Diritto alla cultura: “Lasciatemi morire”, a Jesi la presentazione del libro di Piergiorgio Welby

Domani 15 maggio alle 21.30 verrà presentato a Jesi (An) il libro “Lasciatemi morire” di Piergiorgio Welby, malato terminale affetto da distrofia muscolare progressiva che chiese al Presidente Napolitano il diritto di morire. A relazionare l’incontro sarà presente la moglie Mina Welby che senza mai stancarsi, seppur tra mille difficoltà, sta portando avanti il testimone politico del suo compagno di vita della lotta civile per regolamentare anche in Italia l’eutanasia.

Ma come viene disciplinata in Italia l’eutanasia?

Il termine greco “eutanasia” significa infatti “dolce morte”. Sul punto si riscontrano considerazioni diverse e legate alla cultura individuale di riferimento.
Da una parte vi è chi, aderendo ad una impostazione tendenzialmente laica del diritto alla vita, considera la morte una “scelta di vita” non solo da rispettare ma anche, se richiesto, da agevolare mediante la possibilità di accedere a metodi “indolori”, e dall’altra un’impostazione cattolica che considera la vita non come un diritto dell’individuo al quale, quindi, non può essere riconosciuta alcuna libera scelta su come terminarla.
Come sempre accade la normativa di riferimento rappresenta il punto di incontro e di mediazione tra queste opposte visioni, in relazione ai costumi sociali del momento storico a cui si riferisce .

In Italia l’eutanasia non è disciplinata in maniera autonoma dalla legge, ma deve intendersi come vietata. Applicare la “dolce morte” ad una persona è assimilabile all’omicidio volontario, che l’art. 575 codice penale punisce con la pena non inferiore a 21 anni. Se il colpevole dovesse dimostrare che vi era il consenso della “vittima” si tratterebbe pur sempre di omicidio del consenziente, che l’art. 579 punisce con una pena da 6 a 15 anni di reclusione Il codice penale prende invece in considerazione l’ipotesi del suicidio, punendo con l’art. 580 l’istigazione o l’agevolazione al suicidio (pena da 5 a 12 anni).

Il rifiuto della cura, invece, anche in Italia non è assimilabile ad un suicidio, ma rientra nei diritti della persona, come insegna il caso Welby
.
Il problema, come invece emerso nel caso Englaro, sorge quando l’interruzione di ogni forma di trattamento medico o di supporto deve avvenire nei confronti di un soggetto in totale stato di incoscienza. Teoricamente il medico dovrebbe comunque proseguire le cure in assenza di una consapevole espressione della volontà del paziente, entro il limite del c.d. accanimento terapeutico. Quando si raggiunge tale limite non è facile stabilirlo. Spetta al buon senso del medico e dei familiari, o ad una sentenza come invece affermato dal caso Englaro.
Per anni si è discusso in Italia di come stabilire preventivamente dei limiti al diritto alla cura, normando il cd. “testamento biologico”. La ratio di tale istituto sarebbe consentire a chiunque di disporre del proprio trattamento terapeutico qualora si venisse a trovare in stato di incoscienza, ad esempio escludendo preventivamente il ricorso all’alimentazione forzata.
Ma il 12 luglio 2011 la Camera ha approvato il DDL sul “testamento biologico”
, che per il varo definitivo dovrà essere votato dal Senato, presso cui al momento pende la discussione in commissione Sanitò. I punti principali sono due: le dichiarazioni anticipate di trattamento (DAT) non vincolano i sanitari e viene esclusa la possibilità di sospendere nutrizione e idratazione, tranne che nei casi terminali. Inoltre, i DAT sono applicabili solo se il paziente ha un’accertata assenza di attività cerebrale.


E cosa succede invece negli altri paesi europei?

R: L’eutanasia è disciplinata solo in Olanda. Dal 1994 l’eutanasia cessò di essere perseguita penalmente, pur rimanendo un reato. Nel 2000 i Paesi Bassi divennero il primo Paese al mondo a dotarsi di una legge che regolamentava l’eutanasia e dal 2002 la legge è in vigore. La normativa non stabilisce tanto un “diritto” all’eutanasia, quanto una serie di requisiti in base ai quali il medico che pratica l’eutanasia viene considerato non punibile. Parliamo di “eutanasia attiva” perché viene “attivamente” praticata (con medicinali, per esempio) e si distingue da quella “passiva”, in cui si ha la sospensione di trattamenti medici ormai inutili. Perché però il medico non sia punibile nel caso di eutanasia attiva, occorre che vi sia richiesta esplicita del paziente. La legge olandese stabilisce, nel secondo capitolo, i “requisiti di accuratezza” che rendono non punibile l’eutanasia o l’assistenza al suicidio, se praticate da un medico. Invece in Svizzera è consentito il suicidio assistito attraverso l’opera di un’associazione privata che si chiama “Dignitas”. Molte persone si rivolgono a tale struttura per evitare i divieti previsti nei rispettivi paesi di origine, come accaduto a Lucio Magri.

AVV.TOMMASO ROSSI

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