‘Ancona. Cronache di guerra, 1943-1944’

SAGGIO DEI FRATELLI BEVILACQUA

xFed copertina libro Cronache guerraANCONA – di Giampaolo Milzi – Il capoluogo marchigiano svettò in cima alla classifica nazionale delle città più distrutte d’Italia. Quasi 3000 morti, migliaia di feriti, il 70% del centro storico, ovvero i quartieri Guasco-San Pietro-Porto e quello di Capodimonte, praticamente raso al suolo. Il corpo e l’anima, il patrimonio economico, architettonico, artistico, culturale, della Dorica fondata nel IV secolo a.C. , martoriati e mutilati. “Ancona. Cronache di guerra/ 25 luglio 1943 -18 luglio 1944” racconta lucidamente il martirio che rese la città meritevole, alla fine del secondo conflitto mondiale, della medaglia d’oro al valore civile. Un martirio lungo un anno, dalla caduta del Fascismo alla Liberazione avvenuta ad opera delle truppe polacche guidate dal generale Anders. Un anno preceduto e seguito da altre sofferenze per una popolazione che, durante il calvario scandito dall’escalation di decine e decine di bombardamenti aerei inflitti dagli angloamericani a partire dall’ottobre 1943, fu capace di resistere, anche con piccoli e grandi atti di eroismo quotidiani, alla tragedia annunciata. E alla fine la città “era rimasta una città giovane, e questa era l’unica caratteristica a non essere cambiata. Spalò via le macerie con la tristezza nel cuore e si sollevò per l’ennesima volta”. Le parole conclusive di questo saggio scritto dai fratelli Lilia Bevilacqua e Attilio Bevilacqua – giornalista la prima, rappresentante di commercio il secondo con la passione per le ricerche d’archivio – fanno capire, appunto, come praticamene tutto, poi, non fu come prima. A parte la giovinezza dei residenti (come età media), i quali nell’estate del 1944 si erano ridotti a 3-4.000 rispetto ai 62.000 del dicembre 1943. Furono proprio i più giovani, quelli cresciuti alla “scuola del Duce”, che già nella primavera del ‘43 crearono nel rione Grazie-Tavernelle una organizzazione antifascista, collegata ad un’analoga concentrazione più “matura” di oppositori del regime nata l’anno precedente. Impossibile, in questa sede, citare tutta la fitta rete di passaggi, fasi, caratteri distorti in cui si svolse la vita quotidiana dopo la fugace ventata di ottimismo sviluppatasi dopo l’arresto di Mussolini del 25 luglio, ma subito seguita dalla dichiarazione del suo successore, il “militarissimo” Badoglio, “la guerra continua” (a fianco dei tedeschi), e dalla tragedia nella tragedia che seguì l’armistizio-resa con gli angloamericani dell’8 settembre. La narrazione degli autori descrive bene quella convulsa rete, attingendo, con un’efficace opera di selezione e cucitura, a una vasta biografia sull’argomento, arricchendola con notizie inedite e tanti aneddoti molto significativi. Stupisce ancora oggi ricordare come il 15 settembre l’occupazione delle truppe germaniche avvenne senza colpo ferire in una città zeppa di caserme e forte di 4.000 soldati. Come il Comando militare di zona italiano nei giorni immediatamente precedenti si rifiutò di consegnare le armi agli antifascisti che su impulso dell’ing. Gino Tommasi (catturato, morì a Mauthausen, fu insignito della medaglia d’oro al valor militare) stavano formando la prima guardia nazionale popolare, poi comunque trasformatasi nel gruppo Gap cittadino e nelle brigate partigiane che dettero vita alla Resistenza soprattutto in montagna. I partigiani, in città, svolsero un ruolo fondamentale non solo sul piano militare, con atti di sabotaggio, passando notizie ai servizi segreti alleati, salvando molte fabbriche e infrastrutture dalle distruzioni apportate dai tedeschi quando iniziarono a ritirarsi. Ma anche civile, procurando aiuti di ogni tipo alla parte più impoverita e stremata degli abitanti – quella che non aveva potuto sfollare in campagna, e pochissimo beneficiava del magro approvvigionamento alimentare consentito dalle tessere annonarie – e ai medici e ai malati negli ospedali. Anche e soprattutto dopo i due bombardamenti più devastanti, quelli del 16 ottobre e del 1 novembre ì43. Quando Ancona si destò dal sogno di essere risparmiata perché “città sovversiva e antifascista” (gli autori ricordano la manifestazione “per il pane e la pace” cui 500 donne dettero vita l’11 aprile del ’42) capì di essere “bombing area” in quanto zeppa di obiettivi militari (il porto, i cantieri navali, la rete ferroviaria, le caserme, per fare qualche esempio) e fu ridotta in macerie. Tanti i drammi parte di un’immensa tragedia. La strage delle oltre 700 persone chiuse nel rifugio di Santa Palazia centrato quel 1 novembre da quattro ordigni. La deportazione nei lager di lavoro in Germania dei circa 3.000 soldati italiani disarmati e concentrati dai tedeschi nella caserma Villarey. Le continue espropriazioni, ruberie, razzie, distruzioni apportate dagli stessi tedeschi, che misero a terra una città già in ginocchio. La persecuzione della vasta comunità ebraica. I numerosissimi monumenti e chiese distrutti. Ma anche l’aiuto solidale e appassionato fra cittadini, quello solidale dei civili ai soldati sbandati dell’esercito italiano dopo l’8 settembre, l’opposizione passiva e attiva alle risorte istituzioni della nuova Repubblica Sociale di Mussolini e ai suoi funzionari servi del Nazismo, l’arte di arrangiarsi in ogni modo per non morire di fame e sopravvivere in un ambiente urbano spettrale, privo dei servizi essenziali (ci si riforniva di acqua alle fontane pubbliche), la salvezza, per pochi eletti, costituita del mercato nero, l’opera indefessa dei vigili del fuoco, il salvataggio di molte opere d’arte. Queste e altre storie di sacrificio e maturazione servirono in parte e comunque ai valorosi e laboriosi anconetani per aprire la strada alla democrazia.

(articolo tratto da Urlo – mensile di resistenza giovanile)

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