Come la corruzione uccide l’economia (1 parte)

CHI HA MAI SENTITO PARLARE DELL’ AUTHORITY ANTICORRUZIONE?

di Avv. Marusca Rossetti

imagesSe il nostro bel Paese fosse uno studentello di primo pelo, di certo sarebbe un Gianburrasca con un diario disseminato di note di demerito!

E la maestra, in questo caso, altri non sarebbe se non la sempreverde Commissione europea.

Ancora un atto d’accusa contro l’Italia che, per l’occasione, eccelle in maniera negativa quanto al fenomeno della corruzione, dilagante non solo nel settore pubblico, ma anche in quello privato. In un rapporto di 16 pagine, l’esecutivo comunitario ci mette tutto, senza sconti: conflitto d’interesse, leggi ad personam, lungaggine nei processi, appalti truccati, collusione tra politica e mafia, mancanza di una regolamentazione delle lobbies, mancata piena trasposizione di una direttiva europea per combattere la corruzione nel settore privato. Queste le carenze che determinerebbero l’incapacità a combattere o, quantomeno contenere, la piaga della corruzione.

Tutto ciò fa sì che lo Stato italiano contribuisca per metà al costo sostenuto dall’UE per tale fenomeno che è di 120 miliardi.

La stessa Corte dei Conti a Roma precisa che, appunto, i costi diretti per la corruzione ammontano in Italia ogni anno a 60 miliardi di euro, pari al 4 per cento del Pil.

Cecilia Malstrom, commissario agli affari interni a Bruxelles, relazionando sul primo rapporto europeo in materia, ha richiamato l’attenzione sulla circostanza che, pur prendendo atto dei progressi fatti e delle buone pratiche adottate, i risultati ottenuti non sono comunque sufficienti, il che mantiene invariato un quadro europeo a dir poco allarmante nell’ambito del quale « non ci sono aree non affette da corruzione”.

Tuttavia sul sito del Dipartimento della funzione pubblica(www.funzionepubblica.gov.it) tira tutta un’altra aria. Stando a quanto in esso pubblicato, il Rapporto Anticorruzione 2014 della Commissione Europea confermerebbe, invece, per quanti hanno voluto cogliere solo gli aspetti critici della vicenda, “che l’Italia sta facendo un lavoro importante e apprezzato su un tema fondamentale per lo sviluppo del Paese come la lotta ai fenomeni corruttivi”. La stessa Commissione Ue nella sua relazione, avrebbe sottolineato la portata innovativa delle norme approvate in questi ultimi anni  (la legge n. 190/2012, c.d. legge anticorruzione; il decreto legislativo n. 235/2012 in materia di incandidabilità; il decreto legislativo n. 33/2013 sulla trasparenza; il decreto legislativo n. 39/2013 in materia di inconferibilità e incompatibilità; il D.P.R. n. 62/2013 contenente il codice di comportamento dei dipendenti  pubblici) che avrebbero “riequilibrato la strategia rafforzandone l’aspetto preventivo e potenziando la responsabilità (accountability) dei pubblici ufficiali”.

Anche il dato numerico relativo all’impatto stimato della corruzione deve essere contestualizzato: la stima dei 60 miliardi di euro di costi totali annui della corruzione, più volte riportata da vari enti, tra i quali la Corte dei Conti, sembrerebbe sia l’unica stima ad oggi compiuta del fenomeno.

Si tratterebbe, però, di una stima ipotetica, che non è suffragata da un presupposto oggettivo riferito al nostro Paese e che non è stata svolta direttamente dalla Corte dei Conti. Questo numero impressionante nascerebbe, invece, da uno studio della World Bank, che ha stimato il costo della corruzione nel mondo nel 3% del PIL mondiale. Ma il Dipartimento delle funzioni pubbliche ci tiene a sottolineare che “ non appare possibile allo stato quantificare, nemmeno a livello di stima, il fenomeno corruttivo in Italia e parametrarlo percentualmente al fenomeno in tutta Europa”.

Laddove, poi, viene denunciato che questo male patologico va a scardinare la fiducia dei cittadini nelle istituzioni democratiche e nello Stato di diritto, tanto che secondo un recente sondaggio il 97% degli interpellati in Italia considera che la corruzione è diffusa nel loro Paese, contro una media europea del 76%, e il 92% delle imprese italiane crede che il favoritismo e la corruzione ostacolino la libera concorrenza, il sito del Governo critica la circostanza che questi dati non siano stati messi in alcuna correlazione con quello reale, anch’esso riportato nella relazione, secondo cui il 2% degli italiani intervistati che ha risposto di essere stato oggetto di richieste o di aspettative di tangenti, corrisponde ad appena la metà del dato medio europeo (4%).

Su questo punto, il rapporto di “Libera”, che è la rete di associazioni di Don Luigi Ciotti, parla di una percentuale ben diversa: i cittadini che si sono visti richiedere una bustarella sarebbero il 12% e il motivo per cui, stando al campione esaminato, é emersa una percentuale così bassa, sarebbe da ricercarsi nel senso di vergogna e timore provato dai più ad ammettere di essere stati destinatari di simili “avances”.

E’più che evidente che il fenomeno di cui trattiamo non rappresenta certo solo un mero problema morale perché ad essere maggiormente danneggiata è l’economia europea, privando, tra l’altro, gli Stati di un gettito fiscale particolarmente necessario.

Si consideri che nel 2012, che è l’anno al quale si riferiscono i dati della Commissione Europea, gli investimenti esteri diretti verso l’Italia hanno subito una riduzione del 70%, passando da 34 a 10 miliardi di dollari in un anno e c’è chi, come Giuseppe Recchi, direttore del Comitato investitori esteri di Confindustria, ha giustamente ritenuto che i motivi di questo tracollo siano da rinvenirsi anche nella corruzione, così come nelle lungaggini della burocrazia che alla stessa è legata e nella macchinosità dei processi.

In particolare, secondo la Commissione, il Paese dovrebbe introdurre maggiore trasparenza negli appalti pubblici e dare maggiori poteri all’Authority per la trasparenza e l’integrità, a cui sono stati affidati compiti di coordinamento dalla legge anti-corruzione adottata nel 2012.

E qui casca l’asino!

Sì, perché questa fantomatica Autorità anticorruzione ha dei contorni decisamente labili, che sfuggono a un preciso suo inquadramento in termini di competenze, poteri, ma soprattutto risultati.

In realtà sia pure con nomi diversi, la sua creazione va collocata indietro nel tempo, ovvero a far data dall’anno 2003, allorché fu istituito l’Alto commissario per la prevenzione e il contrasto alla corruzione, reso operativo l’anno successivo.

Il D.P.R. n. 258 del 6 ottobre 2004, infatti, stabilì che le funzioni di questo organismo avrebbero dovuto consistere “nella sorveglianza e nel monitoraggio, tramite indagini conoscitive, elaborazione ed analisi di dati, controllo su procedure contrattuali di spesa e su comportamenti conseguenti, dell’attività amministrativa della pubblica amministrazione per tali specifici fini, nel rispetto delle competenze delle Regioni e delle Province autonome”.

Dal canto loro, le amministrazioni pubbliche erano tenute a collaborare e, in caso contrario, sarebbero state segnalate al Procuratore della Repubblica competente per territorio. L’Altocommissario avrebbe dovuto operare presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, avvalendosi di un apposito ufficio, e essere formato da componenti scelti tra i magistrati ordinari, amministrativi e contabili con qualifica non inferiore a consigliere, tra gli avvocati dello Stato appartenenti almeno alla terza classe di stipendio, tra i gradi generali della dirigenza militare o tra i dirigenti di prima fascia delle amministrazioni dello Stato e tra equiparati. L’incarico sarebbe durato cinque anni con possibilità di un solo rinnovo.

Dopo quattro anni, durante i quali rimase pressoché inerme, nel 2008 fu rimpiazzato dal Servizio per l’anticorruzione e la trasparenza(Saet).

Nel 2009 fu la volta della Commissione indipendente per la valutazione, la trasparenza e l’integrità delle amministrazioni pubbliche(CiVIT), infine, nel 2012, con il Governo Monti venne emanata la L. 190 che istituì l’Autorità anticorruzione.

E a chi accusa questo organismo di ultima creazione di essere rimasto ancora una volta inerme, il sito governativo risponde che “non si può dimenticare lo sforzo profuso dal Governo per aumentare l’autonomia e indipendenza dell’Autorità e renderla ente specializzato e completamente dedicato alla materia”. Ma la proposta presentata dal ministro D’Alia, nel corso dei lavori di conversione del decreto-legge n. 101/2013, di specificare i criteri di nomina dei componenti dell’A.N.AC.(che è L’Autorità Nazionale Anticorruzione), di aumentare il personale e di rendere perfetta l’autonomia gestionale e finanziaria dell’ente, di farne un’ Autorità dedicata solo all’anticorruzione si è purtroppo scontrata contro un diverso orientamento, consolidatosi nel Parlamento. Col risultato che gli attuali componenti dell’A.N.AC., alcuni effettivamente in carica da molti anni, sono oggi scaduti, pur potendo normalmente operare in regime di proroga.

Viene ammessa la necessità impellente che vengano nominati dei nuovi componenti e, a tal proposito la relativa procedura sarebbe stata attivata già in data 29 novembre 2013, ma essendo questa particolarmente complessa (decreto del  Presidente della Repubblica, previde liberazione del Consiglio dei  ministri, previo parere favorevole delle Commissioni parlamentari competenti  espresso a maggioranza dei due terzi dei componenti) occorrono “tempi adeguati per individuare personalità dotate dei necessari requisiti e sui quali possa convergere un ampio consenso delle forze politiche, anche di minoranza.”

E intanto l’Autorità, che di fatto ha lamentato nel suo ultimo rapporto di circa un mese fa, che “il livello politico non ha mostrato particolare impegno nell’attuazione della legge, nonostante i reiterati solleciti” resta tutt’oggi senza neppure un presidente!

Difficile, allora, pretendere che il lavoro di vigilanza sia fatto a regola d’arte e al di là di quanto pubblicato sul sito del Governo, una versione più edulcorata dell’intera questione tesa a minimizzare un problema che ancora, comunque la si voglia mettere, resta irrisolto, la domanda giusta da farsi è: ma può davvero essere un organismo come l’Authority, in qualunque modo lo si voglia chiamare, essere incisivo per debellare il fenomeno della corruzione?

O se davvero c’è la determinazione di fare sul serio le strade da battere devono piuttosto essere altre?

CONTINUA NEL NUMERO DI F&D MAGAZINE DI DOMENICA PROSSIMA.

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