Decreto ‘Banche’, vediamo cosa cambia a tutela di consumatori e mercato

BANCHE DI CREDITO COOPERATIVO: NOVITA’ E CRITICHE DELLA RIFORMA

Di Dott.ssa Alice Caporaletti

imagesIl consiglio dei ministri ha approvato da pochi giorni il decreto banche con le norme che traducono l’accordo con Bruxelles sulla garanzia dello Stato sui crediti deteriorati e con la riforma del credito cooperativo, attesa da mesi.

Il decreto contiene anche agevolazioni sulle vendite giudiziarie, con stop per tutto il 2016 all’imposta di registro.

La riforma approvata dal Governo consentirà di superare le criticità che presenta la vigente disciplina del settore: debolezze strutturali derivanti dal modello di attività, particolarmente esposto all’andamento dell’economia del territorio di riferimento, ed anche dagli assetti organizzativi e dalla dimensione ridotta. Allo stesso tempo viene confermato il valore del modello cooperativo per il settore bancario e rimane il principio del voto capitario.

In particolare, la riforma del settore del credito cooperativo prevede questo: entro 18 mesi le Bcc, sia grandi che piccole, che operano nel paese, dovranno tutte passare sotto l’ombrello di una holding con capitalizzazione superiore al miliardo, che dovrà quotarsi in Borsa conservando la maggioranza in mano alle cooperative. Questo consentirà di rafforzare il patrimonio, mantenendo però l’autonomia delle singole Bcc.

In tal modo, dopo Intesa San Paolo e Unicredit, nascerà il terzo polo bancario per dimensione, il primo per capitali italiani, col 14% degli sportelli e circa il 7% della raccolta e degli impieghi.

L’adesione ad un gruppo bancario è quindi la condizione per il rilascio, da parte della Banca d’Italia, dell’autorizzazione all’esercizio dell’attività bancaria in forma di banca di credito cooperativo.

Si è però andati molto oltre aggiungendo anche una via d’uscita (c.d. clausola “way out”) diversa, ma più scivolosa: le Bcc che non vogliono sottomettersi alla holding possono diventare società per azioni, a patto di avere un patrimonio superiore ai 200 milioni. Potranno così tenersi le riserve indisponibili pagando un’imposta straordinaria del 20%. In alternativa è prevista la liquidazione.

La maggioranza del capitale della capogruppo è detenuto dalle Bcc del gruppo. Il resto del capitale potrà essere detenuto da soggetti omologhi (gruppi cooperativi bancari europei, fondazioni) o destinato al mercato dei capitali.

In merito a tale riforma vi sono però pareri contrastanti: c’è chi ritiene tale riforma giusta e coraggiosa, c’è chi invece discute in merito alla disposizione relativa alla via d’uscita per le banche più grandi che, come già detto, se hanno un patrimonio sopra 200 milioni potranno non aderirvi.

Il mondo del credito cooperativo è infatti in rivolta, ritenendo che tale meccanismo rischia di indebolire il nascente gruppo unico e lo spirito cooperativo. Inoltre sarebbe discriminatoria perché non lascia a tutti gli istituti la facoltà di scelta. E si contesta la possibilità della «Bcc spa» di prendersi le «riserve indisponibili».

E’ stata sollevata altresì una questione di legittimità costituzionale, per la precisione, visto e considerato che la Costituzione tutela la cooperazione.

Non è tutto; c’è un altro aspetto che piace poco alla confederazione delle cooperative. Quello del patrimonio accumulato nei decenni dal sistema cooperativo, quindi tramandato con una serie di vincoli nell’utilizzo nel tempo. E che ora, secondo il numero due della confederazione dovrebbe finire nelle mani di altri soci, che ne disporrebbero senza gli stessi vincoli che ne hanno determinato l’accantonamento, tipici della cooperazione.

La riorganizzazione del credito cooperativo pertanto non piace a una buona fetta del credito cooperativo, e persino Federcasse ha espresso delle perplessità, condannando anch’essa la clausola dei 200 milioni di patrimonio fissata per le Bcc che non intendono aderire alla holding.

La questione è ovviamente destinata a trasferirsi in Parlamento, quando s’aprirà l’esame del decreto. E’ necessaria, da parte del Governo, la disponibilità a considerare e riconsiderare  con attenzione l’impatto di una scelta delineata in prima battuta, e che appare però fuori centro in un punto in particolare, ed ad intervenire in tal senso.

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