La morte di Pamela Mastropietro: analisi giuridica delle ipotesi di reato e degli scenari investigativi

PROVIAMO A CAPIRE DI COSA E’ ACCUSATO IL NIGERIANO INNOCENT OSEGHALE E EVENTUALI RESPONSABILITA’ DELLA STRUTTURA

di Avv. Michela Foglia

pamelaNei giorni scorsi la città di Macerata è piombata sulle prime pagine di tutti i giornali per l’agghiacciante ritrovamento di un corpo femminile, orribilmente smembrato e riposto in due valigie abbandonate nelle campagne di Pollenza, che è stato ben presto identificato come quello di Pamela Mastropietro, diciottenne allontanatasi due giorni prima prima da una comunità di recupero di Corridonia.

Le indagini si sono fin da subito focalizzate sulle ultime ore della ragazza che è stata individuata nel video delle telecamere di sorveglianza adiacenti a una farmacia dove si era recata per comprare una siringa in compagnia di un uomo di colore.

Nelle ore successive è stato proprio lo stesso ragazzo nigeriano, Innocent Oseghale, ad essere arrestato, a seguito del ritrovamento, nell’appartamento dove viveva da solo, degli abiti di Pamela sporchi di sangue, delle tracce ematiche della ragazza e dello scontrino della farmacia dove i due si erano recati insieme, stando al racconto di diversi testimoni.

La concitazione e lo sgomento per la vicenda hanno indotto a numerosissime supposizioni sull’accaduto, molte smentite fin da subito, quali, ad esempio, quelle sui presunti legami con i riti voodoo, risultati privi di ogni fondamento, altre sono tuttora al vaglio degli inquirenti che con probabilità riusciranno a fare chiarezza su questo sconvolgente episodio di cronaca nera solo al termine di accurate attività di ricerca e accertamento finalizzata a ricostruire con esattezza i fatti.

Sebbene, dunque, allo stato e nel pieno delle indagini preliminari, non è ovviamente possibile avanzare analisi approfondite e incontrovertibili sui contorni giuridici di questo caso, alcune considerazioni posso, comunque, essere fatte alla luce di quanto già trapelato dalla procura di Macerata.

Innanzitutto sembra che, per ora, il ventinovenne sia indagato e in stato di custodia cautelare in carcere soltanto per vilipendio e occultamento di cadavere, accuse che plausibilmente possono essere già mosse contro di lui sulla base del ritrovamento in casa, non solo del sangue e dei vestiti della giovane romana, ma anche di una mannaia e di un coltello di grosse dimensioni, anch’essi con tracce ematiche. Non solo; vi sarebbe anche la testimonianza di un tassista che pare affermi di aver accompagnato l’indagato con i due trolley nei pressi del luogo dove sono stati poi ritrovati alcune ore dopo.

Per quanto spesso scarsamente considerata dalla collettività, soprattutto in casi efferati come quello in esame, la presunzione di non colpevolezza è, difatti, garantita all’art. 27 comma 2 della nostra Costituzione e consente l’applicazione della pena solo dopo che sia intervenuta, al termine del processo, una sentenza irrevocabile di condanna.

Come noto, inoltre, i principi di legalità e tassatività estrinsecati dall’art. 272 c.p.p. consentono la limitazione di alcune delle più importanti libertà fondamentali tutelate dalla Costituzione in primo luogo a patto che vi sia strumentalità rispetto al procedimento penale ovvero con gli obiettivi di permettere l’accertamento del reato (qualora vi sia il pericolo di inquinamento delle prove), di assicurare la futura esecuzione della sentenza definitiva (quando, a esempio, sussiste pericolo di fuga) o di evitare l’aggravarsi delle conseguenze del reato o la commissione di ulteriori reati.

Vi è più; l’applicazione di una misura cautelare personale richiede, a norma dell’art. 273 c.p.p., la sussistenza di “gravi indizi di colpevolezza” che debbono essere fondati sugli elementi di prova che l’accusa è riuscita a raccogliere nel corso delle indagini. Pur trattandosi di un accertamento allo stato degli atti di talchè il materiale probatorio sarà ovviamente suscettibile di modifica in caso di nuovi elementi raccolti dall’accusa o dalla difesa, gli indizi di reità a carico di colui che viene sottoposto alla misura custodiale più restrittiva quale la carcerazione preventiva, debbono essere non solo gravi ma, anche, come da tempo chiarito dalla Cassazione, anche univoci e concordanti, così da legittimare il convincimento del giudice sull’elevata probabilità circa la responsabilità dell’indagato.

Chiarito ciò è più agevole comprendere come, se da una parte gli elementi di prova che collegano Oseghele agli atti compiuti sul cadavere di Pamela risultano sussistenti e molto gravi, restino tuttora prive del dovuto fondamento probatorio richiesto per sostenere un’eventuale accusa in processo, le circostanze che pongono in relazione l’indagato con la morte della ragazza.

Se, infatti, l’ipotesi più accreditata è che l’indagato, già precedentemente condannato per reati legati allo spaccio di stupefacenti, sia stato avvicinato dalla ragazza ai Giardini Diaz al fine di procurarle dell’eroina (e ciò chiarirebbe l’acquisto della siringa in farmacia), non solo non sono state trovate dosi o tracce della droga in questione in casa, ma, cosa ancora più importante, non sono ancora state chiarite nemmeno a seguito dell’autopsia le cause del decesso di Pamela forse anche per il fatto che il cadavere, oltre che orribilmente sezionato, sembra sia stato anche lavato sebbene secondo alcune indiscrezioni risulti ancora visibile la traccia di un’iniezione al braccio.

Dai successivi esami disposti sul corpo dipende, dunque, l’aggravarsi della posizione di colui che, attualmente, risulta l’unico iscritto nel registro degli indagati per i fatti di Macerata: qualora, infatti, emergesse che la ragazza sia morta per un’overdose, verosimilmente l’uomo potrebbe essere accusato non solo della cessione di stupefacenti ma anche del più grave delitto previsto dall’art. 586 c.p.

La disposizione prevista per quest’ultimo reato riguarda, per l’appunto, la morte o le lesioni come conseguenza di altro delitto e si è trovata per lungo tempo al centro di accesi dibattiti riguardanti il tema del criterio di imputazione dell’evento più grave, in quanto, secondo una parte della dottrina, rappresenta un degli esempi di responsabilità oggettiva ancora presenti nel nostro codice, in cui la responsabilità per il fatto più grave (la morte o le lesioni), viene addebitata all’autore in ragione del mero nesso di causalità materiale purchè esso non sia interrotto dal fattori sopravvenuti previsti dall’art. 41 comma 2 c.p.

Sul punto e proprio relativamente al purtroppo frequente caso riguardante proprio la morte del consumatore avvenuta a seguito del delitto di cessione di stupefacenti, si è pronunciata a Sezioni Unite la Suprema Corte (Cassazione penale, SS. UU., sentenza 22 gennaio 2009, n. 22676): superando la questione dell’imputazione oggettiva dell’evento non dovuto e in base a quanto già statuito dalla Corte costituzionale nelle pronunce del 1988 nn. 364 e 1025, la Cassazione ha, dunque, stabilito in merito che la morte o le lesioni di cui all’art. 586 c.p. possono essere addebitate all’autore del delitto base solamente in ragione della cosiddetta colpa generica.

Secondo gli Ermellini, infatti, l’unica interpretazione costituzionalmente orientata della norma è quella della soggettiva responsabilità per colpa in concreto da stabilire in ragione della violazione di regole cautelari di condotta ed addebitabile all’autore del delitto base qualora sia raggiunta la prova di prevedibilità ed evitabilità dell’evento conseguente, da apprezzarsi in concreto e non in astratto.

Pertanto, qualora venga accertato che Pamela sia deceduta per un’overdose e che l’eroina le sia stata fornita dal nigeriano, la sussistenza del nesso eziologico tra la cessione della droga e l’evento più grave non voluto, rappresentato dalla morte della ragazza, dovrà essere soggettivamente imputabile a titolo di colpa in concreto all’indagato, secondo una valutazione di prevedibilità dell’evento da compiersi ex ante, facendo riferimento, secondo i noti paradigmi dell’addebito colposo, alla condotta tipica del cosiddetto agente modello e valutando le circostanze di fatto in cui eventi sono avvenuti.

La giovane età della ragazza e soprattutto il fatto che si era allontanata dalla comunità di recupero nella quale era in corso un programma di disintossicazione dalla tossicodipendenza, potrebbero costituire, ad esempio, circostanze che, se conosciute o conoscibili da Oseghale, deporrebbero in suo sfavore rendendo maggiormente prevedibile e, per ciò stesso a lui addebitabile, l’evento morte per overdose.

Quanto sopra detto, lo si ribadisce, nel caso in cui venga accertato che la diciottenne sia morta per overdose; nel caso, invece, fosse individuata una diversa causa della morte, ad esempio qualora essa fosse stata inflitta volontariamente dall’indagato o da qualcun altro, potrebbe profilarsi un diverso scenario, al cui centro si porrebbe un’accusa per omicidio, singola o anche in continuazione con altri reati nonchè con quelli già menzionati di vilipendio e occultamento di cadavere.

Pressochè esclusa da responsabilità appare, invece, la struttura di recupero in cui Pamela era in cura: certo è che la diciottenne vi si trovasse ospite volontariamente, non in quanto sottoposta a qualche misura cautelare o alternativa alla detenzione e, per tale ragione, fosse libera di interrompere il programma terapeutico e allontanarsi, essendo maggiorenne e nel pieno della capacità, quando lo desiderava. Sembra, inoltre, che i responsabili della comunità di Corridonia abbiano tentato di dissuadere la ragazza dall’intento di allontanarsi e, successivamente alla sua partenza, abbiano, inoltre, informato i familiari e le forze dell’ordine dell’accaduto.

Questi alcuni degli aspetti giuridici emersi a partire dallo sconvolgente ritrovamento avvenuto lo scorso mercoledì mattina nelle campagne maceratesi: attualmente l’unico indagato, Oseghele, il cui arresto è stato convalidato dal gip e che, durante l’interrogatorio previsto ex art. 294 c.p.p., si è avvalso della facoltà di non rispondere, è in custodia cautelare nel carcere di Montacuto; per ora, come già detto, è accusato di vilipendio e occultamento di cadavere, in attesa dei risultati delle analisi tossicologiche disposte sul corpo che, verosimilmente, consentiranno di chiarire meglio le cause del decesso non evidenziate con esattezza dall’autopsia.

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