su un camion, vengono subito portati a Fossoli e di qui il 16 maggio in treno con molti altri ad Auschwitz, dove:

Dieci di loro furono subito portati nelle camere a gas al loro arrivo (si trattava di persone anziane e di bambini, talora di pochi mesi). Gli altri morirono di fame e di malattie nei mesi successivi, tranne Susanna Hauser, francese nata a Parigi, che aveva diciassette anni quando i russi entrarono ad Auschwitz” (p. 48).

Nella introduzione, il curatore Roberto Lughezzani fornisce informazioni essenziali sulla presenza e condizione degli ebrei in Italia, e sulle origini e realtà dell’antiebraismo. E mette in guardia dai tentativi di attenuazione delle responsabilità di Mussolini e del fascismo italiano nella politica razzista, adottata autonomamente e in piena consapevolezza. Fu merito della resistenza se la “soluzione finale” decisa da Hitler non divenne sterminio totale, grazie anche e principalmente alle dure sconfitte inflitte agli eserciti hitleriani sui campi d’oriente dall’armata rossa liberatrice di Auschwitz.

(articolo tratto da Urlo – mensile di resistenza giovanile)

 

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