22 maggio 1978: approvata la legge 194 sull’interruzione di gravidanza

Il 22 maggio del 1978 veniva approvata in Italia la legge n. 194 sulla interruzione volontaria di gravidanza (IVG) che fino a quel momento era considerata un reato punito dal codice penale (artt. 545 e seguenti abrogati proprio nel 1978).

Oggi per ricordare un momento cosi importante nella storia delle leggi ma anche della cultura italiana, al di là delle diverse considerazioni personali che si possono avere sull’argomento, riproponiamo un approfondimento sulle questioni di illegittimità costituzionali sollevate dal Tribunale minorile di Spoleto tempo fa e che sono state decise dalla Consulta con una pronuncia di rigetto (di natura però strettamente procedurale) che in ogni caso sottolinea l’importanza delle questioni.

SPOLETO, 8 GIUGNO ’12 – La Corte Costituzionale dovrà esprimersi il 20 Giugno prossimo sulla questione di legittimità della legge 194/78 sull’Interruzione Volontaria della Gravidanza (IVG), sollevata dal Tribunale minorile di Spoleto.
Il caso riguarda una sedicenne rivoltasi al consultorio per praticare l’interruzione volontaria della gravidanza senza coinvolgere i genitori nella propria decisione. La ragazza affermava con «chiarezza e determinazione» di «non essere in grado di crescere un figlio, né disposta ad accogliere un evento che non solo interferirebbe con i suoi progetti di crescita e di vita, ma rappresenterebbe un profondo stravolgimento esistenziale». Il giudice di Spoleto ha posto la questione di legittimità alla Corte Costituzionale con evidente impatto normativo sui fondamenti stessi della L.194.
La  legge n. 194  e i minori. L’articolo 12 della legge 194 del 1978, che ha legalizzato, a determinate condizioni, l’interruzione volontaria della gravidanza, regola espressamente il caso in cui sia un minore a rivolgersi al consultorio per praticare l’IVG. “Se la donna è di età inferiore ai diciotto anni, per l’interruzione della gravidanza è richiesto l’ assenso di chi esercita sulla donna stessa la potestà o la tutela. Tuttavia, nei primi novanta giorni, quando vi siano seri motivi che impediscano o sconsiglino la consultazione delle persone esercenti la potestà o la tutela, oppure queste, interpellate, rifiutino il loro assenso o esprimano pareri tra loro difformi, il consultorio o la struttura socio-sanitaria, o il medico di fiducia, espleta i compiti e le procedure di cui all’articolo 5 e rimette entro sette giorni dalla richiesta una relazione, corredata del proprio parere, al giudice tutelare del luogo in cui esso opera. Il giudice tutelare, entro cinque giorni, sentita la donna e tenuto conto della sua volontà, delle ragioni che adduce e della relazione trasmessagli, può autorizzare la donna, con atto non soggetto a reclamo, a decidere la interruzione della gravidanza”.
La questione di legittimità.
Alla luce di quanto sopra, risulta evidente che il Giudice del Tribunale minorile di Spoleto doveva giudicare sulla gravità dei motivi addotti dalla sedicenne, in base ai quali la stessa rifiutava il coinvolgimento dei genitori nella decisione. Tant’è che, sulla base di una riflessione strettamente normativa, il punto nevralgico della questione dovrebbe essere il limite posto dal legislatore al diritto del minore di scegliere autonomamente l’interruzione volontaria della gravidanza. Tuttavia, la questione di legittimità sottoposta alla Corte Costituzionale non riguarda l’articolo 12, bensì l’articolo 4 della l.194 , ovvero quello che elenca i casi in cui una donna (non necessariamente minorenne) può procedere all’interruzione volontaria della gravidanza nei primi 90 giorni – con l’evidente conseguenza che la sentenza della Corte andrà a travolgere l’essenza stessa della legge 194, senza limitarsi alla fattispecie concreta portata di fronte al giudice minorile di Spoleto.  Infatti, l’articolo 4 della suddetta legge riguarda il diritto della donna ( minorenne o non) di  praticare l’IVG entro i primi 90 giorni se vi sono “circostanze per le quali la prosecuzione della gravidanza, il parto o la maternità comporterebbero un serio pericolo per la sua salute fisica o psichica, in relazione o al suo stato di salute, o alle sue condizioni economiche, o sociali o familiari, o alle circostanze in cui è avvenuto il concepimento, o a previsioni di anomalie o malformazioni del concepito”. Ponendo la questione di legittimità sull’articolo 4, il Tribunale di Spoleto ha dunque voluto sottoporre alla Corte Costituzionale un problema ben più annoso, e fortemente dibattuto sia a livello dottrinario che pubblico da diversi anni: quello della legittimità in sé dell’interruzione della gravidanza entro i primi 90 giorni, sia essa praticata da una minorenne o da una donna adulta.
I principi costituzionali violati.
Secondo il giudice de quo infatti, l’articolo 4 della l.194 contrasterebbe con i principi generali della Costituzione, tra i quali, l’articolo 2 (diritti inviolabili dell’uomo), l’articolo 32, 1° comma (diritto fondamentale alla salute dell’individuo), nonché con quanto espresso dalla Corte europea per i diritti dell’uomo sulla tutela assoluta dell’embrione umano: secondo il Giudice infatti, l’articolo 4 permetterebbe “l’inevitabile risultato della distruzione di quell’embrione umano che è stato riconosciuto quale soggetto da tutelarsi in modo assoluto”.

La questione dell’illegittimità costituzionale come sopra descritta è stata respinta dalla Corte Costituzionale in quanto “manifestamente inammissibile” ossia una decisione di tipo procedurale che non entra nel merito delle questioni sollevate innanzi alla Consulta. In particolare la decisione si esprime sul ruolo del Giudice tutelare che non è chiamato ad autorizzare o meno la minore ad abortire ovvero non partecipa alla volontà di abortire della minorenne ma deve solo verificarne l’adeguata maturità. La Corte in ogni caso ha precisato che le questioni sollevate non sono prive “di consistenza nel merito”.

CLARISSA MARACCI   AVV. VALENTINA COPPARONI

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