Dal carcere di Opera il boss Riina minaccia ancora

TRATTATIVA STATO-MAFIA: NIENTE UDIENZA PER IL PM DI MATTEO

di Alessia Rondelli (praticante presso lo studio legale RPC)

MILANO, 15 DICEMBRE 2013- Sembra veramente senza fine l’intricata vicenda che dura ormai da più di 20 anni e che ha indelebilmente segnato la storia del nostro paese,  meglio conosciuta come ‘trattativa stato-mafia’. Ci si riferisce a quel fitto reticolo di relazioni intrecciate da vari esponenti istituzionali e delle forze dell’ordine e i più cruenti boss delle associazioni mafiose italiane negli anni ’90. La procura di Palermo si è assunta oggi il ruolo di capire, di arrivare fino in fondo, per quel che se ne potrà mai veramente sapere, se non altro in nome di quelle persone uccise da quella folle strategia stragista attuata da Cosa Nostra non appena lo Stato le ha girato le spalle. Dura arrivare oggi a togliere quel velo di Maya che sapientemente per anni è stato posto per nascondere la realtà vera, per farla apparire distorta agli occhi di un popolo, che però ha finito per non crederci più. A far ancora notizia oggi è un fatto eclatante che rivela l’enorme potere che tuttora la mafia, anche dal carcere, riesce a imporre ad uno Stato diviso tra sicurezza e sottomissione. Il protagonista ancora lui,  uno dei più cruenti capi di Cosa Nostra soprannominato ‘la belva’, Totò Riina, che continua, pur sottoposto a regime di 41 bis nel carcere milanese di Opera, a dettare le regole del ‘gioco’. Infatti a causa delle sue minacce di morte si è ritenuto di impedire al pm Di Matteo, che sostiene l’accusa nel processo stato-mafia, di presenziare all’importante udienza tenuta nell’aula bunker 2 di Milano. A far scattare tale decisione sono state le minacce intercettate durante i dialoghi che il boss ha intrattenuto in carcere con il suo amico, capo della sacra corona unita pugliese, Lorusso. A smuovere le acque sono state le confessioni dei vari pentiti che hanno rivelato nomi, episodi e dettagli nuovi, come Giovanni Brusca, sentito proprio a questa udienza. Da agosto ad oggi un’escalation di minacce culminate nell’ultima frase intercettata: “Tanto al processo deve venire”, che dimostrano l’ossessione di ‘uomo d’onore’ nei confronti di chiunque voglia infangarlo. In aula sono invece presenti il procuratore di Palermo Messineo, l’aggiunto Teresi e i sostituti Del Bene e Tartaglia, che hanno accompagnato i giudici del processo di Palermo nella trasferta milanese. La procura ha ritenuto che non ci fossero le giuste condizioni di sicurezza sia dell’aula che del trasferimento, soprattutto perché dalle dichiarazioni del boss trapela il dubbio che il progetto di attentato potesse già essere ad una fase esecutiva. Il pm è già sottoposto a protezione di ‘livello 1 eccezionale’ e l’unica alternativa possibile, in vista di un potenziamento della vigilanza, sarebbe l’uso di un Lince blindato (carro armato) e  di un bomb jammer, dispositivo che neutralizza congegni usati per azionare esplosivi. Netto il suo rifiuto, impensabile per lui muoversi con un mezzo del genere, e a sostegno della sua assenza fuori dall’aula bunker è stato organizzato un sit-in di solidarietà di un gruppo di cittadini che hanno esibito uno striscione: “Milano sta con Di Matteo”. Ovvio che questa vicenda lascia dei forti dubbi sui meccanismi di fondo che regolano questo sistema malato ed inaccettabile, che si tenta di scardinare dando giustizia a chi si è esposto ed ha pagato con la vita, nella consapevolezza che già troppo è stato permesso.

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