Diritto all’oblio ed internet: il caso di Google

IL 13 MAGGIO SCORSO LA SENTENZA DELLA CORTE DI GIUSTIZIA EUROPEA SUL “DIRITTO AD ESSERE DIMENTICATI”

di Avv. Valentina Copparoni (Studio Legale Associato Rossi-Papa-Copparoni in Ancona)

Delete25 maggio 2014 – “Beati gli smemorati, perché avranno la meglio anche sui loro errori” (Nietzche)

Forse Nietzche non avrebbe mai pensato che a distanza di secoli questa frase avrebbe potuto adattarsi a pennello ad una vicenda di cui si sta discutendo da giorni.

Il mondo di internet è andato in subbuglio perchè qualcuno, un certo Mario Costeja González, avvocato spagnolo, con la caparbietà di cui a volte solo gli avvocati possono essere dotati, ha rivendicato il diritto all’oblio ovvero il suo diritto ad essere dimenticato per vicende legate al proprio passato.

Ma andiamo per ordine e ricostruiamo la vicenda.

E’ del 13 maggio maggio scorso la sentenza della Corte di Giustizia Europea di cui in tanti parlano (si legga qui il testo integrale ), decisione che porrebbe a carico del famosissimo motore di ricerca Google -e quindi a carico di tutti i motori di ricerca – l’obbligo di cancellare dai suoi risultati le informazioni “inadeguate, non pertinenti o non più pertinenti” qualora un cittadino lo richieda.
La Corte Europea era stata chiamata a pronunciarsi dall’Audiencia Nacional di Spagna ovvero una corte nazionale, con competenze in varie settori tra cui in materia penale, amministrativa e del lavoro, sul ricorso di Google Spain contro una decisione dell’Agencia Española de Protección de Datos(AEPD) che, accogliendo la denuncia del sig. Mario Costeja González, ordinava a Google di rimuovere i dati personali segnalati dal cittadino e di impedirne in futuro l’accesso.
Infatti n
el marzo 2010 il cittadino spagnolo Costeja González presentava dinanzi all’AEPD un reclamo contro La Vanguardia Ediciones SL, società editrice che pubblica un quotidiano di larga diffusione soprattutto in Catalogna (Spagna) nonché contro Google Spain e Google Inc.

Tale reclamo era fondato sul fatto che, allorché un utente di internet introduceva il nome del sig. Costeja González nel motore di ricerca del gruppo Google (Google Search), otteneva dei link verso due pagine del quotidiano di La Vanguardia del 19 gennaio 1998 e del 9 marzo 1998. In queste pagine figurava un annuncio riportante il nome del sig.Costeja González per una vendita all’asta di immobili connessa ad un pignoramento effettuato a suo carico per la riscossione coattiva di crediti previdenziali.

Mediante il reclamo il sig.Costeja González chiedeva:

-da un lato, che fosse ordinato a La Vanguardia di sopprimere o modificare le pagine in cui si faceva riferimento ai suoi dati ed alla sua vicenda personale oppure di proteggere detti dati utillzando alcuni strumenti forniti dai motori di ricerca per questi scopi;

-dall’altro, che fosse ordinato a Google Spain o a Google Inc. di eliminare o di nascondere i suoi dati personali, di modo che non comparissero più tra i risultati di ricerca e neppure nei link di La Vanguardia. In particolare, il sig. Costeja González lamentava che la procedura di pignoramento -vicenda cui continuava ad essere collegato il suo nome a distanza di più di dieci anni – era stato interamente definito con il pagamento del debito e quindi la vicenda non dovesse avere più alcuna rilevanza ed interesse.

Con decisione del 30 luglio 2010, l’AEPD respingeva il reclamo nella parte riferita alla società editrice La Vanguardia, ritenendo che la pubblicazione delle informazioni fosse giustificata essendo avvenuta su ordine del Ministero del Lavoro e degli Affari sociali e aveva avuto lo scopo di conferire il massimo di pubblicità alla vendita pubblica per la successiva asta.Veniva accolto invece il ricorso contro Google Spain e Google Inc. con l’affermazione che i “gestori di motori di ricerca sono assoggettati alla normativa in materia di protezione dei dati, dato che essi effettuano un trattamento di dati per il quale sono responsabili e agiscono quali intermediari della società dell’informazione. L’AEPD ha ritenuto di essere autorizzata ad ordinare la rimozione dei dati nonché il divieto di accesso a taluni dati da parte dei gestori di motori di ricerca, qualora essa ritenga che la localizzazione e la diffusione degli stessi possano ledere il diritto fondamentale alla protezione dei dati e la dignità delle persone in senso ampio, ciò che includerebbe anche la semplice volontà della persona interessata che tali dati non siano conosciuti da terzi. L’AEPD ha affermato che tale obbligo può incombere direttamente ai gestori di motori di ricerca, senza che sia necessario cancellare i dati o le informazioni dal sito web in cui questi compaiono, segnatamente quando il mantenimento di tali informazioni nel sito in questione sia giustificato da una norma di legge” (si legga sul punto sentenza Corte di Giustizia 13 maggio 2014).
Google Spain e Google Inc. impugnavano la decisione con due ricorsi poi riuniti dinanzi all’Audiencia Nacional, organo che però sospendeva il il procedimento con rinvio alla Corte di Giustizia europea per il chiarimento di alcune questioni pregiudiziali.

Per comprendere meglio quanto successo, ricordiamo che lo strumento del cosidetto “rinvio pregiudiziale” alla Corte di Giustizia europea viene utilizzato da parte del giudice nazionale che può sollevare una questione interpretativa o di applicazione di una norma comunitaria.Il giudice nazionale è tenuto ad interpretare ed applicare la norma comunitaria. Spesso accade che sorgono questioni di conflitto con una norma interna: in questi casi il giudoce disapplica la stessa norma interna, e in caso di dubbi sull’interpretazione della norma comunitaria da applicare, può risolverli interpretando la norma comunitaria o sollevando la questione – chiamata per l’appunto pregiudiziale – sull’interpretazione della stessa davanti alla Corte di Giustizia.

Tornando al nostro caso, la norma comunitaria oggetto della richiesta di interpretazione è la direttiva 95/46 che, ai sensi dell’articolo 1, ha per oggetto la tutela dei diritti e delle libertà fondamentali delle persone fisiche, e segnatamente del diritto alla vita privata, con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché l’eliminazione degli ostacoli alla libera circolazione di tali dati.
La Corte di Giustizia Europea, sostenendo la decisione del Garante Spagnolo, ha ritenuto che l’attività del motore di ricerca implichi un trattamento di dati, che si distingue da quello ad opera degli editori di siti web e persegue obiettivi diversi. In altri termini il motore di ricerca sarebbe quindi “responsabile” del trattamento dei dati dal momento che determina le finalità e gli strumenti di tale trattamento, ai sensi dell’articolo 2, lettera b) della direttiva comunitaria 95/46.
Per quanto attiene, invece, la
rimozione dei risultati, la Corte di Giustizia ha stabilito che il motore di ricerca è obbligato a eliminare dall’elenco di risultati di una ricerca effettuata a partire dal nome di una persona, i link verso pagine web pubblicate da terzi e contenenti informazioni relative a questa persona e ciò anche nel caso in cui tale nome o informazioni non vengano preventivamente o simultaneamente cancellati dalle pagine web di cui trattasi e anche quando la pubblicazione sulle pagine web sia lecita.

Cosi la sentenza: “Infatti l’inclusione nell’elenco di risultati di una pagina web e delle informazioni in essa contenute relative a questa persona, poiché facilita notevolmente l’accessibilità di tali informazioni a qualsiasi utente di Internet che effettui una ricerca sulla persona di cui trattasi e può svolgere un ruolo decisivo per la diffusione di dette informazioni, è idonea a costituire un’ingerenza più rilevante nel diritto fondamentale al rispetto della vita privata della persona interessata che non la pubblicazione da parte dell’editore della suddetta pagina web.” Ne consegue che il soggetto che chiede la rimozione di determinate informazioni invocando i suoi diritti fondamentali di cui agli articoli 7 e 8 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, può ottenere che dette informazioni non vengano più messe a disposizione nei risultati del motore di ricerca.

Ancora sempre la sentenza: “i diritti fondamentali di cui sopra prevalgono, in linea di principio, non soltanto sull’interesse economico del gestore del motore di ricerca, ma anche sull’interesse di tale pubblico ad accedere all’informazione suddetta in occasione di una ricerca concernente il nome di questa persona.” Eccezione fatta, però, per i personaggi pubblici o notizie di rilevanza pubblica per i quali vi può essere sempre l’interesse alle informazioni.
Se poi chi è responsabile del servizio, in questo caso Google, non adempie alla richiesta di rimozione, ci si può avvalere delle Autorità Garante della Privacy purchè, però, sussistano determinate condizioni. Infatti è pur sempre necessario che venga compiuto un contemperamento degli interessi coinvolti ossia, da un lato, quello all’informazione da parte di chi fruisce del servizio della ricerca in internet e ,dall’altro, il diritto alla privacy ed al rispetto della vita privata.

 Ovviamente una decisione del genere non poteva non scatenare molteplici reazioni. In primis quella del colosso Google che tramite un portavoce ha dichiarato: “Si tratta di una decisione deludente per i motori di ricerca e per gli editori online in generale. Siamo molto sorpresi che differisca così drasticamente dall’opinione espressa dall’Advocate General della Corte di Giustizia Europea e da tutti gli avvertimenti e le conseguenze che lui aveva evidenziato. Adesso abbiamo bisogno di tempo per analizzarne le implicazioni”.
La sentenza è stata invece accolta positivamente da Viviane Reding, commissario europeo alla Giustizia: “È una chiara vittoria a favore della protezione dei dati personali dei cittadini europei, che conferma la necessità di portare le regole odierne sulla protezione dei dati dall’età della pietra ai giorni nostri, nel mondo moderno dei computer”.

Esaminando la sentenza possiamo dire che la Corte di Giustizia europea ha chiarito un aspetto molto controverso ossia quello della legge applicabile stabilendo l’applicabilità della legge nazionale del Paese nel quale il motore di ricerca opera.
Inoltre, aspetto del tutto innovativo, che sussiste la responsabilità diretta del gestore di un motore di ricerca per il trattamento dei dati personali (nel caso in questione Google), e ciò anche se si tratta di dati ripresi da siti web.
In ogni caso la Corte di Giustizia differenzia le posizioni del sito web che ospita i dati e quella de motore di ricerca che li visualizza, mediante appositi link. In altre parole, i singoli siti potranno mantenere intatto il loro archivio senza obbligo di rimozione ma con l’obbligo di aggiornamento dei dati a richiesta dell’interessato o attraverso una “deindicizzazione” (operazione attraverso cui si rende invisibili certi dati alle ricerche online) se si tratta di notizie senza alcuna più rilevanza.

E’ evidente, quindi, che l’obbligo più stringente e gravoso rimane a carico dei motori di ricerca che si trovano obbligati, a richiesta degli interessati, a rimuovere determinate informazioni a meno che non ci sia un interesse generale a mantenerle. Tale obbligo discende dal fatto che la Corte di Giustizia ha ritenuto Google, e quindi in generale tutti i motori di ricerca “titolari di trattamento” e ciò anche anche se nella traduzione italiana della sentenza si legge – per errore di traduzione – “responsabile del trattamento”.

In questi giorni si è diffusa la notizia che già milioni di richieste di far valere il diritto all’oblio sarebbero state avanzate, anche dall’Italia, dove però già il nostro Garante ha da tempo adottato un approccio molto ponderato ed attento cercando, tra i primi, ad effettuare un corretto bilanciamento tra i diritti alla privacy con il diritto (che è anche un dovere) all’informazione il più possibile corretta e completa scevra da qualsivoglia censura.
L’impatto di questa decisione, la forza dell’organo giudicante ed il valore di quanto deciso sta avendo, e forse giustamente, una eco pari alla diffusione dello strumento di internet e del ruolo che questo ha ormai assunto della nostra società. Ricordiamo, infatti, che la sentenza della Corte di Giustizia è l’interpretazione ufficiale della questione sottoposta alla sua attenzione, viene trasmessa al giudice nazionale, agli Stati membri e a tutte le istituzioni interessate. E’ evidente quindi che, come tale, vale per tutti gli Stati membri che hanno l’obbligo di applicarla, se del caso disapplicando la normativa interna in contrasto.

Già nel 2012 la Commissione Europea, nell’ambito di un programma più ampio di revisione delle norme a tutela della privacy, aveva pubblicato un primo piano di indirizzo per una legge per il diritto all’oblio. Chissà se ora, dinnazi a questa forte presa di posizione, si ritorni sull’argomento in occasione dell’incontro previsto per il mese di giugno dei Garanti Privacy dell’Unione Europea.

Forse è ancora presto per dire se il diritto all’oblio, come descritto nella sentenza dello scorso 13 maggio, possa assumere o meno le vesti di un’opportunità, di un’illusione o di un ostalo alla libertà di informazione, ma è certo che per cancellare il passato a volte serve qualcosa di più di un link in meno su un motore di ricerca.

 

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