12 DICEMBRE 1969- Per non dimenticare la strage di piazza Fontana

12 Dicembre: il giorno del dolore, il giorno di chi non dimentica. Sono passati più di quarant’anni dalla Strage di piazza Fontana, 12 dicembre 1969, conseguenza di un grave attentato terroristico compiuto nel centro di Milano.
Oggi siamo qui per ripercorrere con la memoria quei drammatici istanti, per rileggere le pagine della storia con gli occhi nuovi di chi guarda al futuro con la speranza che gli errori del passato non vengano dimenticati, ne ripetuti.
Era il 12 dicembre 1969, anni caldi in Italia. Tra il 1968 e il 1974 nella nostra penisola furono compiuti 140 attentati, tra i quali quello di piazza Fontana fu uno dei più sanguinosi insieme alla strage di Bologna (1980). La strage di piazza Fontana viene considerata come l’inizio della cosiddetta “strategia della tensione”.
Erano le 16,37. Nella sede della Banca nazionale dell’Agricoltura in piazza Fontana scoppiò una bomba, 17 persone persero la vita (di cui 14 rimaste uccise sul colpo), altre 88 rimasero ferite. Nei primi attimi dopo l’attentato non ci si rese conto della reale natura della deflagrazione, infatti si ipotizzò che la deflagrazione fosse causata dallo scoppio della caldaia della banca. Le successive esplosioni e i segni evidenti dello scoppio di un ordigno tuttavia smentirono quasi subito le prime voci circolate e gettarono Milano e l’Italia intera nel dramma della realtà dei fatti. L’ordigno fu collocato in modo da provocare il massimo numero di vittime: sotto il tavolo, al centro del salone riservato alla clientela, di fronte all’emiciclo degli sportelli. Un’esplosione di immane potenza.
Una seconda bomba venne rinvenuta inesplosa nella sede milanese della Banca Commerciale Italiana, in piazza della Scala. Vennero eseguiti i rilievi previsti e successivamente la bomba venne fatta brillare, distruggendo così elementi probatori di possibile importanza per risalire all’origine dell’esplosivo e alla mano assassina. Una terza bomba esplose a Roma alle 16,55 dello stesso giorno, nel passaggio sotterraneo che collega l’entrata di via Veneto della Banca Nazionale del Lavoro con quella di via di San Basilio, ferendo 13 persone. Altre due bombe esplosero a Roma tra le 17,20 e le 17,30, una davanti all’Altare della Patria e l’altra all’ingresso del Museo centrale del Risorgimento, in Piazza Venezia, ferendo 4 persone. In que tragico 12 dicembre furono registrati 5 attentati terroristici concentrati in un lasso di tempo di appena 53 minuti, che colpirono contemporaneamente le due maggiori città d’Italia: Roma e Milano.
Sebbene la vicenda sia tuttora oggetto di controversie, le responsabilità di questi attacchi possono essere ricondotte a gruppi eversivi di estrema destra, che miravano a un inasprimento di politiche repressive e autoritarie tramite l’instaurazione di un clima di tensione nel paese.
Le indagini.

Le indagini puntarono a tutti i gruppi in cui potevano esserci possibili estremisti: furono fermate 80 persone, in particolare alcuni anarchici del Circolo anarchico “22 Marzo” di Roma tra i quali figura Pietro Valpreda e del Circolo anarchico “Ponte della Ghisolfa” di Milano, tra i quali Giuseppe Pinelli.
Il 12 dicembre l’anarchico Giuseppe Pinelli (già fermato ed interrogato con altri anarchici nella primavera 1969 per alcuni attentati, successivamente rivelatisi di matrice neofascista), venne fermato e interrogato in Questura. Il 15 dicembre, dopo tre giorni di interrogatori, Pinelli precipitò dal quarto piano della Questura di Milano e morì sul colpo. Fu aperta un’inchiesta giudiziaria – coordinata dal sostituto procuratore Gerardo D’Ambrosio – che etichettò la causa della morte in un “malore attivo” in seguito al quale l’uomo sarebbe caduto da solo, sporgendosi troppo dalla ringhiera del balcone della stanza. Venne eseguita l’autopsia, ma non fu mai pubblicata. Successivamente, fu accertato durante l’inchiesta che il commissario Calabresi non era nella stanza al momento della caduta (fatto contestato dagli ambienti anarchici in base alla testimonianza di uno dei fermati, Pasquale Valitutti).
Furono rivenuti dei manifesti anarchici a Milano, in piazza Cordusio e nelle immediate vicinanze della banca di piazza Fontana. Il magistrato Ugo Paolillo, che indagò sulla strage, rese noto il fatto che si trattava di falsi manifesti utilizzati per depistare le indagini. Alcune settimane dopo giungerà la conferma dei servizi segreti.
Il 16 dicembre venne arrestato anche un altro anarchico, Pietro Valpreda. L’uomo, indicato dal tassista Cornelio Rolandi come colui che era sceso quel pomeriggio dal suo taxi in piazza Fontana tenendo in mano una grossa valigia, ottenne anche la taglia di cinquanta milioni di lire disposta per chi avesse fornito informazioni utili. A Valpreda vennero contestati i reati di omicidio di quattordici persone e il ferimento di altre ottanta. Il “mostro” di piazza Fontana sembrava essere preso, l’Italia del presidente della Repubblica Giuseppe Saragat sembrava tirare un sospiro di sollievo. Eppure, le dichiarazioni del tassista determinarono uno scenario poco plausibile e successive indagini portarono a ipotizzare la presenza di un sosia (tale Antonino Sottosanti, un ex legionario catanese, infiltrato nei circoli anarchici nei quali era conosciuto come “Nino il fascista”) che prenderà il taxi al posto di Valpreda.
I processi.
Le indagini e i sette processi che si susseguirono nel corso degli anni con imputazioni a carico di vari esponenti anarchici e di destra portarono tuttavia all’assoluzione di tutti gli imputati in sede giudiziaria.
Alcuni esponenti dei servizi segreti verranno condannati per depistaggi; l’inchiesta del giudice Salvini affacciò anche un’ipotesi di connessione col fallito golpe Borghese. In 38 anni, non è mai stata emessa una condanna definitiva per la strage, anche se Carlo Digilio, neofascista di Ordine Nuovo, ha confessato il proprio ruolo nella preparazione dell’attentato e ottenuto nel 2000 la prescrizione del reato per il prevalere delle attenuanti riconosciutegli, appunto, per il suo contributo. Il 3 maggio 2005 la Corte di Cassazione ha assolto definitivamente gli ultimi indagati: Delfo Zorzi, Carlo Maria Maggi e Giancarlo Rognoni (militanti di Ordine Nuovo condannati in primo grado all’ergastolo) scrivendo però nella sentenza che con le nuove prove – emerse nelle inchieste successive al processo milanese nel 1972 e alla definitiva assoluzione nel 1987 – gli ordinovisti veneti Franco Freda e Giovanni Ventura sarebbero stati entrambi condannati. Attualmente non vi è alcun procedimento giudiziario aperto in quanto la condanna arriva tardiva, oltre al terzo grado di giudizio. Dopo molti anni, si discute ancora della morte di Pinelli.
A metà degli anni novanta Carlo Digilio sostenne di aver ricevuto una confidenza in cui Delfo Zorzi gli raccontava di aver piazzato personalmente la bomba nella banca. Zorzi, trasferitosi in Giappone nel 1974, divenne un imprenditore di successo. Ottenne la cittadinanza giapponese che gli garantì poi l’immunità all’estradizione.
La controinchiesta delle BR.

Sulla strage di piazza Fontana anche le Brigate Rosse svolsero una loro inchiesta, rinvenuta il 15 ottobre 1974 in un loro covo a Robbiano, frazione di Mediglia, insieme ad altri materiali riguardanti gli avvenimenti politici e terroristici relativi agli anni Sessanta e Settanta. Solo una minima parte del materiale sequestrato che riguardava Piazza Fontana fu messo a disposizione dei magistrati e successivamente questo materiale scomparve e venne forse parzialmente distrutto nel 1992. L’indagine delle BR è stata ricostruita grazie alle relazioni stilate dai carabinieri, a vario materiale ritrovato e alle testimonianze di un brigatista pentito. Originariamente l’indagine comprendeva anche un’intervista a Liliano Paolucci (colui che aveva raccolto la testimonianza di Cornelio Rolandi e l’aveva convinto a parlare ai carabinieri) e delle interviste di alcuni dirigenti del circolo anarchico Ponte della Ghisolfa. Secondo la contro indagine delle BR, l’attentato era stato organizzato materialmente dagli anarchici, come atto dimostrativo, ma che solo per un errore nella valutazione dell’orario di chiusura della banca si trasformò in una strage. Esplosivo, timer e inneschi sarebbero stati forniti loro da un gruppo di estrema destra. Secondo questa ricostruzione, Pinelli si sarebbe suicidato perché sarebbe rimasto coinvolto involontariamente nel traffico di esplosivo poi utilizzato per la strage. Le Brigate Rosse mantennero segreti i risultati della loro inchiesta, per motivi di opportunità politica.
L’inchiesta delle BR ebbe una rinnovata notorietà durante i lavori della Commissione Stragi. La maggior parte dei documenti dell’inchiesta condotta dalle Brigate Rosse su Piazza Fontana era divenuta intanto irreperibile, apparentemente persa nel 1980 nei trasferimenti tra le varie Procure e Tribunali, forse distrutta erroneamente nel 1992, in quanto ritenuta non significativa.
Le vittime.
Nel decimo anniversario della strage, in piazza Fontana venne posta una lapide commemorativa per ricordare le vittime della strage: Giovanni Arnoldi, Giulio China, Eugenio Corsini, Pietro Dendena, Carlo Gaiani, Calogero Galatioto, Carlo Garavaglia, Paolo Gerli, Vittorio Mocchi, Luigi Meloni, Mario Pasi, Carlo Perego, Oreste Sangalli, Angelo Scaglia, Carlo Silvia, Attilio Valè, Gerolamo Papetti.
Ogni 12 dicembre si svolgono manifestazioni per ricordare la strage e il 15 dicembre per commemorare Pinelli, appuntamenti ricorrenti e molto sentiti per la città di Milano e per tutta Italia.

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